Primo parziale del risiko bancario italiano: un punto per Unicredit, zero per il Governo Meloni. L’Antitrust dell’Unione Europea ha infatti approvato l’Ops (offerta pubblica di scambio) con cui Unicredit intende inglobare Banco Bpm, terzo gruppo bancario italiano, aprendo la strada a una maxi-fusione dai contorni epocali. Il verdetto è arrivato giovedì 19 giugno dalla Direzione Generale della Concorrenza (DgComp) della Commissione europea, ed è di quelli che lasciano il segno: ok alla fusione, purché vengano cedute 209 filiali, pari al 14% della rete. E, soprattutto, no alla richiesta dell’Antitrust italiano di rimettere la questione a Roma.
“La Commissione europea ha approvato la proposta di acquisizione di Banco Bpm”, si legge nel documento ufficiale della DgComp. L’approvazione è vincolata a impegni precisi: “La fusione è subordinata al pieno rispetto degli impegni proposti da Unicredit per rispondere alle preoccupazioni di Bruxelles”. In pratica, la banca guidata da Andrea Orcel dovrà disfarsi di oltre duecento sportelli localizzati in zone dove la sovrapposizione delle due reti sarebbe stata eccessiva, con il rischio di ridurre la concorrenza per clienti privati e pmi (piccole e medie imprese). Così facendo, l’operazione non solleverà “più problemi di concorrenza nei mercati dei depositi e dei prestiti”.
Ma il dato più politico è altrove. La Commissione ha seccamente respinto la richiesta dell’Antitrust italiano di prendere in mano la partita. “Non vi sono ragioni convincenti per giustificare il rinvio dell'operazione all’Italia”, sentenzia Bruxelles, che rivendica il proprio ruolo nel garantire la concorrenza “in settori di importanza cruciale come quello bancario”. Tradotto: l’Europa ha parlato, Roma si adegui.

Orcel: “Le regole sono cambiate, ora comandano i governi”
A rafforzare il sottotesto geopolitico di questa partita ci ha pensato lo stesso Andrea Orcel, l’uomo forte di Unicredit, che nella stessa giornata ha preso la parola al convegno “Young Factor” dell’Osservatorio Giovani-Editori, con parole che hanno il sapore dell’affondo:
“Se guardiamo agli anni in cui facevo M&A, c’erano regole chiare e decidevano gli azionisti. Ora non più. Si è inserita la regolamentazione, poi l’Antitrust, ora i governi europei sono molto più interventisti”.
E ancora: “L’Europa non è pronta a fare neanche operazioni nazionali. I governi hanno spesso un punto di vista diverso da chi fa M&A”.
Tradotto per i non addetti ai lavori: M&A sta per mergers and acquisitions, ovvero fusioni e acquisizioni. Un mondo in cui Orcel è cresciuto, si è laureato, ha sognato – come racconta lui stesso – e ha dominato. Ma oggi, sostiene, quel mondo è ostacolato da un reticolo di interessi politici che imbriglia l’iniziativa privata.
Con parole asciutte, quasi hitchensiane, Orcel pone una domanda retorica che è anche una critica al sistema: “Fai lobbying prima per assicurarti l’appoggio dei governi o fai le cose in modo corretto e poi speri che vadano a buon fine?”. La sua risposta è netta: “Noi facciamo la seconda cosa, perché crediamo nei principi e nei valori per azionisti, clienti e comunità. Ma se il governo non è d’accordo con te, è un problema”.

Golden Power e l’incognita politica
Il riferimento è chiaro: il Governo italiano ha finora frenato l’operazione usando lo strumento del "Golden Power", ovvero il potere di veto su operazioni considerate strategiche per l’interesse nazionale. Una mossa prudenziale, che oggi rischia di suonare come uno stallo fuori tempo massimo, soprattutto alla luce del via libera europeo.
Il paradosso è che la Commissione ha riconosciuto la criticità delle sovrapposizioni locali tra Unicredit e Banco Bpm, ma ha ritenuto sufficienti i rimedi proposti – le famose 209 filiali da cedere – per scongiurare rischi di monopolio. E lo ha fatto senza vedere necessità di coinvolgere le autorità italiane, evidentemente ritenute meno imparziali.
Un duro colpo alla sovranità regolatoria nazionale? Forse. Ma anche un segnale inequivocabile di quanto il sistema bancario italiano sia ormai terreno di scontro tra governance nazionale e logiche comunitarie, tra centralizzazione europea e difesa degli interessi territoriali.
I giovani, il futuro, e una lezione sul merito
Nel bel mezzo di una battaglia tecnica e politica, Orcel non ha dimenticato di lanciare un messaggio ai giovani. Raccontando la sua carriera, ha detto: “Quando ho iniziato avevo davanti gente con più talento di me, ma se io lavoro 19 ore e loro 9, nel tempo li supero”. E non è solo retorica: “Nel 2021 avevamo il 7% del personale sotto i 35 anni. Ora siamo al 14%, con 5.600 giovani assunti”.
Un messaggio che suona come una dichiarazione di metodo: sacrificio, visione, e la capacità di fare – anche quando i poteri pubblici remano contro.
Resta da vedere cosa farà ora il Governo italiano. Continuerà a bloccare la fusione con il golden power, innescando un braccio di ferro con Bruxelles? O prenderà atto della decisione europea, limitandosi a vigilare sul rispetto degli impegni assunti da Unicredit?
Una cosa è certa: la partita non è solo bancaria, ma istituzionale. E, al momento, il punteggio provvisorio dice Unicredit 1 – Governo 0.