Una stretta di mano calorosa, la classica pacca sulla spalla, un paio di battute di circostanza e tanti sorrisi. Per i giornali italiani la visita di Giorgia Meloni da Donald Trump è stata un successone, un trionfo clamoroso, una lezione per la sinistra europea. Se non altro per come il presidente degli Stati Uniti – quello che pochi mesi fa aveva bullizzato nel bel mezzo di una conferenza stampa un suo altro ospite, Volodymyr Zelensky – ha accolto il primo ministro italiano: senza ostilità e con parole di stima (“Meloni è una grande leader"). E per la promessa – forse più un'illusione – di esser disposto a volare fino a Roma per trattare con l'Unione europea sui dazi. Tutto per fare “di nuovo grande l'Occidente”. Ok, però intanto la realtà ci dice che l'Ue sta per collassare sotto i colpi di chi vorrebbe far di nuovo grande l'Occidente (leggi: le tariffe di Trump); del narcisismo avventato di qualche Paese membro da sempre abituato a decidere le sorti del continente, ma che ora si trova relegato in secondo piano (ogni riferimento a Francia e Germania è puramente casuale); dal preoccupante e avventato protagonismo del Regno Unito che vorrebbe piantare la sua bandierina sull'Europa al posto di quella statunitense; e dell'immancabile Russia che, tra mille discorsi e tanta diplomazia andata a vuoto, continua a martellare l'Ucraina a suon di missili e bombe. Ci sarebbero poi altri temi dolorosi da citare come il futuro della Nato (gli Usa vogliono che gli europei spendano di più), la fantomatica creazione di un esercito comune europeo e di come aggiustare i conti di una regione che, da ormai troppi anni, procede seguendo almeno tre o quattro velocità di crociera differenti.

Ecco, detto questo, si capisce perché abbia poco senso analizzare il vis a vis Meloni-Trump seguendo solo ed esclusivamente l'ottica italiana. Vanno benissimo gli squilli di tromba e le grida di giubilo, però bisognerebbe andare oltre per capire veramente perché la premier italiana sia volata fino a Washington. Perché lei e non il francese Emmanuel Macron a capo di una potenza nucleare europea o il tedesco Friedrich Merz alla guida del gigante economico del continente? Domanda interessante che può essere chiarita così: Meloni possiede le caratteristiche necessarie per dialogare con Trump. È l'emissaria perfetta di una Ursula von der Leyen che ha capito che l'Europa deve per forza cambiare strategia. E che per questo deve sondare più terreni, più opzioni, più strade in contemporanea. Conviene ancora, a Bruxelles, affidarsi solo e soltanto agli Stati Uniti vista l'imprevedibilità di The Donald (e l'ombra dei dazi che, sì, sono stati congelati, ma in via temporanea)? Meloni è quindi partita per gli States proprio per capirlo: se le trattative Ue-Trump andranno a buon fine allora la premier italiana diventerà la regina d'Europa, surclassando i vari Macron, Metz e company. Se i negoziati dovessero fallire von der Leyen potrebbe sempre puntare su altre piste...

Anche Pedro Sanchez potrebbe essere un emissario di Von der Leyen. Il primo ministro spagnolo è volato in Cina, a Pechino, per incontrare Xi Jinping e tendere la mano al Dragone. Con l'obiettivo, va da sé, di inaugurare una nuova era dei rapporti sino-iberici e, perché no?, convincere il Dragone a tornare a fare business serio nel continente. Soprattutto se Trump dovesse cambiare idea su Meloni e sulla possibilità di trovare un accordo con Bruxelles sulle tariffe. Non è finita qui, perché nelle settimane scorse si è mossa anche la stessa von der Leyen. La presidente della Commissione europea è stata in India per rafforzare i legami commerciali e diplomatici con il Paese più popoloso del mondo, accelerare un accordo di libero scambio (a lungo rimandato), e raggiungere un allineamento strategico di fronte all'ombra dei dazi. Von der Leyen ha partecipato anche al primo vertice tra l'Unione Europea e i cinque Stati dell'Asia Centrale – Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan, Turkmenistan e Uzbekistan – tenutosi a Samarcanda, Uzbekistan (in quell'occasione Bruxelles ha annunciato un piano di investimenti per la regione da 12 miliardi di euro, 2,5 dei quali destinati al settore minerario) e ha contattato telefonicamente lo sceicco Mohamed bin Zayed Al Nahyan, presidente degli Emirati Arabi Uniti (con il quale sono stati avviati i negoziati per un accordo di libero scambio e per approfondire la cooperazione in settori strategici come energia rinnovabile, idrogeno verde e materie prime critiche). Gli Usa non sono ancora perduti, ovviamente, ma l'imprevedibilità di Trump preoccupa Bruxelles che pensa a come tutelarsi qualora i rapporti con Washington dovessero deteriorarsi. È una questione di fondamentale importanza perché senza più l'ombrello americano e senza adeguate contromisure, l'Ue rischia di sciogliersi come neve al sole.

