Nel risiko bancario italiano la partita si fa velenosa e, mentre il governo gioca la carta del Golden Power, i protagonisti del duello tra Unicredit e Banco Bpm si scambiano fendenti con la freddezza dei grandi affari. Andrea Orcel, racconta a Repubblica, si sveglia all’alba per fare palestra prima di affrontare l’ennesima giornata da gladiatore della finanza – che cliché –, sfodera il sorriso di chi ha già calcolato tutto: “Le acquisizioni sono un mezzo, non un fine”, dice, salvo poi lamentarsi che “è un peccato per l’Italia” che proprio la sua banca sia stata la sola a incassare la mannaia del Golden Power. Ma la versione da banchiere illuminato non basta a rassicurare chi, come Giuseppe Castagna, guida Banco Bpm e sente puzza di bruciato: “Prendiamo atto della decisione della Commissione europea” ma “esprimiamo la nostra preoccupazione”, avverte, parlando delle possibili ricadute sul modello di business “vicino da sempre all’economia reale e alle imprese e famiglie dei nostri territori”. E intanto snocciola i numeri: “209 filiali cedute in aree cruciali, con effetti sull’occupazione e i servizi”. Il sospetto? L’offerta è roba da saldi di fine stagione: “Un’offerta non adeguata, senza premio, sempre a sconto, che crea valore solo per gli azionisti Unicredit a discapito dei nostri”.

Il dialogo a distanza si fa serrato. Orcel alza il tiro e sciorina il mantra della banca moderna: “Non c’è nessun problema di sicurezza nazionale. Siamo italiani, siamo paneuropei, gestiamo a compartimenti stagni”. E sulla grana russa si toglie un sassolino dalla scarpa: “Nessun’altra banca ha ridotto le attività come noi. Prestiti calati dell’86 per cento, pagamenti scesi a 8 miliardi”. Ma dalle pagine del Giornale gli risponde Domenico De Angelis, condirettore generale di Banco Bpm, che si presenta come un soldato del territorio che preferisce la piazza all’ufficio, dunque non la beve: “Avvertiamo una forte apprensione per questo progetto così incerto che blocca la banca da sette mesi”. De Angelis è l’eco delle pmi che tremano all’idea di perdere il credito di prossimità: “A Verona e Novara alienate tutte le filiali. E poi? Quale modello di banca ci sarà? Quello radicato sul territorio o un algoritmo che decide i prestiti?”. Il colpo basso arriva sul futuro dei dipendenti: “Cosa faranno i 2000 colleghi di Verona e i 450 di Novara se si procederà ai ridimensionamenti?”.

Orcel, dal canto suo, si difende: “In m&a è facile dire di sì e distruggere valore. Il difficile è dire no quando serve”. Ma De Angelis incalza: “Non si possono cancellare 160 anni di storia. Non ci viene detto che ne sarà delle strutture, delle quote di capitale. Perché?”. L’ad di Unicredit prova a svicolare: “Se non si risolve, ci ritiriamo. Banco Bpm? Resterà con Credit Agricole al 20 per cento”. Giuseppe Castagna, ad del Banco, chiude il giro, affilato: “Le adesioni all’ops? Al momento dello stop erano allo 0,018 per cento. I nostri azionisti non sono interessati a questo matrimonio al ribasso”. Non basterà a Orcel ricordare i 9,3 miliardi di utili e un titolo Unicredit moltiplicato per cinque. Non finché il governo resta sullo sfondo con il Golden Power, comportandosi da arbitro di un match che di tecnico ormai ha ben poco. Il finale? Ancora da scrivere. Ma una cosa è certa: i colpi bassi non sono finiti...