Diciassette anni dopo, la scena del delitto di Garlasco somiglia più a una serie Netflix che a un cold case all’italiana. Un muscolo psoas di Chiara Poggi, minuscolo e dimenticato nei frigoriferi dell’Istituto di Medicina Legale di Pavia, spunta fuori come in una puntata bonus. Nel frattempo, nei laboratori della scientifica, tutto si blocca per un blackout e no, non è un modo di dire: salta la luce sul più bello e le operazioni ripartiranno solo il 4 luglio. Verbali scritti a mano, alla vecchia maniera. Ma il vero colpo di scena è un altro: la pattumiera di casa Poggi. Sì, proprio quella. Sigillata dai carabinieri otto mesi dopo l’omicidio e custodita per diciassette anni come una reliquia, oggi viene considerata “in buone condizioni”. Non è uno scherzo. Il generale Luciano Garofano non esclude che da lì si possa ancora cercare emoglobina o saliva umana. Tutti d’accordo, persino i difensori di Andrea Sempio, mai così sereni. «Io sono tranquilla», ha detto Angela Taccia, legale di Sempio, «Andrea ha ribadito più volte di non essere stato in quella casa quella mattina, quindi non c’è problema all’analisi dei reperti contenuti nella spazzatura. Però ripeto sempre che la procedura non è un optional. Incubi? Non ho neanche il tempo di dormire, mi attengo ai fatti». Amen.


Nel frattempo, il personale della scientifica preleva tutto con tamponi biologici: cucchiaini, piattini, vasetti e sacchetti di cereali, trattati come sacre scritture. Niente impronte digitali, perché il cianoacrilato distruggerebbe eventuali tracce di Dna. Il genetista Marzio Capra, parlando di un bicchierino di Fruttolo, ironizza: «Non è che uno riesce a leccare l’interno del Fruttolo, ci vorrebbe la lingua di Star Trek per far questo». Il focus è sempre lo stesso: capire a chi appartengono le due tracce trovate sotto le unghie della vittima. L’“Ignoto 1”, attribuito da alcune consulenze ad Andrea Sempio, e l’“Ignoto 2”, un profilo maschile mai identificato. Ed è lì che si gioca l’ultima vera possibilità di riscrivere la verità su quel maledetto 13 agosto del 2007. Il legale della famiglia Poggi, Gian Luigi Tizzoni, ci va cauto: «Comunque erano reperti di 18 anni fa e quindi potranno dare le risposte che daranno». Mentre la genetista Denise Albani potrebbe avere i primi risultati già entro la prossima settimana, giusto in tempo per il nuovo appuntamento del 4 luglio, quando si analizzerà con tecniche più invasive la famigerata “impronta 10”, quella palmare sulla porta d’ingresso mai attribuita a nessuno. Nel dubbio, si passano al test anche le ultime pellicole di acetato: «Che risultasse negativo era ovvio, si vedeva già dalle foto», taglia corto Giada Bocellari, avvocata di Alberto Stasi, già condannato. Ma poi aggiunge: «Se si riesce ad avere qualche dato, bene. Tutti i dati sono importanti. Se sarà degradato o non ci sarà DNA, ne prenderemo atto. Speriamo tutti di avere qualche risultato per comprendere meglio quello che è successo quella mattina». Forse sarà la spazzatura. Forse un’unghia. Forse niente. Ma il caso Garlasco continua a farsi sentire. Anche al buio.

