Durante un’intervista a Un giorno da pecora ospite di Geppi Cucciari e Giorgio Lauro, il regista Pupi Avati ha tirato fuori un’accoppiata esplosiva: Donald Trump e il cinema. Se proprio dovesse dargli un ruolo, ha detto, sarebbe quello di un gerarca nazista. Boom. Parole che non passano inosservate, soprattutto in un’epoca in cui la politica americana sembra una serie tv che non sa quando fermarsi. E Zelensky? “Ha gli occhi che brillano”. Avati, classe 1938, ha una carriera di film e racconti che spesso hanno esplorato il lato oscuro dell’animo umano, tra horror gotico e storie d’altri tempi. Stavolta, però, i villain non si nasconderebbero più in castelli arroccati… Nel programma radiofonico, Avati ha raccontato il suo ultimo film dal titolo L’orto americano, un incubo dal sensazionale bianco e nero che è piaciuto a tutti (ispirato al suo ominimo romanzo). “Ancora non ho ricevuto nessuna critica negativa”, afferma stupito il Maestro de La casa dalle finestre che ridono (1976).


Durante la chiacchierata, Avati ha svelato un particolare su uno dei suoi successi più celebri, Regalo di Natale. E qui entra in gioco Lino Banfi. Leggiamo sull'Ansa: “Il protagonista inizialmente doveva essere lui e il produttore, Luciano Martino, ci invitò in un ristorante a Roma specializzato in pesce per incontrarlo. E qui devo fare una premessa molto tenera: Banfi viene da una famiglia molto povera, e come tutte le persone molto povere, una volta arrivata al successo si concede cose che nessun altro si concederebbe”. Tipo? “Mangiava solo ostriche. Noi dovevamo fare il film più economico della nostra vita e lui continuava a ordinare piatti di ostriche. Guardandolo io e mio fratello ci chiedevamo quanto ci potesse costare uno così”. Alla fine il ruolo andò a Diego Abatantuono, e la storia fece il suo corso. “Grazie a Dio, Dino Risi chiamò Banfi e gli propose di fare Il Commissario Lo Gatto, che non andò benissimo. Mentre noi girammo Regalo di Natale con Abatantuono restando nel budget previsto, dieci milioni a testa”. Avati torna anche sull’amore, la riscoperta del sentimento più forte al mondo, che nella vita del Maestro è tornato a bussare a fasi alterne. Parla così di sua moglie: “Le storie più belle sono quelle che hanno avuto un intervallo. (...) Io amo di più senza toccare. Ho visto dentro di lei tutte le fasi di me stesso”. E qui arriva la stoccata ai giovani: “Oggi si desidera infinitamente meno”. In una lunga conversazione che ha attraversato emozioni strane come quando si ama davvero qualcuno o si ha paura, non è mancata poi una riflessione di Avati sulla gestione del cinema italiano e i fondi pubblici: “Tax credit folli, si spendono cifre enormi in certe casi in modo ingiustificato. Bisognerebbe disporre di interlocutori competenti”.

