I mugugni di Bruxelles fanno venire a galla il braccio di ferro tra Unicredit e Palazzo Chigi. Una contesa che prende corpo nelle parole di Andrea Orcel, amministratore delegato della banca di piazza Gae Aulenti, e nell’apparente sottrarsi Giorgia Meloni e del suo governo, che sembra essersi ricompattato dopo le frizioni causate dall’esercizio del Golden Power annunciato lo scorso venerdì. È arrivato il monito di Thomas Regnier, portavoce dell’Unione europea, a increspare una situazione che vive oggi una situazione di quiete apparente, perché motivata dall’assemblea degli azionisti riunita al porto vecchio di Trieste per decidere il nuovo board del gigante giuliano: “Gli Stati mem- bri mantengono la responsabilità di attuare restrizioni alle libertà di mercato attraverso le loro leggi nazionali, ma è molto importante che questi limiti alle diverse libertà mentali siano consentite solo se proporzionate e basate su un legittimo interesse pubblico”, ha detto Regnier, che ha poi invitato ad un utilizzo “proporzionato” dei poteri speciali. Orcel insiste proprio sull’avallo già ricevuto sia dalla Banca centrale europea che dalla Banca d’Italia per l’offerta pubblica di scambio lanciata a Banco Bpm e che dovrebbe partire ufficialmente lunedì. Ma le condizioni stringenti poste dalla Golden Power governativa stanno incrinando pesantemente i rapporti tra Roma e Unicredit, tanto che sia Orcel che il suo cda parlano di operazione possibile “ma non a tutti i costi”. Ed è anche tenendo conto di questa partita che il voto di Unicredit a sostegno della lista di Francesco Gaetano Caltagirone su Generali potrebbe rivelarsi cruciale, sia nel determinare la guida e le relazioni di uno dei più importanti istituti italiani che nel chiarire il posizionamento di piazza Gae Aulenti rispetto a Mediobanca – che presenta l’altra lista, a sostegno dell’amministratore delegato uscente Philippe Donnet.

Mercoledì sera la bilancia di Unicredit ha detto “Caltagirone”. Il cda straordinario convocato dal Orcel era volto proprio a determinare la linea da adottare nel corso del voto su Generali, nel cui pacchetto azionario Unicredit pesa per il 5-10 per cento. La lista collegata all’imprenditore romano ha prevalso rispetto alle altre ipotesi; tra tutte a convergenza con Mediobanca su Philippe Donnet e Andrea Sironi, rispettivamente ad e presidente del leone. Al Generali Convention Center di Trieste la partecipazione è da record: secondo quanto reso noto da Milano Finanza vota il 68,7 per cento del capitale, di cui il 14,8 per cento in presenza e il 53,8 per cento con delega. Le rilevazioni della vigilia danno il fronte dell’imprenditore romano accreditato per un totale del 26,75 per cento delle azioni, con il 33 per cento circa invece Piazzetta Cuccia e un 5 per cento ancora da assegnare. Secondo gli osservatori la lista di Mediobanca dovrebbe avere in tasca una percentuale utile a garantire il successo, mentre la lista a sei nomi presentata da Caltagirone resterebbe sotto al 30 per cento, che complicherebbe la “governabilità” del leone e renderebbe la nuova assemblea dipendente da un appoggio di natura ancora poco chiara. Ma l’appoggio di Orcel potrebbe contribuire a rendere tutt’altro che scontato un esito fino a questo momento più pendente verso Mediobanca. La posizione annunciata da Unicredit potrebbe infatti rappresentare un elemento decisivo nel ribaltone auspicato Caltagirone, che in quel caso avrebbe la forza necessaria a bloccare l’alleanza nella gestione dei patrimoni tra Generali e i francesi di Natixis, che contribuirebbe a generare un gigante italo-francese del risparmio con 1.900 miliardi di asset complessivi. Uno scenario che, secondo La Stampa “significherebbe per il governo spostare verso Parigi gli equilibri del principale acquirente del debito privato italiano”. Secondo il quotidiano torinese, “la mossa di Unicredit conferma che il passaggio assembleare di oggi non sarà definitivo. Mediobanca è infatti sotto scalata da parte del Monte dei Paschi di Siena. Se l’operazione lanciata da Luigi Lovaglio, con il sostegno degli azionisti Mef (il ministero dell’Economia e Finanze), Caltagirone e Delfin, andasse in porto, i vertici di Trieste potrebbero cambiare ancora”.

Intanto, tornando all’altro fronte aperto di Unicredit, tutto tace. Palazzo Chigi non si è infatti espresso sulla richiesta di Orcel di un incontro per discutere dei vincoli del Golden Power: “Ha prevalso la linea dell’attesa” scrive La Repubblica “integrata dalla considerazione ribadita che il governo non è tenuto a rispondere a Unicredit”. Oltre a Bruxelles, a esprimersi sulla vicenda sono stati però anche i media internazionali. Il Financial Times ha definito i poteri speciali “un’ingerenza purtroppo in linea con i tempi” aggiungendo che “l’aumento dell’incertezza potrebbe accrescere i costo del capitale per le imprese italiane”. Critiche analoghe alla posizione tenuta da Antonio Tajani e tutta Forza Italia nei giorni scorsi. In attesa del voto su Generali resta da capire se il sostegno di Orcel, ventilato da molte fonti vicine all’istituto, a Caltagirone – il cui obiettivo di sbarrare la strada ai francesi gode dell’appoggio del governo – possa determinare un ammorbidimento di Roma nei confronti di piazza Gae Aulenti, magari a seguito di un ulteriore confronto volto ad accorciare le distanze fra le vedute.
