Il risiko fa ricco chi non lo fa. Lo sa bene Carlo Messina, amministratore delegato di Intesa Sanpaolo, che ha appena chiuso “il miglior primo trimestre della sua storia” con 3,6 miliardi di utile netto. Un aumento del 13,6 per cento sull’anno precedente. E così mentre intorno a Piazza Affari impazzano strategie, colpi di scena, giochi di prestigio e la solita vecchia guerra per il potere di cui la politica, e non i soldi, è il fulcro, chi si tiene lontano dal caos sembra battere tutti sul tempo, che mai come in questi casi è denaro: “Stiamo realizzando importanti sinergie senza bisogno di fare acquisizioni ed evitando i rischi collegati”, ha detto Messina, i cui risultati oggi sono su tutti i giornali. L’ ad appena riconfermato per il prossimo triennio ha fatto anche sapere che la banca torinese non parteciperà al “mercato già affollato” delle acquisizioni, fugano ogni dubbio rispetto a un suo possibile coinvolgimento nella partita su Generali che vede coinvolte, tra gli altri, le attivissime Mediobanca, Monte dei Paschi e Unicredit.

A trascinare la crescita sono le commissioni, cresciute del 7 per cento e salite a 43 per cento sui proventi totali, un dato che quasi doppia la media europea. Strategicamente si è scelto di compensare così la perdita sugli interessi, dove il margine è frenato dell’8 per cento sia a causa dei tagli ai tassi dal 4 al 2,25 per cento decisi da Francoforte – sede della Banca centrale europea – che dalla scelta di non seguire il mercato degli impieghi bancari “drogato dalle scalate tra banche in corso”, aggiunge Messina. A questi numeri si aggiunge l’aumento dei proventi assicurativi e del trading – +1,5 per cento –, la diminuzione dei costi operativi dello 0,5 per cento e del rischio creditizio a 21 punti base. L’indicatore misura la probabilità che un debitore non sia in grado di adempiere ai propri obblighi di pagamento, sia di interessi che di rimborso capitale verso la banca. Il dato di Intesa significa che ogni 100 euro prestati, la banca “perde” solo 0,21 euro.

Dopo aver presentato i dati trimestrali, da Messina arriva un “abbraccio” al governo. Parlando dei risultati, cita il fatto che “in Italia ci troviamo in una posizione unica di stabilità e questo lo si deve al governo. Giancarlo Giorgetti e Giorgia Meloni stanno gestendo bene il tema del debito pubblico dando credibilità al Paese”. Sul piano internazionale anche gli analisti hanno accolto con favore i numeri della banca: JP Morgan ha parlato di “risultati solidi”, mentre l'indice bancario statunitense Kbw ha detto di “apprezzare l’assenza di incertezze legate a fusioni e acquisizioni”. Insomma, come in ogni processo di trasformazione come quello in corso nel panorama delle banche italiane, ad avvantaggiarsi maggiormente nelle fasi di transizione in cui i riferimenti sono pochi e la prudenza è ai massimi è chi sceglie di lavorare sottotraccia. E se sul lungo periodo gli scatti in avanti di Andrea Orcel (Unicredit), Alberto (Nagel) e Luigi Lovaglio (Monte dei Paschi) potrebbero portare alla nascita di un grande terzo polo del credito nazionale, per il momento a esultare sono le casse di chi mantiene la posizione.