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Mps vs Mediobanca, partita rovente (e fino a Bruxelles). Il Golden Power di Meloni su Orcel e UniCredit contagia la Spagna nel duello Sánchez-Sabadell. E c’è un colpo di scena tra Banca Ifis e Illimity…

  • di Matteo Suanno Matteo Suanno

  • Foto: Ansa

25 giugno 2025

Mps vs Mediobanca, partita rovente (e fino a Bruxelles). Il Golden Power di Meloni su Orcel e UniCredit contagia la Spagna nel duello Sánchez-Sabadell. E c’è un colpo di scena tra Banca Ifis e Illimity…
Nel cuore bollente della finanza italiana, Monte dei Paschi sfida apertamente Mediobanca: Lovaglio sogna una nuova superpotenza bancaria con l’appoggio di Delfin e Caltagirone, mentre Nagel difende Piazzetta Cuccia come l’ultimo bastione dell’establishment. Intorno, si muovono procure, fondi, autorità europee e sospetti su un’operazione-lampo orchestrata dietro le quinte. Ma il risiko non è solo italiano: tra Roma, Madrid e anche Berlino, i governi usano il Golden Power per blindare le banche nazionali, frenando operazioni miliardarie e mettendo a rischio l’idea stessa di un’Europa bancaria unita. Intanto, Banca Ifis alza la posta sull’ops per Illimity, offrendo cash pur di superare il fatidico 90 per cento e portare a casa una fusione cruciale

Foto: Ansa

di Matteo Suanno Matteo Suanno

Da Milano a Siena. È lungo questa direttrice che il risiko bancario si sta infiammando negli ultimi giorni. Perché ciò che sta succedendo tra Monte dei Paschi di Siena (Mps) e Mediobanca è molto più di un’operazione finanziaria: è una guerra silenziosa per il controllo del potere nel settore del credito nostrano. Mps, la banca più antica del mondo, ha lanciato un’offerta pubblica di scambio (ops) su Mediobanca – che l’ha definita “ostile” – cuore della finanza italiana. Un affondo partito col via libera della Banca centrale europea (Bce) e la benedizione dei mercati, ma che ha scatenato una tempesta tra board, fondi, procure e palazzi romani. Da una parte c’è Luigi Lovaglio, l’ad del Monte, che vuole trasformare Siena in una potenza bancaria nazionale, forte del sostegno di soci pesanti come Delfin – la holding che raprresenta la famiglia Del Vecchio e l’imprenditore romano Francesco Gaetano Caltagirone. Dall’altra Alberto Nagel, il gran cerimoniere di Piazzetta Cuccia, deciso a difendere la roccaforte con target 2028 aggiornati, pressing sugli azionisti e l’aiuto delle autorità. Ma il piano di conquista si è intrecciato con uno dei capitoli più opachi della recente storia finanziaria: la cessione-lampo del 15 per cento di Mps da parte del Tesoro, gestita da da Banca Akros. In quell’operazione si sono inseriti i soliti noti – Delfin, Caltagirone, Banco Bpm, Anima – e secondo più di un osservatore si è trattato di un blitz ben orchestrato per rafforzare la presa su Mps in vista dell'assalto a Mediobanca. Unicredit e il suo ad Andrea Orcel sostengono di essere stati esclusi, mentre Akros smentisce con una nota ufficiale. Ma il sospetto di quello che più di qualche giornale ha definito “un affare in famiglia” aleggia da settimane, alimentato da Bluebell Partners che ha presentato esposti a raffica a Consob, Bce, Antitrust e Commissione dell’Unione europea. Il risultato? Un’indagine della Procura di Milano e l’interesse di Bruxelles su possibili violazioni delle regole sugli aiuti di Stato. Lo scenario è da spy story finanziaria: accuse incrociate, retroscena internazionali, silenzi pesanti. Il tutto mentre il tempo stringe: l’ops potrebbe partire tra pochi giorni e chiudersi a inizio agosto, con una soglia minima di adesione del 66 per cento, teoricamente rinunciabile, ma indispensabile per sbloccare i Dta di Mps. È l’ultima corsa prima della semestrale, ma è soprattutto una battaglia per il controllo dell’élite finanziaria del Paese. Perché Mediobanca non è solo una banca: è un ingranaggio fondamentale che muove Generali, ed è lì che si concentra quella che forse è la partita più grande di tutte. Una vera e propria partita industriale, in grado di ridefinire gli equilibri storici tra poteri. Se cade Piazzetta Cuccia, cambia il baricentro dell’intero sistema. E questa, più che un’offerta pubblica di scambio, sa tanto di sfida finale per il trono.

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Il risiko bancario, illustrato

Ma gli affari di casa nostra non sono i soli nello scenario europeo. In Italia, ormai lo sappiamo, il ricorso al Golden Power del governo di Giorgia Meloni ha di fatto bloccato l’ops di Unicredit su Banco Bpm, imponendogli vincoli strettissimi a garanzia della “sicurezza nazionale”. Come scrive Il Foglio, lo stesso strumento è stato usato con disinvoltura tanto da Roma quanto da Madrid o Berlino. In Spagna, Pedro Sánchez ha bloccato l’acquisizione di Banco Sabadell da parte di Bbva, un colosso da 14 miliardi che avrebbe creato un gigante con 140 mila dipendenti e una forte presenza in America Latina e nel tessuto imprenditoriale spagnolo. Ma l’operazione procede solo se le due entità rimangono distinte, autonome e con asset separati per almeno tre anni, prorogabili a cinque. Un colpo duro per un’integrazione che puntava a generare sinergie e valore, ma che si è scontrata con timori occupazionali, pressioni territoriali soprattutto dalla Catalogna e la politica spagnola che ha detto no. Una sceneggiatura che riecheggia pericolosamente quella italiana, dove l’offerta pubblica di scambio di Unicredit su Banco Bpm, un altro colosso italiano, è stata frenata dal governo Meloni, deciso a mettere paletti rigidi per salvaguardare posti di lavoro e interessi nazionali. E come se non bastasse, in Germania il governo di Friedrich Merz continua a frapporre ostacoli all’offerta di Unicredit su Commerzbank, riflettendo la stessa diffidenza verso fusioni e acquisizioni bancarie. Quella che doveva essere l’Unione bancaria europea rischia così di trasformarsi in una babele di barriere nazionali, un mosaico di veti e riserve che spengono l’integrazione dei mercati dei capitali. Se gli Stati membri bloccano perfino le operazioni all’interno dei loro confini, quale futuro può avere la tanto sognata fusione europea a livello transnazionale? Il rischio è che l’Europa perda terreno nella competizione globale contro i colossi americani, che procedono invece spediti e senza tante remore.

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Nel frattempo, tornando in Italia, l’ultimo colpo di scena arriva da Banca Ifis, che nel rush finale dell’ops su Illimity decide di alzare la posta con un premio cash del 5 per cento per chi porta le azioni in adesione superando la soglia del 90 per cento. Una mossa chiara: senza questo traguardo, niente delisting e niente fusione rapida, mentre raggiungerlo significa far scattare sinergie e guadagni per tutti gli azionisti. Per il presidente Fürstenberg c’è la consapevolezza che il destino dell’operazione è appeso a un filo sottile: ad oggi l’adesione è solo al 25,7 per cento e il tempo stringe. Il rischio è che un accordo di consultazione guidato dal fondatore di Illimity, Corrado Passera, possa far saltare tutto o rallentare la fusione, che pure rappresenta l’unica offerta stabile a premio rispetto alla quotazione di borsa. Ma in un gioco così spietato, ogni carta va giocata bene e la scelta di Banca Ifis di alzare la soglia minima di adesione dal 45 al 60 per cento è un chiaro segnale che qui si fa sul serio, e che il mercato l’ha capito, premiando l’operazione con un aumento del valore delle azioni Illimity. Insomma, nel risiko bancario italiano il potere non si conquista per caso: serve strategia, pazienza e una buona dose di coraggio.

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