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Bper-Popolare di Sondrio, “azionisti penalizzati” dall’Ops? E il caso Monte dei Paschi di Siena (e UniCredit)? Tra scalate e fusioni controverse e collocamenti nel mirino, ecco gli “effetti collaterali” del risiko bancario

  • di Beniamino Carini Beniamino Carini

  • Foto: Ansa

13 giugno 2025

Bper-Popolare di Sondrio, “azionisti penalizzati” dall’Ops? E il caso Monte dei Paschi di Siena (e UniCredit)? Tra scalate e fusioni controverse e collocamenti nel mirino, ecco gli “effetti collaterali” del risiko bancario
Nel risiko bancario all’italiana, ora è anche l’Ops di Bper su Popolare di Sondrio a accendere lo scontro: “azionisti penalizzati”, occupazione a rischio e controllo precario. Intanto, sul fronte Mps, un’operazione teoricamente da manuale finisce nel mirino della Procura. Ma chi ha davvero tirato le fila?

Foto: Ansa

di Beniamino Carini Beniamino Carini

C’è qualcosa di proverbialmente italico nel modo in cui il sistema bancario nazionale affronta le grandi manovre di fusione e acquisizione: dichiarazioni caute, accuse velate, quote in bilico e, inevitabilmente, un’inchiesta della magistratura. In questi giorni due vicende emblematiche lo ricordano con chiarezza: da una parte, l’offerta pubblica di scambio (Ops) lanciata da Bper su Banca Popolare di Sondrio, dall’altra il collocamento del 15% di Mps operato dal Tesoro sotto la lente della Procura di Milano. Entrambe raccontano di un capitalismo finanziario italiano ancora nervosamente attaccato a logiche opache, preoccupato più del controllo che del mercato.

L’Ops di Bper: un’offerta che divide

Banca Popolare di Sondrio non le manda a dire. L’offerta di Bper, che partirà il 16 giugno, viene liquidata come un’operazione sì “congrua dal punto di vista finanziario”, ma che tuttavia “non riconosce il reale valore dell'istituto – soprattutto dopo la presentazione del piano al 2027 – e che penalizza sotto diversi punti di vista gli azionisti” (fonte: Milano Finanza).

In parole semplici: il prezzo dell’offerta è tecnicamente corretto, ma non abbastanza generoso, soprattutto tenendo conto dei dividendi previsti nel prossimo triennio. Il cash dividend pay out ratio – ossia la percentuale dell’utile distribuita agli azionisti sotto forma di dividendi – è più alto in Popolare di Sondrio che in Bper, il che significa che chi aderisse all’offerta vedrebbe scendere la propria “paghetta” annuale. E questo è solo l’inizio.

Il Consiglio d’Amministrazione della banca valtellinese sottolinea anche i rischi occupazionali: nella sede centrale di Sondrio lavorano oltre 900 persone, e il timore – ben poco celato – è che un'integrazione in Bper porti a tagli o spostamenti. Non aiuta che “Bper non ha predisposto un piano industriale che tenga conto del perfezionamento dell'acquisizione”, una lacuna definita “ulteriore elemento di incertezza”.

E se a questo si aggiunge che il controllo di Bper potrebbe basarsi su soglie basse (50%+1 per il successo dell’offerta, 35%+1 come minimo per procedere), allora si comprende perché la Sondrio parli apertamente di “controllo precario” e metta in discussione la stabilità dell’intera operazione.

Bper ha risposto in modo composto ma fermo, ricordando che “l’operazione ha un forte razionale industriale, coerente con la strategia di rafforzamento del gruppo nei territori di riferimento” e che “si prevede che l’operazione sia accrescitiva sugli utili per azione”. Tradotto: l’offerta è solida e crea valore, almeno nel lungo termine. La banca modenese ribadisce poi l’impegno a “preservare il legame con i territori” e “salvaguardare i livelli occupazionali”, appellandosi al precedente delle sue passate acquisizioni.

Il problema, tuttavia, è tutto nel timing e nella fiducia. Una banca che punta a un Roe (Return on Equity) del 14% nel 2027 e a un payout dell’85% – come fa Popolare di Sondrio nel suo piano stand-alone – può serenamente chiedere di essere pagata di più per farsi inglobare. In fondo, se vendere significa guadagnare meno dividendi, meno controllo e forse anche meno lavoro, perché farlo?

bper banca popolare di sondrio scalata

Il caso Mps e l’indagine (non) firmata

Nel frattempo, a Milano la Procura scava nell’accelerated bookbuilding da 1,6 miliardi di euro con cui il Tesoro ha venduto, nel novembre scorso, il 15% di Mps. Una procedura normalmente tecnica, che però è finita sotto i riflettori giudiziari. Perché?

Tutto nasce da un esposto, la cui origine resta ignota. Unicredit, chiamata in causa da alcune ricostruzioni giornalistiche, ha smentito categoricamente: “Unicredit non ha presentato alcun esposto alla Procura di Milano. Né ha presentato alcun esposto in relazione a Delfin e Caltagirone”.

Le ipotesi investigative, secondo quanto trapelato, riguarderebbero una presunta esclusione di soggetti interessati – tra cui lo stesso istituto guidato da Andrea Orcel – durante la vendita. Si sospetta un accordo preventivo tra Tesoro e compratori “privilegiati”? Non c’è ancora una risposta, ma il dubbio aleggia.

Banca Akros, global coordinator e bookrunner dell’operazione, si difende con fermezza: “La procedura è stata condotta in modo corretto e trasparente, con la partecipazione di centinaia di investitori istituzionali tramite piattaforma informatica”. Tutti gli ordini, prosegue la nota, sono stati “raccolti, registrati e processati allo stesso modo”.

Tecnicamente, un accelerated bookbuilding è un metodo rapido di collocamento riservato a investitori istituzionali, dove l’offerta di azioni avviene in poche ore e a condizioni di mercato. La rapidità dell’operazione – che spesso si svolge in serata o nella notte – punta a evitare speculazioni e garantire massima efficienza. Ma proprio questa velocità può, in certe circostanze, alimentare sospetti di selettività.

In un Paese in cui ogni movimento bancario viene scandagliato da media, autorità di vigilanza e magistratura, la trasparenza non è solo una virtù: è una necessità sistemica. L’affaire Bper-Sondrio mostra quanto conti la narrazione industriale dietro un’Ops, mentre il caso Mps ricorda che anche l’operazione tecnicamente più corretta può finire sotto accusa se manca fiducia pubblica.

Il sistema finanziario italiano, stretto tra logiche di potere e prudenza istituzionale, resta fragile perché resta opaco. Ed è proprio qui che si misura la vera resilienza di una banca: non nella dimensione del bilancio, ma nella capacità di convincere, apertamente e senza ombre, che quello che fa è nell’interesse di tutti.

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