Nel teatro opaco e affascinante dell’alta finanza italiana, Monte dei Paschi di Siena si trova al centro di una tempesta perfettamente coreografata: un’offerta pubblica di scambio su Mediobanca, l’appoggio di Banco BPM, il ritorno strategico dello Stato e — ciliegina sulla torta — una maxi-causa da 741 milioni di euro intentata proprio da uno dei principali sostenitori dell’operazione, Francesco Gaetano Caltagirone.
L’intreccio ha il sapore di un romanzo giallo scritto da un giurista. Eppure è realtà pura: la più antica banca del mondo, risorta dopo anni di commissariamenti e ricapitalizzazioni pubbliche, punta ora a un salto di scala tramite la fusione con Mediobanca. Un’unione che, nelle intenzioni del CEO Luigi Lovaglio, darà vita a un “campione nazionale” del credito, come dichiarato in assemblea: «La nostra banca è più che pronta anche per guidare un nuovo processo di sviluppo, industriale e sinergico».
Ma il vero colpo di scena è arrivato nei documenti dell’assemblea del 17 aprile, dove si scopre che sei società del gruppo Caltagirone hanno avviato nel 2022 una causa civile presso il Tribunale di Roma, chiedendo a MPS un risarcimento di 741 milioni di euro per danni legati agli investimenti effettuati tra il 2006 e il 2012. Paradossalmente, parte di quel periodo coincide con il ruolo dello stesso Caltagirone come vicepresidente della banca (2009-2012). Oggi, quell’ex dirigente è anche il secondo azionista dell’istituto con una quota del 9,9%. La banca ha replicato con fermezza: contesta nel merito tutte le accuse e invoca la prescrizione. “Non risultano trattative in corso per una composizione bonaria del giudizio”, precisa MPS.

Castagna, Bpm e la mossa che sposta gli equilibri
In questo quadro ad altissima tensione, il sostegno del Banco BPM, guidato da Giuseppe Castagna, si rivela una pedina cruciale. Il CdA dell’istituto milanese ha ufficializzato il proprio sì all’OPS su Mediobanca, facendo pendere la bilancia dalla parte di Lovaglio. Non si tratta solo di un calcolo economico, ma anche politico e strategico. La vicinanza di Castagna all’attuale governo — certificata lo scorso novembre dall’ingresso del Tesoro nel capitale MPS — gioca un ruolo chiave.
E non è tutto: Castagna, con questa mossa, restituisce il favore a Caltagirone, che nelle settimane precedenti aveva contribuito a far saltare l’OPA su Anima Holding (partecipata sia da Banco BPM che da MPS) cedendo il suo 5,84% a Piazza Meda. Un gesto che si rivela ora parte di un’architettura di alleanze più vasta, che vede allineati Tesoro (11,7%), Delfin (9,8%), Banco BPM (5%) e Caltagirone (quasi 10%).
L’adesione formale del Banco BPM ha anche un effetto numerico di peso: secondo le stime di partecipazione assembleare (70-75% del capitale), la soglia dei due terzi — necessaria per approvare l’aumento di capitale a supporto dell’OPS — è abbondantemente superata.
Il fronte del sì (e quello del forse)
Oltre ai già citati Tesoro, Delfin, Caltagirone e BPM, anche Anima SGR (4%), guidata da Alessandro Melzi d’Eril, si è dichiarata favorevole. Appoggiano l’offerta anche le fondazioni bancarie, tra cui la Fondazione Cariplo, che ha confermato: «Seguiamo le indicazioni della Fondazione Montepaschi». Presente anche il sostegno delle casse di previdenza: Enpam e Enasarco, che insieme rappresentano circa il 5% del capitale.
Sul fronte opposto, però, non manca lo scetticismo: Algebris, Pimco, Norges Bank dicono sì, ma altri grandi player globali, come State Board of Administration Florida, Calvert, New York City Comptroller e Cpp Investments, hanno espresso parere contrario. Le preoccupazioni? I rischi sulla governance futura, l’impatto sul CET1 (l’indice di solidità patrimoniale) e soprattutto il possibile rallentamento nelle sinergie fiscali legate ai DTA (crediti d’imposta), in caso di mancato raggiungimento del 66,67% di Mediobanca.
La banca, in una nota integrativa pubblicata a stretto giro, conferma: «L’obiettivo resta il 66,67%, ma in caso di revisione al ribasso si potrebbero verificare ritardi nella realizzazione delle sinergie e nella fusione vera e propria». E quindi anche nella possibilità di monetizzare subito i DTA, uno degli elementi più attraenti dell’operazione.

Un’alleanza fragilissima?
Nel mezzo di tutto questo si muove MPS, forte di numeri in netta crescita e di un rinnovato favore del mercato. Ma con un futuro che resta sospeso tra la visione industriale e le tensioni legali. Il paradosso è che uno dei maggiori sponsor dell’operazione, Caltagirone, è anche il protagonista della più ingombrante mina sul cammino dell’istituto. E i rapporti economici tra le parti — come i 2,4 milioni di euro l’anno pagati da Mps per l’affitto di sette immobili di proprietà del gruppo romano — aggiungono solo ulteriori sfumature a un mosaico già straordinariamente complesso.
In conclusione, l’OPS Mps-Mediobanca non è solo un affare finanziario. È un atto politico, una partita di scacchi ad altissimo livello tra banche, fondi, imprenditori e Stato. Una mossa che potrebbe ridisegnare la geografia del credito in Italia. Eppure, come insegna la finanza, ogni fusione è anche una frizione. E Lovaglio dovrà dimostrare che il gioco vale davvero il rischio.