Si è aperta una faglia a Palazzo Chigi. Una frattura che parte dalla capitale politica d’Italia, Roma, per arrivare a quella economica, Milano. Rischiando di trascinare dentro di sé finanza e politica. A scuotere gli equilibri ci ha pensato il dpcm varato in Consiglio dei ministri con cui il governo di Giorgia Meloni ha imposto l’esercizio del Golden Power sull’operazione di pubblico scambio (ops) lanciata da Unicredit a Banco Bpm. La scalata finanziaria con cui l’amministratore delegato di piazza Gae Aulenti, Andrea Orcel, punta a cambiare il volto del settore bancario in Italia. Ma l’intervento di Palazzo Chigi proprio mentre si consumava il venerdì Santo l’operazione potrebbe aver condotto l’ambiziosa operazione a un binario morto. Con il Golden Power il governo ha imposto una serie di condizioni a Unicredit, sulle quali l’istituto bancario riserva ancora molti dubbi: “Per ora fonti vicine a Piazza Gae Aulenti confermano che l'operazione è viva ma che su essa pende una pesante spada di Damocle. Un passo indietro insomma non è escluso e il tema potrebbe essere discusso nel cda di Unicredit previsto tra domani e venerdì”, scrive Milano Finanza. La verità è che Orcel e Unicredit puntano a risolvere la crisi prima dell’inizio dell’opa, fissato per lunedì 28 aprile. Una vera e propria corsa contro il tempo in cui non si esclude nemmeno un ricorso al Tar.

Unicredit non ha mai fatto mistero delle perplessità sulle posizioni di Palazzo Chigi, criticando il ricorso al Golden Power: “non è comune e non è chiaro perché sia stato invocato in relazione a questa specifica operazione, ma non per le altre operazioni simili attualmente in corso sul mercato italiano. Inoltre le prescrizioni si prestano a diverse interpretazioni e appaiono non completamente allineate con la legislazione italiana e comunitaria, oltre che con le decisioni delle autorità regolamentari”. In effetti, la scalata di piazza Gae Aulenti non è l’unica a cui il settore bancario si prepara. Pochi giorni fa gli azionisti di Monte dei Paschi hanno votato compattamente sulla ricapitalizzazione che dovrebbe supportare l’opa a Mediobanca, in un’altra operazione potenzialmente molto rilevante nei numeri e nei volumi mobilitati. Nel contrapporre le proprie ragioni al “muro” di Palazzo Chigi, Unicredit cita poi l’avallo già attivato dalla Banca d’Italia e dalla Banca centrale europea. Un via libera che non ha però impedito al governo di fare ricorso ai poteri speciali. Il dpcm varato venerdì in Consiglio dei ministri si articola in dodici pagine. Ad essere particolarmente rilevante è il passaggio in cui si specifica che l’istituto “rientra tra le imprese che detengono beni e rapporti di rilevanza strategica” e che controlla anche “Anima Holding e detiene partecipazioni rilevanti in Numia Holding”. È per questo motivo che il ministero dell’Economia, sottolinea il documento, “ha ritenuto che dall’operazione notificata residuino rischi concreti per la sicurezza nazionale” e che “la minaccia di grave pregiudizio per l’interesse nazionale sia adeguatamente mitigabile attraverso l’esercizio dei poteri speciali”. In merito alle varie prescrizioni contenute nel documento, la banca guidata da Orcel ha ribadito la “chiara intenzione di mantenere o incrementare l'esposizione dell'entità combinata alle pmi e di supportarle ulteriormente con le proprie fabbriche prodotto di eccellenza”. Unicredit ha poi aggiunto che “continuerà a gestire gli asset dei suoi clienti nel loro migliore interesse e si impegna a continuare a ridurre la propria presenza in Russia, già diminuita del 90 per circa negli ultimi tre anni, in linea con la decisione della Bce”.

La questione dell’uscita dalla Russia è stato uno degli elementi di maggior frizione negli ultimi giorni. Certo, la richiesta iniziale di abbandonare il mercato russo entro 90 giorni – poi diventati 9 mesi – equivaleva per Orcel ad un obbligo di svendita dei propri asset al primo offerente – con il rischio di attrarre soprattutto le attenzioni agli oligarchi vicini a Putin – ma anche internamente al governo gli elementi di frizione non sono mancati. Sull’utilizzo del Golden Power si è infatti agitata l’ala più moderata della maggioranza di governo. Il leader di Forza Italia e ministro degli Esteri Antonio Tajani si era già espresso contrariamente all’intervento dei poteri speciali nel mercato, parlando di “possibili danni alla sana gestione” di Unicredit. Ad allertare il partito di proprietà della famiglia Berlusconi è soprattutto il timore che l’atteggiamento “statalista” del governo – il quotidiano Domani parla di “orbanizzazione” – abbia un impatto negativo sugli investimenti internazionali. Il ricorso ai poteri speciali – seppur accogliendo alcuni correttivi richiesti – restano un boccone amaro per il partito di Tajani, che mal si concilia con il ruolo di “sentinella del liberalismo” che Forza Italia si è auto-conferito nella formazione di governo.

Nel frattempo, il susseguirsi di botta e risposta e brusche frenate non ha lasciato indifferenti i mercati. Gli analisti sottolineano rischi crescenti in merito all’esito dell’operazione e nei corridoi della finanza già si scommette sul nulla di fatto. Secondo Equita, citata da La Verità, “le prescrizioni governative rischiano di compromettere l’attrattività dell’operazione”. A pesare sulle scelte degli investitori sarebbero “l’assenza di Danish compromise nell’opa di Banco Bpm su Anima e l’uscita obbligata dalla Russia, che avrebbero un impatto significativo sul patrimonio di Unicredit”. Anche Standard & Poors resta sul chi va là, rimandando ancorando il giudizio sulla solidità dell’istituto – nel frattempo promosso ad un rating BBB+ – all’esito delle operazioni strategiche in corso. Come detto, pur continuando a credere nella fattibilità dell’operazione, l’opa su Banco Bpm non è l’unico fronte aperto per Unicredit. Prima del 28 aprile, la data segnata sul calendario di Orcel è sicuramente quella di giovedì 24, giorno in cui si voterà sul rinnovo del board di Generali. Si ritiene che piazza Gae Aulenti detenga tra il 5 e il 10 per cento di Generali, per cui il voto di Orcel potrebbe pesare non poco su una sfida che è lontana dall’essere scontata. La lista di Mediobanca che appoggia la rielezione di Pilippe Donnet appare in vantaggio, ma sul voto di giovedì restano molte incognite. A Donnet, l’avversario Francesco Gaetano Caltagirone contrappone una lista di 6 candidati al Cda: “Al momento – spiega il Fatto Quotidiano – Mediobanca può contare sui voti di almeno il 34 per cento del capitale contro il 20 per cento circa di Caltagirone&C.” Ed è in questa forbice che i voti di Unicredit, di Delfin (famiglia Benetton) e il possibile inserimento di Intesa Sanpaolo e del sui Carlo Messina – che attende l’assemblea dei soci del 29 aprile che potrebbe riconfermarlo – potrebbero farsi sentire.
