Il risiko bancario italiano vive una fase di scontro aperto che rischia di compromettere la già fragile stabilità del sistema. Andrea Orcel, amministratore delegato di Unicredit, ha messo un freno netto all’operazione di acquisizione di Banco Bpm, citando l’incertezza sui paletti imposti dal governo con il Golden Power. Senza un chiarimento definitivo sulle condizioni poste dall’esecutivo – che spaziano dalla gestione del portafoglio di titoli di Stato all’uscita dagli asset russi entro nove mesi – Orcel non intende procedere con l’offerta pubblica di scambio (ops), un blocco che di fatto rischia di far naufragare l’intera operazione. Il manager non si nasconde: le penali in ballo sono nell’ordine di miliardi, e senza trasparenza da parte del governo la scalata si ferma. Una mossa che lascia intendere quanto la politica italiana stia imponendo paletti rigidi, forse troppo rigidi, a un’operazione che avrebbe potuto dare nuovo slancio a un sistema bancario ormai in crisi di crescita e consolidamento. Orcel si mostra anche pronto a ridurre la partecipazione in Generali, segnalando che il gruppo non intende trattenere a lungo la quota del 6,5 per cento acquisita nelle ultime settimane. Dietro questa posizione ci sarebbe, secondo molti, il chiaro messaggio che Unicredit non è più disposta a essere ostaggio delle continue interferenze politiche, e che le ambizioni di creare un polo bancario forte e competitivo si scontrano con un muro di regolamenti e giochi di potere che rischiano di soffocare il mercato.

Mentre Unicredit si prende una pausa forzata, il risiko prosegue a Milano dove Mediobanca, guidata da Alberto Nagel, ha scatenato una controffensiva che ha scosso Bruxelles e la magistratura italiana. L’istituto ha formalmente richiesto alla Direzione Generale della Concorrenza della Commissione Europea di esaminare le operazioni finanziarie messe in campo negli ultimi mesi dal ministero del Tesoro per modificare gli equilibri azionari di Montepaschi, Mediobanca e Generali. L’accusa è pesante: secondo Mediobanca, la vendita da parte del Tesoro di un pacchetto di azioni Montepaschi attraverso una procedura di Accelerated Bookbuilding (Abb) sarebbe stata realizzata con modalità che violano le regole di mercato e configurano un aiuto di Stato mascherato. La cessione di circa il 15 per cento del capitale a quattro soggetti “amici” – tra cui Caltagirone, Delfin e Banco Bpm – è stata definita da Nagel una “vendita in famiglia” che favorisce una strategia concertata per il controllo di Mediobanca, vera e propria pedina chiave nell’assetto del sistema finanziario nazionale. La Procura di Milano ha aperto un fascicolo per accertare se ci siano stati accordi segreti e concertazioni illecite, mentre la Guardia di Finanza conduce indagini complesse su banche e operatori coinvolti. Non meno rilevante è il ruolo delle casse previdenziali come Enpam, Enasarco e Cassa Forense, che nelle ultime settimane hanno acquistato azioni Mediobanca a prezzi giudicati non vantaggiosi, mettendo a rischio i risparmi degli iscritti e alimentando sospetti su possibili interferenze politiche e interessi di bottega. Questo scontro, che appare ormai aperto e senza esclusione di colpi, dimostra come la battaglia per il controllo del sistema bancario italiano non sia solo una questione di equilibri economici, ma si intrecci inevitabilmente con la politica e i giochi di potere interni che paralizzano qualsiasi tentativo di riforma o consolidamento.

Dietro a questa guerra sotterranea e spesso opaca si nasconde un quadro preoccupante per il futuro del sistema finanziario italiano. Il Golden Power, strumento pensato per tutelare gli asset strategici nazionali, viene utilizzato come una clava per bloccare operazioni industriali di grande portata, mentre l’Unione Europea si trova chiamata a fare da arbitro tra il diritto alla sovranità nazionale e le regole di mercato comunitarie. Il ministero dell’Economia, da parte sua, giustifica le sue mosse appellandosi alla sicurezza economica e al risparmio nazionale, ma il rischio concreto è che questa interpretazione dia luogo a interventi sproporzionati e discriminatori, che invece di rafforzare il sistema lo indeboliscano. Le pressioni politiche, le incertezze regolamentari e le lotte di potere tra grandi gruppi bancari stanno facendo sì che il sistema si blocchi, creando un clima di sfiducia che potrebbe allontanare gli investitori e mettere a rischio la stabilità del mercato. Se da un lato Unicredit frena e rimanda la sua offensiva, dall’altro Mediobanca punta tutto su una strategia difensiva e al contempo aggressiva, ma tutto questo avviene in un contesto dove la credibilità delle istituzioni e delle autorità di vigilanza viene messa in discussione ogni giorno. Il sistema bancario italiano è chiamato a fare i conti con una sfida che va ben oltre i bilanci e le fusioni: deve dimostrare di poter sopravvivere e prosperare in un ambiente dove la politica e l’economia si confondono, e dove il vero rischio è quello di veder naufragare un’intera stagione di riforme e di crescita.