Così scrivevo, nove anni fa; su Facebook: "Oggi il mio amico e Maestro Arnaldo Pomodoro compie 90 anni. Un giorno scriverò la sua storia. Poverissimo, con il fratello Giò si è trasferito a Milano come ragazzo di un orafo di bottega. Con una borsa di studio ha vissuto negli Stati Uniti dei primi anni Sessanta, quando il mondo credeva in sé stesso, e con umiltà e amore è diventato, nei decenni, uno dei più famosi scultori del mondo. Ma è sempre rimasto il bambino che giocava con la creta e immaginava, immaginava... Ti amo Arnaldo". E oggi, quando il tempo ha compito il Tempio alchemico del tuo mondo interiore ricchissimo ed essenziale fino a sommergere il mondo intero della tua, e cosmica, memoria ancestrale, la tua dipartita la percepisco così leggera, così aggraziata, così luminosa. Il mondo non è più, simbolicamente e materialmente lo stesso, dopo il tuo passaggio. Ed altro è il paesaggio. Altro è il dispiegarsi della rete di simboli in cui il modernissimo e l’arcaico si intrecciano attraverso la solennità aggraziata dei punti in cui preistoria e microchip si mostrano oltre ogni dimensione temporale. Ma venticinque anni di amicizia sono anche e innanzitutto una raffica al cuore di ricordi, di attimi di riflessione e di aneddoti). Vertigini e abissi. Beh, tra gli abissi ricorderei l’istante in cui a New York, in uno dei loft più alti di Manhattan, ti sei sposto, troppo, a guardare di sotto: aspettavi la tua amata sorella, E mi hai fatto spaventare. Ti ho preso per un braccio e ti ho detto: “Arnaldo, se no ti ritrai fai una salsa”. Mi hai guardato con compassione, quasi, anche se con quella battuta da due soldi ti ho quasi salvato la vita.

E poi a San Francisco, quando, dopo tuo fratello Giò, sei stato l’unico italiano premiato come miglior scultore del mondo e io ti ho accompagnato, con la mia compagna di allora Federica Fracassi, avendoti pure preparato un lungo e formale discorso per l’occasione. Non era la prima volta. Ma al solito hai preso in mano i fogli, li hai guardati e poi hai iniziato a balbettare verità così assolute, frontali, disarmanti. Non sei mai stato un intellettuale: la cultura la facevi, immediata, e ne investivi il mondo e ancora lo contagi. E continuo con gli aneddoti, amico mio adorato, perché è un mondo per sentirti più vicino, nell’immediato; giammai quello dell’epitaffio; e quindi: quella vertiginosa serata in cui in compagnia di non mi ricordo quale illustre ospite più che illustre illustrissima cenammo e invitasti a cena anche la tua sodale di una vita Ornella Vanoni. Il clima era piuttosto formale, troppo formale e teso: Ornella, per la quale hai saputo per decenni allestire le storiche scenografie dei suoi spettacoli, ha (come te!) rotto tutte le convenzioni, o costrizioni, e si è lanciata in una sequenza di barzellette così volgari da sfiorare il sublime, ed eravamo tutti tornati bambini… Le scenografie…

Mi hai raccontato quando, nel piccolo paese delle Marche da cui sei venuto, prima a Pesaro, poi a Milano e poi nel mondo intero, “giocavi a cambiare lo spazio”, la scenografia del mondo costruendo piccole barriere nei fiumiciattoli, deviandone i corsi: e di queste, in più ampia chiave metaforica, e dopo la scoperta per te sconcertante e per sempre fondamentale di Klee e Brancusi (ma anche di Kafka, grande amore anche di Giò), abbiamo discusso per interi pomeriggi con il tuo amato fratello d’intemperie storiche e culturali Francesco Leonetti, già assistente e collaboratore di Pier Paolo Pasolini, di Paolo Volponi e del Gruppo 63, grande, potente e rivoluzionario poeta: Quanto ho appreso, Arnaldo, da voi, dalle narrazioni di quella “Continuità” (che fu anche il titolo della rivista dei giovani che ruotavano attorno a Lucio Fontana), che nella Milano della seconda metà degli anni Cinquanta, e specialmente attorno allo storico Bar Giamaica ha riunito le menti migliori e più rivoluzionarie dell’ultimo grande momento dell’arte italiana. E quanto hai saputo poi servirlo, con la tua Fondazione, accogliendo le opere di artisti come Cucchi o Paladino: con amore, hai saputo cogliere ogni nuova fibrillazione dello spirito dell’Arte…
Ho davanti a me la cartella con tutti gli appunti su un’infinità di artisti, scritti a quattro mani o con l’adorato Leonetti su Calder, Dalì, le famose “Orestiadi” di Gibellina” da Isgrò a Eschilo, e ritorno passando per Burri, e Gastone Novelli e Mario Schifano e Jannis Kounellis e Renzo Piano e Enrico Bay e potrei continuare a lungo. E forse ora lo potrei scrivere, quel libro che a lungo progettammo su di Te. Ma lo hai già scritto tu, sulle pagine del mondo e della Storia.
