Solo grazie Inter: è questo che riesco a dire non appena è finita la partita mentre piango con le gambe che mi tremano e la stanchezza che hanno addosso quei gladiatori che ci hanno portato in finale di Champions. Il mio direttore ha scritto nella nostra chat “mi dispiace per voi che non siete interisti, perché non sapete cos’è l’amore”. Cazzo se è vero. Forse questa folle partita, questa sorta di maratona calcistica riassume perfettamente il DNA nerazzurro. Follia allo stato puro, imprevedibilità, incapacità di mollare. Siamo stati sublimi, soprattutto perché non abbiamo giocato con le gambe, ma con il cuore, con la mente e soprattutto con quella garra charrua che solo noi sappiamo cos'è. Abbiamo giocato con Thuram che forse in quelle gambe di minuti ne aveva solo 20, con Lautaro che ha stretto i denti per tornare in campo, pur essendosi fatto male solo mercoledì scorso, con Dimarco che dopo l’infortunio più di 60 minuti non li riesce a giocare, con Davide Frattesi, che è l’uomo delle notti europee. Con un Dumfries potentissimo, con Acerbi e quella magica incornata, con Sommer, che ci dimentichiamo troppo spesso, ma stasera ha fatto delle parate clamorose, feline, inspiegabili. E poi c’è quell’uomo che si chiama Simone Inzaghi, su cui tanti due settimane fa avevano qualcosa da ridire perché non ci stava facendo vincere il campionato.

Io non l’ho mai criticato e mai lo farò, perché è un puro, perché è un vero uomo, condottiero in grado di tenere perfettamente le redini di uno spogliatoio. Ora ci porta in finale. E, se vi devo dire la verità, per me la vera finale è stata stasera. Come in quel fottutissimo e indimenticabile 2010 in cui noi il triplate lo abbiamo vinto contro il Barcellona. E quando diciamo che è un qualcosa che non si può spiegare è perché io so benissimo che verrei presa per una pazza se raccontassi a tutti che a fine partita non riuscivo a smettere di piangere, se dicessi che ho passato giornate intere con lo stomaco chiuso non appena il mio pensiero si focalizzava su quel Prato verde di San Siro. Ho alternato in una distanza di pochissimi secondi momenti di pura gioia ad attimi di sofferenza atroce. Una sorta di bipolarismo non patologico in cui qualunque tifoso viscerale si imbatte inevitabilmente, perché sappiamo che non c'è una partita semplice è che finché l'arbitro non fischia siamo capaci di ribaltare, nel bene ma anche nel male, risultati che sembravano già scritti. Per l'intero ho viaggiato il mondo, ho fatto in nome del nero e dell'azzurro le più grandi follie, che rivendicò perché mi fanno sentire viva. Perché le vene che pulsavano a Davide in quel momento pulsavano anche a me, perché vedere Lautaro che si commuove non mi fa restare indifferente. Perché vedere quel mister così umile ma al contempo così magnifico mi fa venire voglia di abbracciarli e di essere loro grata per farmi vivere le emozioni più viscerali che io abbia mai assaporato.

Trasmetterle è complesso, ma sono sensazioni che pervadono la cute, gli organi interni, ogni meandro del cervello. Essere nerazzurri non è semplice, ma io lo ritengo il mio più grande (e forse unico) pregio. Sono battaglie che vanno oltre il calcio, che trasudano valori, che ci insegnano cosa sia la tenacia, la determinazione, la volontà. Ma credetemi se dopo 29 lunghi anni di interismo vi dico che la sofferenza è tanta, ma le gioie sono così intense da farti dimenticare tutti i momenti bui. Quei momenti che restano scalfiti come cicatrici, ma loro sanno farsi perdonare tutto. Sanno strapparti un sorriso quando pensavi che fosse tutto finito. Sono la dose perfetta e necessaria di imprevedibilità in un monotono ordine precostituito. Sono un magnifico caos che riesce a non farti mai smettere di sognare. Quindi sì, testa a Monaco, con la consapevolezza che abbiamo regalato al mondo intero una delle più belle notti di calcio mondiale.