Lo chiamano risiko bancario, ma dietro quote e delle fusioni sembrerebbe che si muova qualcosa di molto più concreto. La cessione del 15% di Monte dei Paschi da parte del Tesoro, avvenuta lo scorso novembre tramite una procedura ABB (accelerated bookbuilding), sembrerebbe non aver convito. L’operazione è stata gestita da Banca Akros, del gruppo Banco BPM, e già questa scelta avrebbe fatto sorgere dei dubbi: fino a quel momento a occuparsi dei collocamenti erano state realtà internazionali come Jefferies e UBS.
A sorprendere non sarebbe solo il cambio di regia, ma anche il risultato: in pochi minuti, appena quattro soggetti si sono aggiudicati l’intero pacchetto, pagando un premio del 5% sul prezzo di mercato invece di ottenere il classico sconto. In particolare, le quote sono andate a Delfin (3%), Francesco Gaetano Caltagirone (3%), Banco BPM (5%) e Anima (4%), quest’ultima già oggetto di OPA proprio da parte di Banco BPM.

L’operazione avrebbe dovuto rappresentare il trampolino per un terzo polo bancario italiano, nelle intenzioni del governo Meloni e del ministro Giorgetti. Ma adesso è finita sotto la lente della Procura di Milano. A indagare sono il procuratore aggiunto Roberto Pellicano e i pm Giovanni Polizzi e Luca Gaglio, coordinati da Marcello Viola. L’indagine è partita da un esposto di Mediobanca (nato da un’accusa di diffamazione verso un giornalista) e da un’informativa che Unicredit avrebbe trasmesso a Consob, anche se la banca ha smentito un coinvolgimento diretto della magistratura.
A inizio maggio la Guardia di Finanza ha acquisito documenti da Banca Akros e ricostruito la sequenza dei contatti e delle operazioni. Ci sono soggetti indagati, anche se al momento né i nomi né le ipotesi di reato sono stati resi pubblici. Akros si è difesa sostenendo, con una nota diffusa il 13 giugno, di aver agito in modo trasparente e corretto, raccogliendo e processando centinaia di ordini istituzionali attraverso piattaforme informatiche e secondo le prassi del settore.
Ma restano i dubbi. In un articolo pubblicato da Milano Finanza si cita, tra le questioni sul tavolo, quella di una possibile concertazione tra i protagonisti dell’affare: Delfin e Caltagirone non sono nuovi a mosse simultanee, avendo già investito insieme in Mediobanca e Generali. E in effetti, pochi giorni dopo l’operazione Mps, cinque nuovi consiglieri, tra cui Alessandro Caltagirone, sono entrati nel board della banca, lasciando pensare che si sia trattato di un vero passaggio di controllo. Un passaggio che, secondo i critici, avrebbe giustificato un premio ben più alto del 5% riconosciuto al Tesoro.
Il contesto è quello di una mappa bancaria in piena ridefinizione, in cui si inserisce anche l’uso del golden power contro l’OPA ostile di Unicredit su Banco BPM, che, secondo ricostruzioni citate da Milano Finanza, sarebbe parte della stessa strategia politica di riorganizzazione del sistema creditizio italiano. In passato, già nel 2022, Mediobanca aveva segnalato a Consob e Bankitalia una possibile azione concertata tra Caltagirone e Delfin, ma l’ipotesi era stata archiviata.
Ora la giustizia torna a muoversi, ma tra dossier intricati e dinamiche di potere, serviranno fatti solidi per andare oltre le supposizioni. Anche perché lunedì 16 giugno i soci di Mediobanca sono chiamati a votare sull’OPS su Banca Generali: una mossa decisiva per il futuro degli equilibri finanziari italiani.
