È da qualche settimana, ormai, che l’ultima notizia sulla finanza italiana è sempre la penultima. Perché c’è sempre una nuova data da segnare in rosso sul calendario o un annuncio improvviso che spariglia il tavolo del risiko bancario. L’ultimo è quello di Alberto Nagel, da vent’anni amministratore delegato (ad) di Mediobanca, che dalla storica sede di Piazzetta Cuccia fa un gioco di prestigio in piena regola: perché in nessun altro modo si può definire l’offerta pubblica di scambio da 6,3 miliardi di euro con cui il banco milanese si è presa Banca Generali utilizzando il 13 per cento di partecipazione nella stessa Generali. Nagel ha piazzato il treppiedi, disposto le tre carte e beffato in un sol colpo i principali avversari del momento. Da un lato Luigi Lovaglio, ad Monte dei Paschi, con un’azione da molti interpretata come un tentativo di difesa dall’offerta di pubblico scambio (ops) lanciata dall’istituto senese. Dall’altra l’imprenditore romano Francesco Gaetano Caltagirone, avversario – sconfitto – di Mediobanca nel voto sul rinnovo del board di Generali consumatosi solo qualche giorno fa e grande sostenitore della suddetta ops: “Con la mossa su Banca Generali, e la cessione definitiva del suo 13 per cento in Generali, il manager vanifica l’assalto: che se ne fanno Caltagirone e Milleri – altro imprenditore e socio rilevante, come il primo, sia di Piazzetta Cuccia che di Generali – di Mediobanca, se in pancia non ha più quella gallina dalle polizze d’oro? Se ti sposti nella capitale, nella piccola ma sontuosa Versailles a ridosso di Parioli dove abita il “Calta”, il clima è pesante”, scrive Massimo Giannini su Repubblica.

Chi conosce Nagel sa che non si sarebbe mai lasciato “predare” senza tentare il colpo di reni. Ma ciò che è andato in scena è forse molto più di una semplice strategia difensiva, perché prendendosi Banca Generali Piazzetta Cuccia cambia il proprio ruolo nella partita, passando dal ruolo di socio a quello di partner finanziario e gettando le basi per una strategia industriale molto più competitiva, che ha i numeri per creare un vero campione nazionale del risparmio autogestito. Che si tratti di una partnership solida e capace anche di attaccare alle offensive di Caltagirone, Delfin – che rappresenta gli interessi dei Del Vecchio – e compagnia cantante, è evidente: lo ha certificato la rielezione – la quarta – di Philippe Donnet al vertice del leone triestino, che con il voto decisivo di Mediobanca è scampato al tentativo di “scalpo” che Caltagirone e Milleri provano fargli da anni: “Nagel è un genio, perché non solo questa operazione avviene mentre Mediobanca è oggetto di una Ops da parte di Caltagirone e Delfin, dunque sotto passivity rule e dovrebbe astenersi dal fare azioni difensive, ma il socio che ha con il suo voto determinante nominato il nuovo Cda ora si attende che lo stesso Cda dica sì a tutto questo e sia così totalmente delegittimato agli occhi del mercato”, commenta critico Mario Sechi dalle pagine Libero. In questo contesto Generali potrebbe avere tutte le condizioni favorevoli per concentrarsi su capitolo Natixis, uno scenario che sa di catastrofe per stesso Caltagirone e al governo, che aprirebbe la pancia del leone alla collaborazione con i francesi. Per molti, questo significherebbe consegnare parte del proprio risparmio nazionale a una logica di dipendenza d’oltralpe.

E proprio il governo sembrerebbe il terzo naso bagnato da Nagel in questa storia: “Il governo dovrebbe fare l’arbitro e invece gioca a sua volta la partita, prima con la “legge capitali” che avvantaggia le liste di minoranza nei cda, poi con l’uso strumentale del golden power, su Unicredit-Bpm e sugli altri dossier cari a Giorgia e ai suoi Fratelli”. Il riferimento di Giannini è al regime speciale applicato da Palazzo Chigi sull’altra grande ops del momento, quella dell’ad di Piazza Gae Aulenti Andrea Orcel su Banco Bpm. Il ministero dell’Economia ha posto una serie di condizioni proibitive a Unicredit, che rischiano di fargli mollare la presa su Bpm. Orcel, il cui piano aveva già incassato l’ok sia della Banca d’Italia che della Banca centrale europea, si è più volte detto contrariato dall’esercizio del Golden Power che, a suo dire, non risponderebbe agli stessi criteri per tutte le opa in corso, con un chiaro riferimento proprio a Monte dei Paschi. Il ministero dell’Economia aveva acquisito la maggioranza delle azioni di Mps nel 2017, dopo l’ennesima operazione di salvataggio. A fine 2024 ha venduto una tranche di quote azionarie, la terza, pari al 15 per cento, rispettando le indicazioni dell’Unione Europea, che prevedevano di scendere sotto al 20 per cento entro la fine del 2024. Ora possiede l’11,7 per cento delle quote. Forse anche per questo motivo Palazzo Chigi ha adotta, finora, un doppio standard sul quale è intervenuta anche Bruxelles. Un atteggiamento del quale parrebbero essersi accorti tutti: “La Sorella d’Italia – Meloni ndr – finora ha sostenuto Caltagirone e Milleri. Cos’altro può inventare per ribaltare i rapporti di forza? Difficile dire. Nel frattempo una frase chiave di Nagel, consegnata ai cronisti, dice tutto. A domanda «è soddisfatto del ruolo che sta esercitando il governo», l’allievo di Cuccia sorride: «Qual è la domanda successiva?». Difficile dargli torto”, conclude Giannini.