Il consolidamento bancario italiano naviga in acque agitate, così sembrerebbe perlomeno, con le offerte pubbliche che procedono a rilento ma nascondono strategie più raffinate del previsto. “Risiko in alto mare”, scrive Luca Gualtieri su Milano Finanza. Così sembra. Bisogna però chiarire un aspetto. Ossia che non sempre l'obiettivo è il controllo totale: spesso basta conquistare le soglie minime per raggiungere gli scopi industriali e di governance. Per ora in questo quadro frammentato, l’operazione conclusa con successo è stata quella di Banco Bpm su Anima, che ha raggiunto l'89,95% nonostante l'iniziale soglia minima fissata al 66,67%. Un risultato che ha permesso a Piazza Meda di complicare significativamente la scalata di Unicredit, dimostrando come gli obiettivi tattici possano essere altrettanto importanti di quelli industriali. Sul fronte opposto, si colloca l'offerta di Unicredit su Banco Bpm langue con adesioni ferme allo 0,02% prima della sospensione Consob “complice un concambio che implica uno sconto di oltre il 6% rispetto al prezzo di mercato”, (Milano Finanza). Tuttavia, mantenere il prezzo attuale potrebbe essere una strategia deliberata per preservare gli indici patrimoniali e la politica di distribuzione del gruppo. L'analisi delle diverse operazioni rivela approcci differenziati alle soglie di controllo. Bper su Popolare di Sondrio ha fissato una soglia minima del 35%, ottenendo già il via libera Bce. Anche senza raggiungere la maggioranza assoluta, l'istituto modenese guidato da Gianni Franco Papa potrebbe portare a casa il controllo di fatto. Diversa la strategia di Banca Ifis su Illimity, dove l'offerente ha alzato la soglia minima dal 45% al 60% per contrastare l'accordo di consultazione guidato dal fondatore Corrado Passera. L'operazione, unica stabilmente a premio, ha raccolto oltre il 24% delle adesioni ma deve superare la nuova soglia per evitare effetti destabilizzanti.

L'operazione più complessa? Resta quella di Montepaschi su Mediobanca. Sebbene Luigi Lovaglio punti ufficialmente al 66,7% di Piazzetta Cuccia, anche il 50% più un'azione garantirebbe il controllo dell'assemblea straordinaria, essenziale per procedere con una fusione e sfruttare le attività fiscali differite. Una partecipazione tra il 35% e il 50% limiterebbe il controllo alla sola assemblea ordinaria, ma consentirebbe comunque di azzerare il consiglio di amministrazione e influenzare gli equilibri in Generali. Come sottolinea l'analisi condotta da Gualtieri, “scendere sotto la maggioranza assoluta precluderebbe per Mps l'accesso immediato a 2,9 miliardi di dta”, ma potrebbe comunque consegnare a Siena “le chiavi della Galassia del Nord” a costi contenuti. Certo, bisogna dire che il successo delle operazioni non dipende solo dai numeri ma dalla capacità di bilanciamento. Raggiungere la soglia ideale tra obiettivi di potere e ritorni finanziari. “Il problema non è solo far girare i numeri, come si dice nel gergo dei banchieri d’affari, ma anche aggiudicarsi il controllo delle prede senza svenarsi”, afferma il giornalista. Del resto, ogni caso è a sé stante, e ogni istituto avrà a che fare con una soluzione, dovrà vagliare la più idonea e coerente con la propria storia e i suoi obiettivi concreti del deal. La partita del risiko bancario rimane aperta, con i protagonisti chiamati a trovare l'equilibrio perfetto tra ambizioni industriali, sostenibilità finanziaria e vincoli regolamentari.

Il dialogo con la Germania, e in particolare con il cancelliere Friedrich Merz, potrebbe diventare una contropartita politica per compensare lo stop su Banco Bpm. Il segnale c’è: Bruxelles ha condizionato il via libera all’operazione con Bpm alla cessione di 209 sportelli nel nord Italia, e il Mef ha ribadito che il 60% di Unicredit è in mano a fondi extra UE. Per la Lega, è l’ennesima conferma che una fusione Bpm-Unicredit va evitata a ogni costo. Eppure, nei palazzi del potere, qualcuno comincia a immaginare uno scenario diverso. Anche perché Unicredit già detiene circa il 30% di Commerzbank. Se decidesse di lanciare un’opa, potrebbe andare in porto, a meno che Berlino non decida di opporsi. Ma Joachim Nagel, presidente della Bundesbank, ha già detto di essere favorevole a una vera unione bancaria europea. Nel frattempo, sul dossier Generali, il governo italiano pretende che ci sia un controllo stabile della governance nella partnership sul risparmio. Attualmente l’accordo con i francesi prevede un’alternanza quadriennale, ma secondo quanto trapela, le valutazioni su una possibile ristrutturazione dei patti con Natixis sono state congelate fino a ottobre, quando sarà più chiara anche la situazione tra Mps e Mediobanca. Orcel ha già mostrato di voler contare nella governance del Leone, sostenendo la lista Caltagirone all’ultima assemblea. Ma tra le righe, si capisce che punta a ottenere un posizionamento più strategico nel risiko futuro. E se davvero Orcel dovesse sfilarsi da Banco Bpm, per il governo potrebbe essere arrivato il momento di rivedere il rapporto con Unicredit. Non più ostilità, ma convergenza. Magari su Berlino.