Donald Trump ha alzato i dazi come fossero un’arma di salvezza nazionale. Ma la guerra commerciale che ha scatenato rischia di essere l’ennesima battaglia persa in partenza – soprattutto per gli Stati Uniti. Federico Fubini, sul Corriere della Sera, descrive un’America spaccata in due: da un lato i diseredati della globalizzazione, dall’altro i vincitori delle borse e della Silicon Valley. Ma nessuno dei due mondi sembra beneficiarne davvero. Anzi. I dazi – i più alti mai imposti dagli Stati Uniti da oltre un secolo – stanno già mostrando il loro volto recessivo. Wall Street è in caduta libera: i risparmiatori americani hanno perso in media 47.500 dollari ciascuno, scrive Fubini. E i consumi – che rappresentano oltre due terzi del Pil americano – iniziano a contrarsi, colpiti dall’inflazione su beni importati e dall’incertezza economica. Se la prima America (quella dei debiti, dei mutui, dei lavori precari) sperava in un rilancio industriale, rischia invece di trovarsi ancora più povera.

Ma il vero problema è che le fondamenta teoriche di questa strategia sono fragili. Lo dimostra l’articolo di Valentina Iorio, sempre sul Corriere, che smonta punto per punto la “matematica” alternativa di Trump. Il tycoon giustifica le tariffe sull’Unione Europea parlando di un inesistente dazio del 39% imposto da Bruxelles ai prodotti americani. In realtà, la media ponderata dei dazi europei è poco sopra l’1%, e spesso inferiore a quelli statunitensi. La sua è una narrazione costruita più su slogan che su numeri. Lo stesso discorso vale per le presunte “barriere non tariffarie” europee, come gli standard ambientali e sanitari. Non sono strumenti di ritorsione, ma regole a tutela dei consumatori e della concorrenza leale. E anche in campo digitale – dove Trump accusa l’Ue di ostacolare i colossi americani – gli Stati Uniti restano dominanti: l’Unione ha un deficit di 109 miliardi nei servizi, gran parte dei quali forniti da Big Tech. L’ironia? Le misure di Trump rischiano di rafforzare proprio i suoi avversari. Come spiega Fubini, la Cina ha colto la palla al balzo per accelerare la creazione di un sistema di pagamenti internazionale alternativo allo Swift occidentale. E anche il Canada sta adottando una linea dura, fiutando la debolezza americana. Solo l’Europa – e in particolare l’Italia – sembrano ancora incerte sul da farsi. Se Biden tentava la reindustrializzazione con sussidi pubblici interni, Trump prova a farla pagare al resto del mondo. Ma la realtà è che nessuna economia può reggersi su dazi e minacce permanenti. La guerra commerciale è iniziata come una mossa populista. Potrebbe finire come un autogol storico.
