Il dado è tratto per Piazzetta Cuccia? La Banca centrale europea (Bce) ha dato il suo benestare all’offerta pubblica di scambio (ops) di Monte dei Paschi di Siena (Mps) su Mediobanca. La notizia, fatta filtrare da Reuters nella tarda serata, manda in fibrillazione il risiko bancario italiano e accende i riflettori su una partita che da mesi tiene banco tra i palazzi della finanza e quelli della politica. Con il via libera di Francoforte, quello che di fatto è un tentativo di acquisizione lanciato da Siena può partire: la data attesa è l’inizio di luglio, per poi chiudersi entro il 25 settembre, quando Mediobanca aveva fissato l’assemblea straordinaria sull’ops per Banca Generali – che a causa dell’ops intanto ha lasciato sul campo di battaglia della Borsa il 4 per cento, e continua a soffrire dello stallo generato dalla mossa a sorpresa dell' ad Alberto Nagel. Assemblea che, a questo punto, rischia di diventare un esercizio di stile: perché se Lovaglio riuscirà a mettere le mani su almeno il 50 per cento + 1 azione di Piazzetta Cuccia, l’offerta su Generali – l’arma difensiva costruita da Nagel per tenere alla larga Mps – potrebbe perdere di forza e senso. Il via libera della Bce è il primo tassello: ora tocca alla Dg Comp di Bruxelles – l’authority per la Concorrenza– verificare che l’operazione non stravolga gli equilibri di mercato (rischio quasi nullo, ma la formalità è d’obbligo), e alla Consob sancire il passaggio tecnico in Borsa.

Dietro le quinte, intanto, il risiko si gioca anche a colpi di piani industriali: Mediobanca, sotto la regia di un Nagel in versione trincea, si prepara a svelare venerdì prossimo i nuovi target al 2028. Non un semplice aggiornamento: il ceo vuole mettere sul tavolo un piano allineato alle scadenze già fissate da Mps, per offrire agli azionisti un confronto diretto tra i due progetti. Da un lato, il percorso “standalone” di Mediobanca, che punta tutto sul wealth management e sulle sinergie con il corporate e investment banking, con ricavi e utili rivisti al rialzo e payout generosi (100 per cento nel triennio 2023-2026); dall’altro, la strategia di Mps, che con l’acquisizione mira a creare un campione nazionale capace di competere e, soprattutto, a incassare subito i benefici fiscali delle Dta grazie al controllo di Piazzetta Cuccia. È questa la posta in gioco: convincere gli azionisti a scegliere quale futuro costruire. Per questo i nuovi target al 2028 non sono solo numeri: sono l’ultima carta di Nagel per difendere l’indipendenza della sua banca e disinnescare l’ops di Siena, mentre intorno si muovono gli equilibri di potere, tra golden power, grandi soci silenziosi e vigilanti europei che osservano senza scoprirsi troppo. Perché, alla fine, il risiko sarà pure italiano, ma l’arbitro resta Bruxelles.

Intanto, dopo un mese di sospensione, l’ops di Unicredit su Banco Bpm riparte, nonostante assomigli sempre di più a una scalata sull’Everest. Dopo lo stop concesso dalla Consob, Andrea Orcel rimette in moto l’ops con le adesioni che, per ora, restano ferme allo 0,04 per cento: numeri troppo bassi per dare vigore e credibilità all’operazione. Bruxelles ha dato un “sì” condizionato, chiedendo a Orcel il sacrificio di 209 filiali nel Nord Italia per non stritolare la concorrenza. Ma il vero macigno sul sentiero resta il Golden Power di governo: le clausole draconiane di Meloni sembrano fatte apposta per far saltare il banco, come lo stesso Orcel non perde occasione di ricordare. Intanto, la schiera di attori francesi che partecipano a Piazza Meda si arricchisce, rendendo il tutto ancora più difficile all’ad di Piazza Gae Aulenti. Innanzitutto Crédit Agricole, che possiede il 19 per cento, ma anche Natixis, Bnp Paribas e addirittura lo Stato, con la presenza di Banque Postale. Orcel tenta di diversificare altrove: in Grecia è già diventato il miglior amico del premier Mitsotakis e della Banca centrale, dopo aver sborsato quasi un miliardo per salire al 20 per cento di Alpha Bank.

A Roma invece le porte restano sbarrate: la sua offerta per una fetta di Mps è stata ignorata dal Tesoro, che ha preferito vendere un 15 per cento ai “soliti noti” — Banco Bpm, Anima, Del Vecchio e Caltagirone — con un bel premio sul prezzo e zero trasparenza. Ora Bruxelles indaga. Si tratta di una valutazione preliminare, che potrebbe concludersi in un’indagine per aiuti di Stato, ma al momento non sarebbe stata ancora presa alcuna decisione. Secondo quanto scrive il Financial Times, ripreso da Milano Finanza, “Unicredit, il fondo sovrano norvegese Norges e BlackRock avevano manifestato interesse ad acquistare azioni quando il Tesoro ha venduto una quota del 15 per cento a novembre. Tuttavia, Banca Akros (gruppo Banco Bpm) avrebbe risposto allora che il processo di collocamento era già concluso. Le azioni sono invece andate a quattro investitori italiani concordi con il governo per costruire un terzo polo bancario in grado di competere con UniCredit e Intesa Sanpaolo. Questo mentre il Mef sta riducendo la partecipazione in Mps come da accordi con l’Unione Europea in seguito alla nazionalizzazione della banca senese nel 2017”.

C’è infine chi, fino ad ora, le logiche perverse del risiko le ha viste da lontano, ma non per questo è rimasto fermo ad aspettare. Intesa Sanpaolo, la banca guidata da Carlo Messina ha appena chiuso l’Italian Stock Market Opportunities Conference 2025, una vera e propria passerella per 31 mid & small cap italiane, messe in vetrina davanti a 110 investitori istituzionali di peso come Axa, Hsbc, Allianz e Santander. Tra Lugano, Milano, Parigi e l’ultima tappa a Madrid, si sono contati quasi 270 incontri con i big del mercato, con aziende da Fincantieri a Avio che hanno mostrato muscoli e strategie di crescita. Intesa punta forte sull’internazionalizzazione, cercando di incassare fiducia nel tessuto imprenditoriale italiano, ancora solido e ambizioso, nonostante le turbolenze bancarie. Insomma, mentre gli altri si scontrano nel risiko, Messina gioca la carta dell’export e del dialogo globale. Bancario sì, ma con vista oltreconfine.