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E se Meloni fosse un'emissaria di Von der Leyen? L'Ue gioca su più tavoli: Sanchez con Xi, l'Italia con Trump. Gli “stan”, le petromonarchie del Golfo e l'India. Ecco perché l'Europa rischia di scomparire

  • di Federico Giuliani Federico Giuliani

18 aprile 2025

E se Meloni fosse un'emissaria di Von der Leyen? L'Ue gioca su più tavoli: Sanchez con Xi, l'Italia con Trump. Gli “stan”, le petromonarchie del Golfo e l'India. Ecco perché l'Europa rischia di scomparire
L'Unione europea rischia di scomparire. Colpa della guerra dei dazi di Trump e non solo. E allora? O Bruxelles cambia strategia o muore. Lo ha capito benissimo Ursula Von der Leyen che non a caso ha iniziato a giocare su più tavoli diplomatici per capire dove conviene realmente puntare. È per questo che Meloni è volata negli Stati Uniti (nel tentativo di ricucire i rapporti Ue-Trump), Sanchez a Pechino (per sondare l'opzione cinese) e la stessa Von der Leyen in Asia centrale e poi in India?

di Federico Giuliani Federico Giuliani

Una stretta di mano calorosa, la classica pacca sulla spalla, un paio di battute di circostanza e tanti sorrisi. Per i giornali italiani la visita di Giorgia Meloni da Donald Trump è stata un successone, un trionfo clamoroso, una lezione per la sinistra europea. Se non altro per come il presidente degli Stati Uniti – quello che pochi mesi fa aveva bullizzato nel bel mezzo di una conferenza stampa un suo altro ospite, Volodymyr Zelensky – ha accolto il primo ministro italiano: senza ostilità e con parole di stima (“Meloni è una grande leader"). E per la promessa – forse più un'illusione – di esser disposto a volare fino a Roma per trattare con l'Unione europea sui dazi. Tutto per fare “di nuovo grande l'Occidente”. Ok, però intanto la realtà ci dice che l'Ue sta per collassare sotto i colpi di chi vorrebbe far di nuovo grande l'Occidente (leggi: le tariffe di Trump); del narcisismo avventato di qualche Paese membro da sempre abituato a decidere le sorti del continente, ma che ora si trova relegato in secondo piano (ogni riferimento a Francia e Germania è puramente casuale); dal preoccupante e avventato protagonismo del Regno Unito che vorrebbe piantare la sua bandierina sull'Europa al posto di quella statunitense; e dell'immancabile Russia che, tra mille discorsi e tanta diplomazia andata a vuoto, continua a martellare l'Ucraina a suon di missili e bombe. Ci sarebbero poi altri temi dolorosi da citare come il futuro della Nato (gli Usa vogliono che gli europei spendano di più), la fantomatica creazione di un esercito comune europeo e di come aggiustare i conti di una regione che, da ormai troppi anni, procede seguendo almeno tre o quattro velocità di crociera differenti.

Donald Trump e Giorgia Meloni
Donald Trump e Giorgia Meloni

Ecco, detto questo, si capisce perché abbia poco senso analizzare il vis a vis Meloni-Trump seguendo solo ed esclusivamente l'ottica italiana. Vanno benissimo gli squilli di tromba e le grida di giubilo, però bisognerebbe andare oltre per capire veramente perché la premier italiana sia volata fino a Washington. Perché lei e non il francese Emmanuel Macron a capo di una potenza nucleare europea o il tedesco Friedrich Merz alla guida del gigante economico del continente? Domanda interessante che può essere chiarita così: Meloni possiede le caratteristiche necessarie per dialogare con Trump. È l'emissaria perfetta di una Ursula von der Leyen che ha capito che l'Europa deve per forza cambiare strategia. E che per questo deve sondare più terreni, più opzioni, più strade in contemporanea. Conviene ancora, a Bruxelles, affidarsi solo e soltanto agli Stati Uniti vista l'imprevedibilità di The Donald (e l'ombra dei dazi che, sì, sono stati congelati, ma in via temporanea)? Meloni è quindi partita per gli States proprio per capirlo: se le trattative Ue-Trump andranno a buon fine allora la premier italiana diventerà la regina d'Europa, surclassando i vari Macron, Metz e company. Se i negoziati dovessero fallire von der Leyen potrebbe sempre puntare su altre piste...

Ursula von der Leyen
La presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen

Anche Pedro Sanchez potrebbe essere un emissario di Von der Leyen. Il primo ministro spagnolo è volato in Cina, a Pechino, per incontrare Xi Jinping e tendere la mano al Dragone. Con l'obiettivo, va da sé, di inaugurare una nuova era dei rapporti sino-iberici e, perché no?, convincere il Dragone a tornare a fare business serio nel continente. Soprattutto se Trump dovesse cambiare idea su Meloni e sulla possibilità di trovare un accordo con Bruxelles sulle tariffe. Non è finita qui, perché nelle settimane scorse si è mossa anche la stessa von der Leyen. La presidente della Commissione europea è stata in India per rafforzare i legami commerciali e diplomatici con il Paese più popoloso del mondo, accelerare un accordo di libero scambio (a lungo rimandato), e raggiungere un allineamento strategico di fronte all'ombra dei dazi. Von der Leyen ha partecipato anche al primo vertice tra l'Unione Europea e i cinque Stati dell'Asia Centrale – Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan, Turkmenistan e Uzbekistan – tenutosi a Samarcanda, Uzbekistan (in quell'occasione Bruxelles ha annunciato un piano di investimenti per la regione da 12 miliardi di euro, 2,5 dei quali destinati al settore minerario) e ha contattato telefonicamente lo sceicco Mohamed bin Zayed Al Nahyan, presidente degli Emirati Arabi Uniti (con il quale sono stati avviati i negoziati per un accordo di libero scambio e per approfondire la cooperazione in settori strategici come energia rinnovabile, idrogeno verde e materie prime critiche). Gli Usa non sono ancora perduti, ovviamente, ma l'imprevedibilità di Trump preoccupa Bruxelles che pensa a come tutelarsi qualora i rapporti con Washington dovessero deteriorarsi. È una questione di fondamentale importanza perché senza più l'ombrello americano e senza adeguate contromisure, l'Ue rischia di sciogliersi come neve al sole.

Donald Trump: venerato dai suoi elettori, odiato dai rivali
Il futuro dell'Unione europea passa (anche e soprattutto) da Trump
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