C’è qualcosa di profondamente teatrale, quasi brechtiano, nel risiko bancario europeo in corso. Da una parte Andrea Orcel, ceo di Unicredit, che da mesi lavora al millimetrico progetto di penetrare il sistema bancario tedesco attraverso una scalata “soft” a Commerzbank. Dall’altra, Luigi Lovaglio, timoniere di Mps, che propone un’accoppiata tutta italiana con Mediobanca per creare il "terzo polo" del credito. In mezzo, un campo minato fatto di regolatori, governi, bonus sbloccati, crediti fiscali, e un uomo d'affari che da solo muove miliardi: Francesco Gaetano Caltagirone.
Benvenuti nel risiko bancario versione 2025. Un gioco pericoloso dove le regole si scrivono mentre si gioca.
Orcel contro il muro tedesco
Il primo a esporsi è stato Orcel. Forte del via libera della Bce, ha trasformato i suoi derivati in una partecipazione significativa in Commerzbank, con la possibilità di salire fino al 29,9%. Un passo enorme, e non solo per dimensioni: Unicredit ambisce a diventare la prima vera banca paneuropea, in grado di competere con colossi come JPMorgan e BNP Paribas.
Ma Berlino ha detto no. Un no educato, diplomatico, ma fermo. Bettina Orlopp, ceo di Commerzbank, ha ricordato che «il nuovo ministro delle Finanze ha detto che continuano a non gradire l’approccio che c’è stato finora da parte di Unicredit», e ha aggiunto che anche «la Cdu ha fatto dichiarazioni in questo senso» (Milano Finanza). Traduzione: potete comprare quote, ma non il potere.
Christine Lagarde, presidente della Bce, ha provato l’equilibrismo: «Le aggregazioni sono auspicate», ma ha anche avvertito che «non dovremmo rinunciare a un sistema che garantisce la resilienza» delle banche europee (Corriere della Sera). Un colpo al cerchio, uno alla Borsa di Francoforte.
Dietro le quinte, il vero ostacolo è il MES, il Meccanismo Europeo di Stabilità, che la Germania considera indispensabile per garantire un paracadute a eventuali colossi bancari in crisi. Peccato che l’Italia, guidata da Giorgia Meloni, non abbia ancora ratificato il trattato. Così, da Berlino si alza il cartello “stop”: niente matrimonio finché non c’è un notaio con il MES in tasca.

Lovaglio e la terza via: Siena + Milano = Roma?
Se Orcel guarda a nord, Lovaglio punta al centro. L’amministratore delegato di Mps è convinto che l’unione con Mediobanca possa creare il terzo player del credito italiano. Un’alternativa sia ai colossi internazionali, sia al duopolio Intesa-Unicredit.
Alla Morgan Stanley European Financials Conference, Lovaglio è stato chiarissimo: «La nostra unica ambizione è essere la terza forza con Mediobanca. La quota in Generali non è cruciale» (Milano Finanza). In altre parole: non vogliamo dominare Trieste, vogliamo contare a Roma.
Il progetto si fonda su due leve: la complementarietà dei business (credito al consumo con Compass, consulenza con Widiba e Premier) e la leva fiscale delle DTA, i crediti d’imposta che valgono 1,5 miliardi. «Le DTA sono contante dal primo giorno», ha detto Lovaglio, rivendicando la capacità di pagare un payout del 100% agli azionisti (Milano Finanza).
Eppure, da Mediobanca, il ceo Alberto Nagel resta gelido: «L’offerta genererebbe una diluizione a doppia cifra dell’utile per azione di Mps» (Corriere della Sera). Per Nagel, è un autogol.

Bonus, assemblee e pacchetti: la primavera di Caltagirone
In questo scacchiere in fermento, Francesco Gaetano Caltagirone gioca la sua partita. Detiene quote in Mps, Mediobanca e Generali per un valore di 5,4 miliardi. E ora che il periodo assembleare si avvicina, si prepara a contarsi. Per farlo ha ottenuto un prestito da 500 milioni da Intesa Sanpaolo, dando in pegno le sue azioni in quei tre gruppi (Milano Finanza).
L’obiettivo? Aumentare il peso in vista dell’assemblea Generali del 24 aprile. Mediobanca presenterà una lista forte con il ceo Philippe Donnet, ma Caltagirone ha preparato una lista “corta” guidata da Flavio Cattaneo. È un déjà-vu del 2022, ma con più tattica e meno scenografia.
Anche in Mps, il suo peso è cresciuto: dopo l’acquisto del 3,5% post-privatizzazione, è salito all’8%. E nell’assemblea del 17 aprile sarà decisivo per approvare l’aumento di capitale e sancire la fusione con Mediobanca.
Nel frattempo, Luigi Lovaglio incassa anche sul piano personale: sbloccato dal vincolo UE sugli aiuti di Stato, riceverà un bonus da 1 milione di euro, distribuito su più anni e per il 60% in strumenti finanziari (Milano Finanza).
Una guerra di trincea, non una cavalcata
Nel gioco delle banche, nessuno corre da solo. Le mosse di Orcel hanno bisogno di Bruxelles, quelle di Lovaglio del MEF. E Caltagirone, il “re Mida silenzioso” del capitalismo italiano, sa che la vera forza sta nel peso assembleare.
Il grande rischio? Che il risiko si trasformi in una guerra di logoramento. Con i regulator a fare i portieri, i governi a frenare, e i soci di minoranza a subire.
Le aggregazioni bancarie non sono solo fusioni di bilanci. Sono incroci di potere, ambizione e strategia. E per funzionare, serve che tutti – da Siena a Francoforte, da Roma a Berlino – abbiano lo stesso orizzonte.
Per ora, però, ognuno gioca per sé. E in Europa, la partita è ancora tutta da vincere.
