“Vengono qui e ci stuppare le donne! I nivuri l’avissuru a’mmazzari a tutti quanti. Au, dico ammazzari in senso cacofonico!”. Noto con orrore che sto pensando, in maniera assai sessista e per nulla woke che “stuppare”, versione sicula di “stuprar*”, rende ancora più l’idea. O forse è ancora più orrorifica e quindi trasmettendo maggior senso di ripulsa, non è né sessista né woke. Non lo so. Sono anziano per queste minchiat*. Le parole sono queste. Facciamo un passo indietro. Sono le nove del mattino in questa campagna spersa del sud-est dove ancora oggi fa un caldo estivo e siamo al 13 ottobre e devo riuscire a intagliare una zucca galleggiante perché immagino che “Aulin” (qui si chiama così) lo festeggerò a mare. Ho dato da mangiare ai cani e ai gatti in mutande e sono ancora in mutande quando arriva Salvuccio con la sua Opel Agila fuori asse che dall’ultima volta, noto, lascia una scia di olio come un filo di Arianna.
- Ma perde olio – gli faccio.
- Lo so. Andiamo a mare? Perché in mutande? Il costume te l’hanno mangiato i gatti?
- Andiamo da Ignazio al bar (devo cambiare i nomi, sto chiedendo le loro opinioni personali ma so che la gente cambia opinione anche due o tre volte al giorno e non mi sembra il caso di registrare o di litigare con il bar).
- E perché in mutande?
Per strada, tra muri a secco di pietra bianca che sbucano dal terreno come lo scheletro di Dio e alberi di carrubo saggi, pensosi e tutto sommato allegri, pecore indifferenti e cani pastore trotterellanti chiedo a Salvuccio cosa ne pensa dela situazione a Gaza e del conflitto ucraino. È la stessa domanda che ho fatto stamattina al nuovo arrivato, un cucciolone di pastore maremmano già alto, non saprei, tre metri. Da buon maremmano mi ha risposto con un bestemmione irriferibile.
Salvuccio invece ci pensa e mi dice: - Zio, io gli avvolgimenti di filo di rame so fare, gli impianti delle luci, le pompe sommerse… ah ce la finisci di scrivere che ho il furgone con la scritta 'pompe sommerse'? Da quando siamo andati alla spiaggia nudista e hai scritto il coso, l’articolo, c’è mia madre che è convinta che me ne vado nei locali degli scambisti.
- Oggi sei con la Opel.
- Ah vero. E comunque non lo so. Prima la sera mi guardavo la televisione e sentivo parlare di queste cose e non ci capivo niente. Adesso invece mi guardo chittitocca e continuo a non capirci una minchi*. Devi scrivere una cosa su questa cosa.
Annuisco guardando “Zaccheta” che ci scorre via sulla sinistra, un bar benzinaio in mezzo al nulla. Per approfondire la questione preferisco però il bar di Ignazio perché qui da “Zaccheta” (è il nome della contrada) sono tutti molto preparati sul conflitto di Gaza, su Israele, sui Palestinesi, su Hamas, su Putin, sulla nazionale di calcio, su Barbara D’Urso, su Giorgia Meloni su Elly Schlein, su Putin, su Trump, meno su Biden, e a volte si accendono dibattiti serissimi e di solito prima ha ragione chi offre da bere e tutti annuiscono e sono d’accordo, poi quando quello smette di offrire da bere iniziano tutti a dire la loro e finisce a bordello. È un po’ come accade in tutti i campi della vita: finché offri, hai ragione. Da Ignazio, invece, stanno sonnecchiando tutti quanti svenuti sui tavolini lamentandosi del caldo ma è da maggio che si parla del cambiamento climatico e oramai si sono rotti i cabbasisi dell’argomento. Da Ignazio è così, io lo chiamo lo schema del campionato di calcio: tutti a infervorarsi su una partita e dopo qualche giorno sono lì a infervorarsi su un’altra partita.
Ordino un caffè americano e sento gli sguardi poggiarsi su di me: sono il nuovo arrivato e o mi fanno una domanda o la devo fare io a loro. Se trovano l’argomento della conversazione interessante si svegliano, altrimenti tornano a sonnecchiare. Funziona così nei bar di paese.
Ci guardiamo per un minuto come in un film di Sergio Leone e poi sparo per primo: - Che ne pensate di quello che sta succedendo a Gaza?
Non ho intenzione di offrire nulla. Non devono darmi ragione. Voglio sapere cosa ne pensano.
Ignazio è nervoso. Verso quest’ora è sempre nervoso. Si calma verso le 12 dopo il primo “ammazzacammello” (campari-vodka in percentuali note solo a lui): - Ci devono buttare la bomba atomica. Però prima che ci buttano la bomba atomica lì, devono buttarci una bomba atomica anche qui, a Rosolini. (Quindi un bestemmione irriferibile. Di solito, Ignazio, dopo il terzo ammazzacammello diventa o pacifista o apocalittico guerrafondaio. Dipende dai giorni).
- Hai rotto i coglion* con questa bomba atomica! Polentone di questa gran coppolazza di minchia – dice Nino. Ignazio è lombardo ma ha la madre aretina, per questo bestemmia moltissimo anche se il bar è attaccato a un istituto di suore con le quali intrattiene cordialissimi rapporti.
Aguzzo la vista, oggi domani passasse una suora (anzi due, camminano sempre in coppia) chiederei loro cosa ne pensano (suspence).
- Io so soltanto che qui, ai niuri, ci danno gratis i pasti della mensa dei bambini, mentre noi rosolinesi, il pasto della mensa ce lo dobbiamo pagare (non so se è vero, vi dico quello che sento, e noto che usano la parola “pasto”. Guardate che è una cosa strana, dire “pasto”).
C’è un centro di accoglienza di minori non accompagnati, qui a Rosolini. Dovrò andarci, qualche volta.
- Furriano di notte – dice Sandro, detto “Zucchina” - Hai presente gli zombi? Mia madre è scantata. Ma io gliel’ho detto che se ne può stare tranquilla che non rubano niente perché sono appena arrivati e non conoscono i ricettatori e di sicuro non si possono portare i televisori rubati al centro accoglienza. Sono un pericolo per le fimmine sole però!
Cocimo sbatte un pugno sul tavolino in ferro che fa un po’ effetto gong: - Vengono qui e ci stuppano le donne! I nivuri l’avissuru a’mmazzari a tutti quanti. Au, dico ammazzari in senso cacofonico!
- Metaforico.
- Chiddu ca spacchiu iè e gghiè (tradotto: quello che è ed è).
- Ci vuole Putin – dice Ignazio. - Anzi no. Kim jong-un. Gli ha regalato il lancio di un missile balistico alla figlia per il suo compleanno! Quella è gente seria!
- A mmia Putin mi piacissi – interviene Turi Lumìa (limone). - Hanno detto in del talk show che ora Putin va con Hamas che vanno con l’Iran e inizia la terza guerra mondiale.
- Quale talk show? - Chiede Salvuccio, che inizia a interessarsi.
- Che minchia ne so, li sceglie mia moglie.
- Io guardo chittitocca.
- E si toccano?
- Minchi* se si toccano.
- Ci vuole! La terza guerra mondiale ci vuole! Siamo bambini viziati, con questi cellulari, con queste spacchio di sneakers, con gli influencer, con le stories, con i reel, con i videogame – dice Ignazio.
- Viziato ci sarai tu! - Gli risponde Nico, coltivatore diretto: - Io zappo da quando ho otto anni.
- Dovevi zappare di più.
- Non te lo dovevi vendere questo bar? E venditelo!
La situazione sta per fuggire di mano.
- Stavamo parlando di Gaza.
Tutti mi guardano come a dire “che?”.
Dopo qualche secondo ricordano.
Zucchina riprende il filo del discorso: - Io non ne conosco così, ebrei, non ci sono mai stato là, di dove sono gli ebrei?
Bella domanda.
C’è qualcuno che sta iniziando a spiegare la storia della Palestina e degli ebrei, sto per stopparlo io, quando invece li stoppa Salvuccio.
- Ah sì, questa cosa l’ho vista su chittitocca, ma non c’ho capito una minchia.
Ignazio si leva il grembiule e si fa il suo ammazzacammello. È il segnale per dire: ultimo giro che sto chiudendo. Così chiude anche la discussione: - Russia, Iran, Hamas, bisogna vedere che fa la Cina. Putin invade Ucraina e poi Europa. Iran e Hamas si prendono il medioriente. Però prima devono fare la terza guerra mondiale. Ora possiamo parlare di cose serie?
- Chi paga l’ultimo giro di Drekker? (Qui, le Dreher, le chiamano Drekker).
Tornando a casa, i muri a secco sono ancora lì. Come i cani pastore. E i carrubi. E gli ulivi (li stanno ancora scotolando ed è già tempo di olio nuovo). Qui, nel caldo, si aspetta la pioggia. Altrove si aspettano le bombe. Cerco di aggrapparmi a quello che vedo. La prima cosa che vedo è una mucca che pascola. E, un po’, mi calmo.