La guerra tra Israele e Iran è, almeno per ora, archiviata, il prezzo del greggio è in caduta libera – il Brent (il greggio di riferimento nel mondo, estratto nel mare del Nord) sotto i 70 dollari, il Wti (texano) poco sopra i 66 – e le borse brindano a un mondo un po’ meno sull’orlo del baratro. Tutto bene, allora? Neanche per sogno. Perché mentre sui mercati si respira, alle pompe si sputa sangue: i prezzi della benzina continuano a salire come se fossimo ancora in piena crisi geopolitica. Una beffa, l’ennesima, per gli automobilisti italiani che, tra autostrade dove si sfiorano i 2,30 euro al litro e serviti da record, si domandano: ma se il petrolio cala, perché noi continuiamo a pagare come se fossimo in guerra? È la solita storia: un mercato dove il ribasso è lento come un diesel d’inverno, e il rialzo rapido come un razzo Qassam. Il classico disallineamento tra materia prima e prodotto finito, spiegano i gestori. Già, ma il sospetto – più che legittimo – è che dietro ci sia anche qualcos’altro: una filiera opaca, una struttura fiscale asfissiante e una vigilanza che, quando non è impotente, è perlomeno inefficace. Intanto le associazioni dei consumatori (Codacons e Unc in testa) gridano alla speculazione e bussano alla porta dell’Antitrust, ma per ora si registrano solo riunioni, commissioni, garanzie e promesse. Risultati? Zero al litro.

Eppure il meccanismo è ben noto, anche se raramente denunciato con la dovuta forza. Il prezzo della benzina, in Italia, non lo fa il greggio: lo fanno i prodotti raffinati, la capacità di raffinazione globale (in calo), i costi logistici e assicurativi, ma soprattutto lo fa lo Stato. Oltre il 50 per cento del prezzo finale è composto da tasse fisse, accise storiche e Iva – vere zavorre che non calano mai, anche quando il barile precipita. I margini degli operatori sono marginali (20 per cento), e il petrolio in sé incide solo per un terzo del prezzo. Morale: anche se il Brent affonda, se il Platts non molla – e il Fisco resta affamato – la pompa continua a spremere. Come riportato dal Corriere della Sera, le recenti micro-variazioni delle accise (-1,5 cent per la benzina, +1,5 per il gasolio) non si sono nemmeno viste, inghiottite nel gioco degli aumenti. E il governo? Può far poco, dicono. Ma la liberalizzazione del mercato dei carburanti senza un serio controllo ex post ha lasciato spazio a un regime dove tutti decidono tranne chi paga. Le famiglie a basso reddito, già colpite da inflazione e caro-vita, sono le prime a finire stritolate da questo ingranaggio. Non si tratta più solo di trasporti: si tratta di disuguaglianze. E finché si lascerà che la "mano invisibile" del mercato agisca indisturbata mentre quella dello Stato resta in tasca, il pieno continuerà ad avere un prezzo politico. E sociale.
