L’estate non è ancora iniziata, ma il grande risiko bancario italiano ha già acceso roventi bagarre, tra assemblee ad alta tensione, procure chiamate in causa e giochi d’equilibrio geopolitici che travalicano i confini di Francoforte. Protagonista assoluto: Mediobanca, il cuore finanziario di Piazzetta Cuccia, dove l’ad Alberto Nagel ha appena aperto un nuovo fronte di guerra. Non più solo il mercato. Ora anche la magistratura.
Il banchiere ha infatti presentato un esposto alla Procura di Milano, «uguale a quelli presentati in Consob e alla Banca d'Italia» (stando a quanto riferito da Milano Finanza), in cui si ipotizza un possibile “concerto” tra Delfin (la holding della famiglia Del Vecchio) e Francesco Gaetano Caltagirone – un’ipotesi che se confermata potrebbe configurare una violazione delle regole sul controllo occulto delle società quotate. L’esposto ha già generato l’apertura di un fascicolo “a modello 45” (atti non costituenti notizia di reato). Traduzione per i non iniziati: non è ancora partita un’indagine penale, ma la palla è ora in mano ai regolatori, che dovranno dirci se ci troviamo davanti a una cabina di regia non dichiarata nel tentativo di rovesciare il comando della merchant bank.
L'affondo giudiziario arriva mentre si scalda l’attesa per l’assemblea del 16 giugno, chiamata a decidere su un’operazione cruciale: l’ops (offerta pubblica di scambio) di Mediobanca su Banca Generali, nella quale Piazzetta Cuccia offre 1,7 azioni Generali per ogni azione della banca del gruppo Leone. Lo scopo? Raddoppiare la propria dimensione nel wealth management, rafforzando un’area strategica e alzando nel contempo la posta nel braccio di ferro con Mps, che a sua volta ha lanciato un’ops su Mediobanca.

Chi ha la meglio nel risiko? Le prime proiezioni parlano chiaro: la proposta di Nagel potrebbe passare con il 42-43% dei voti, contro un 36-37% di contrari. Il quorum previsto è da record: oltre l’80%, forse l’82%, un’affluenza da referendum costituzionale. I grandi investitori istituzionali – Norges, Mediolanum, Calpers, Glass Lewis, ISS – hanno già detto sì. Il fronte del “no”, capitanato da Caltagirone (quasi il 10%) e Delfin (19,8%), spera nei voti delle casse previdenziali e degli incerti. Tutto si gioca all’ultima astensione.
Secondo Autonomous Research, casa di analisi di cui scrive Mf, «l’ops su Banca Generali ha senso». Anzi, meglio Mediobanca con Banca Generali, che Mps con Mediobanca: «il bilancio tra possibile rialzo e rischio di ribasso risulta più interessante nel caso di Banca Generali», scrivono. Tradotto: meglio l’orgoglio di casa che un matrimonio forzato con Siena.
Nel frattempo, dalle parti di UniCredit, Andrea Orcel – un banchiere che sembra uscito da un dramma shakespeariano in tre atti – combatte le sue battaglie su più fronti. A cominciare da Banco Bpm, dove l’ops da oltre 10 miliardi traballa per via dei paletti del Golden Power (il meccanismo con cui il governo può intervenire a tutela degli asset strategici italiani). Orcel è chiarissimo: «La probabilità di procedere senza chiarimenti è al 20% o meno». E ancora: «L’m&a è uno strumento, non un obiettivo. Se non crea valore, non si fa».

Sullo sfondo, anche l’affaire tedesco: Commerzbank. Dopo settimane di tensioni diplomatiche e dichiarazioni taglienti, Orcel spiega che è stato il governo tedesco a invitarli come investitori. «Eravamo l’unica banca invitata, perché parlavamo con loro da molto, molto tempo», afferma. A oggi UniCredit ha ancora molti derivati in mano e punta a ottenere entro fine mese l'autorizzazione per arrivare al 30%. L’idea di lanciare un’opa? Per ora congelata: «Non siamo ben visti».
In tutto questo, la politica osserva, il Tesoro tesse trame sottili, e le Authority camminano sul filo. Le operazioni industriali si confondono con le strategie di potere. È un risiko vero, come non se ne vedevano da anni: fatto di denunce, assemblee a rischio implosione, voti al fotofinish e sussurri internazionali.
E alla fine, come sempre in finanza, non è questione solo di numeri, ma di narrazione. Nagel lo sa: se perde l’assemblea, perde il controllo del racconto. Orcel lo sa: se sbaglia la lettura politica, finisce in fuorigioco anche con una mano vincente. E in questo grande romanzo bancario, a scrivere l’ultimo capitolo non saranno le banche. Ma il mercato, e forse – come sempre più spesso accade – i tribunali.