Non è il caldo che fa sudare la finanza italiana, ma un’aria densa di veleni, strategie e sospetti: è l’afa del risiko bancario e Andrea Orcel ne è il protagonista, il banchiere che tutti temono ma nessuno riesce a ignorare. Il suo tentativo di inghiottire Banco Bpm attraverso un’offerta pubblica di scambio (ops) lunga, complessa e freddamente accolta è diventato un thriller finanziario dove l’azione vera si consuma nei retrobottega della politica e delle authority, mentre in Borsa regna la calma piatta dell’indifferenza. Ma se gli azionisti, per ora, dribblano la proposta di scambio di Unicredit come si evita una chiamata del call center, Orcel non si scompone. È abituato a giocare sul lungo periodo, tra carte coperte, segnali ambigui e pressioni a mezza voce. Non cerca l’applauso, cerca il bottino. E il bottino, in questo caso, è il consolidamento definitivo del secondo polo bancario nazionale, una piazza che potrebbe rimescolare le alleanze anche politiche.

Nel frattempo, tra una stretta di mano e un colpo basso, il ceo di Unicredit danza sul filo del Golden Power: un’arma di veto governativa che ha trasformato l’ops in un affare di Stato più che di mercato. Il 19 giugno sarà il giorno del giudizio dell’Antitrust europeo sulla legittimità di quel veto, e il 9 luglio toccherà al Tar del Lazio pronunciarsi sul ricorso di UniCredit. Intanto, Orcel ricalibra il messaggio: a maggio minacciava lo stop totale, oggi concede un “20 per cento di possibilità” che l’operazione si faccia. E la domanda sorge spontanea: chi lo ha convinto a tornare in pista? O meglio, quale apertura ha fiutato? Perché se c’è una cosa che Orcel sa fare è sentire l’odore del sangue prima degli altri. L’interlocuzione con il ministero dell'Economia e delle Finanze da cui ora sono arrivate solo porte in faccia prosegue lontana dai riflettori, e pare che qualcuno — tra politica e regolatori — stia iniziando a vedere la fusione come un male minore. Certo, i numeri ancora non tornano: l’offerta è considerata modesta, non c’è un piano industriale chiaro e il Banco Bpm, dal canto suo, rivendica orgogliosamente la propria indipendenza con toni da resistenza bancaria. Ma in questa partita a scacchi, il tempo gioca a favore di Orcel. Se i vincoli del Golden Power verranno ridotti o semplicemente chiariti, l’ultima settimana — quella dove tutto si decide — potrebbe regalare sorprese. Per ora, però, l’adesione è da prefisso telefonico, e l’aria è quella di un tentativo raffinato ma isolato. Ma proprio quando tutti pensano che la partita sia finita, il banchiere-giocatore estrae dal cilindro la mossa imprevista. E nel risiko italiano, dove le banche si trattano come repubbliche indipendenti e ogni scalata è una guerra di nervi, Andrea Orcel resta l’unico che non gioca per sopravvivere. Gioca per comandare.
