A Garlasco, il 13 agosto 2007, Chiara Poggi è stata uccisa con ferocia. Ma forse non da una sola persona. A quasi vent’anni da quel giorno, la Procura di Pavia riapre il fascicolo con una possibile, e non ancora confermata, convinzione nuova: Chiara è stata uccisa da più mani. E non tutte apparterrebbero al fidanzato del tempo Alberto Stasi. Andrea Sempio, amico del fratello della vittima, è di nuovo dentro al caso. Con lui, forse altri. Tre in totale, dicono i magistrati. Almeno due, suggeriscono le prove. Il punto di partenza è il corpo della ragazza. L’autopsia firmata da Marco Ballardini parlava chiaro già all’epoca: “Ferite da taglio e lesioni compatibili con pugni”. Segni che non combaciano con l’ipotesi dell’omicidio solitario, né con un’unica arma. Anche perché, l’arma, non è mai stata trovata. Ma da un cantiere di Garlasco fu denunciata la scomparsa di un martello “a coda di rondine”. Ballardini scrisse che, se si vuole credere sia stata usata una sola arma, allora bisogna anche ammettere che quell’oggetto è stato impiegato in modi molto diversi. Per esempio, per ferire le palpebre: “Una per lato, prevalentemente trasverse, che evocano una superficiale violenza con un mezzo dotato di un filo piuttosto tagliente e/o di una punta acuminata”. Difficile quindi che sia tutto frutto di un solo strumento e di un solo assassino.


Lo stesso medico legale elencò caratteristiche precise per l’oggetto contundente: “Stretta superficie battente; linearità dei margini; presenza di punta impiegabile di per sé”. E poi ci sono le ecchimosi, probabilmente da pugni. Come si spiegano, se non c’erano almeno due mani a colpire? Oggi i carabinieri del Racis stanno ricostruendo in 3D casa Poggi, per chiarire due anomalie mai risolte. La prima sono tre gocce di sangue davanti al divano, fuori dal perimetro del delitto. “Potrebbero essere la conseguenza di un pugno sferrato al naso della vittima, che poi scappa verso le altre aree dell’appartamento”. La seconda sono le tracce ematiche tra il terzo e il quarto gradino della scala: “Non si esclude che la vittima, distesa lungo le scale a testa in giù, abbia ricevuto un ulteriore e definitivo colpo alla testa”. Nel frattempo sono riemersi reperti ignorati per anni: lo scatolone con 58 fascette adesive usate dai RIS, il tappetino del bagno con un’impronta sconosciuta, la spazzatura mai analizzata. Persino le impronte di Stasi, come quella sul portasapone che lo ha fatto condannare, oggi vengono riviste sotto un’altra luce. Secondo i nuovi esperti, quelle impronte erano “numerose papillari sovrapposte”, probabilmente “cancellate”. E le tracce di sapone, spiegano, “derivano dall’uso continuato dell’oggetto nel tempo”, da parte di Chiara e della madre. C’è anche l’impronta sulla porta d’ingresso. E la famigerata “impronta 33” sul muro. Ora, con tecnologie aggiornate, i consulenti l’hanno attribuita “al palmo destro di Andrea Sempio, per la corrispondenza di 15 minuzie dattiloscopiche”. Un dettaglio che potrebbe cambiare tutto.

