Mentre tutti seguivano con apprensione Inter-Barcellona dall'altra parte del mondo qualcuno decideva di iniziare una nuova guerra. Nel momento in cui i blaugrana ribaltavano lo 0-2 subito dai nerazzurri e il Meazza si preparava al peggio, proprio in quel momento lì le agenzie internazionali annunciavano un attacco militare dell'India contro il Pakistan. Delhi ha lanciato l'Operazione Sindoor spiegando che gli attacchi contro Islamabad erano una risposta al massacro di 26 persone – per lo più turisti indiani – morte lo scorso 22 aprile quando uomini armati hanno assaltato il Kashmir indiano. In quel caso il gigante asiatico aveva attribuito il blitz a gruppi terroristici islamici collegati al governo pakistano, cosa che ovviamente il Pakistan nega. Dopo un'escalation diplomatica durata oltre due settimane, dunque, l'India ha colpito il suo acerrimo rivale. Cos'è successo? Versione indiana: l'operazione chirurgica, durata 25 minuti, ha preso di mira “infrastrutture terroristiche” appartenenti a due gruppi militanti: Lashkar-e-Tayyiba e Jaish-e-Mohammed. Non sono stati presi di mira siti civili. Versione pakistana: sono stati uccisi civili e colpite moschee, centrali elettriche e dighe. Colpita anche la densamente popolata provincia del Punjab. Il bilancio parla di oltre 30 morti e quasi 50 feriti ma nel momento in cui leggerete è probabile che i numeri saranno aumentati ancora. “Il Pakistan ha tutto il diritto di rispondere con forza a questo atto di guerra imposto dall'India”, ha dichiarato il premier pakistano, Shehbaz Sharif, convocando una riunione d'emergenza del Comitato di sicurezza nazionale.

È difficile capire cosa sia veramente successo. Anche perché fonti della sicurezza pakistane hanno riferito di aver abbattuto cinque jet dell'aeronautica militare indiana e un drone durante l'attacco nemico. Islamabad non ha specificato esattamente dove o come siano stati abbattuti i velivoli, ma hanno affermato che tra questi c'erano tre Rafale (caccia che l'India aveva acquistato dalla Francia solo pochi anni fa). I due Paesi, entrambi dotati di armi nucleari, si sono scambiati anche bombardamenti e colpi d'arma da fuoco lungo la Linea di controllo, il confine militare che divide la regione contesa del Kashmir, divisa in due parti amministrate separatamente da Delhi e Islamabad. Le autorità del Kashmir indiano hanno ordinato ai cittadini di evacuare le aree considerate pericolose. Insomma, il quadro è cupo e il rischio più grande è che questi due Paesi possano alimentare un testa a testa in un contesto di per sé già altamente infiammabile. Ma siamo veramente sicuri di trovarci di fronte a un semplice sca**o tra due nazioni che si odiano dai tempi della storia? Forse, dietro, c'è qualcosa di più grosso. Già, perché intanto il casus belli, ossia l'attentato avvenuto a Pahalgam, non sappiamo bene come nasca né chi lo abbia organizzato. Non è un caso che il governo indiano non abbia mai ufficialmente accusato il Pakistan o un gruppo terroristico preciso di quanto avvenuto, limitandosi a sospettare del vicino per poi colpirlo dovendo giustificare alla popolazione (sempre più ultra nazionalista) lo smacco ricevuto. E ancora: il massacro nel Kashmir indiano, causato da una manciata di persone (alcune catturate, altre bho, chissà), è avvenuto in concomitanza con la visita a Delhi di J.D. Vance, il vice presidente degli Stati Uniti arrivato fino in India per trattare con il primo ministro indiano Narendra Modi. Trattare non solo in merito al dossier commerciale e annessi dazi, ma anche riguardo la vendita di nuovissimi armamenti militari.

E quindi dove vogliamo arrivare? A parlare di Usa e Cina. Già, perché l'India sembrerebbe ormai essersi smarcata dalla Russia, fino a pochi anni fa suo principale fornitore di armi a basso costo di Delhi, per allinearsi a Stati Uniti, Francia e Israele (ovvero al blocco occidentale). Il Pakistan, invece, si è allontanato da Washington per abbracciare in tutto e per tutto Pechino. I flussi di armamenti parlano chiaro: il governo indiano oggi riceve il 36% di armi da Mosca (la percentuale arrivava all'80% nel 2006), il 33% dalla Francia, il 13% da Israele e il 10% dagli Usa; quello pakistano, invece, dipende per l'81% dalla Cina (il 36% nel 2006). Islamabad, la cui rilevanza per gli Usa è diminuita dalla fine della guerra in Afghanistan, non compra più, insomma, le attrezzature americane che gli Stati Uniti, in passato, incoraggiavano ad acquistare. Ecco, dunque, che tra India e Pakistan si scontrano le armi di Washington e Pechino. In vista, presumibilmente, del regolamento finale dei conti a Taiwan. Avete visto l'ultima copertina dell'Economist? C'è la bandiera taiwanese schiacciata da una pressa. E il titolo è emblematico: “The Taiwan test. It's closer than you think”. Il test Taiwan è più vicino di quanto pensiate. India-Pakistan è solo una semifinale come Inter-Barcellona.

