L'uomo nasce libero, ma ovunque è in catene, recita l'abusatissimo aforisma preso dal Contratto Sociale di Jean Jacques Rousseau, ma se è vero che non si può capire una cosa senza aver esaminato il suo opposto, allora per parlare di libertà dovremmo prima avere bene in mente che cosa sia la prigione. Luigi Pelazza, inviato storico delle Iene, partirà con un nuovo programma su DMax, "Blindati", in cui racconterà il suo viaggio all'interno delle carceri più pericolose al mondo, per vedere chi ci è davvero finito, in catene. Ne abbiamo approfittato per intervistarlo, per capire se, rispetto ad altri paesi, la giustizia italiana sia troppo leggera, o se a esagerare siano gli altri. Sentiamo che cosa ci ha raccontato, tra giustizia fai-da-te, coltellate e donne incinte, per scoprire se davvero il nostro sistema penale faccia così pena. E ci ha anche ricordato di quando lui stesso stava per finire al gabbio per una intervista (a Guia Soncini) e che cosa pensa di Selvaggia Lucarelli...
Luigi, intanto in quali Paesi sei stato per girare queste puntate?
Siamo stati in diversi Paesi, sia dalla parte occidentale che da quella orientale del pianeta: Bosnia, Filippine, Brasile, Maldive, che sono un paradiso per i turisti ma un po' meno paradisiache per chi ci finisce dentro. Poi Croazia e Taiwan. In totale abbiamo visitato 12 carceri. Per quanto riguarda le Filippine si è trattato di una doppia visita, in quanto abbiamo avuto modo di osservare sia un carcere maschile che uno femminile.
Posti vicini e lontani, insomma. Croazia e Bosnia sono qui dietro l'angolo. Quale ti è sembrato il peggiore?
Allora, io di carceri ne ho visitati tanti, anche per lavoro, e ti posso dire che in realtà le carceri sono tutte brutte nel momento in cui vengono a mancare i diritti del carcerato. Se tu vai, ad esempio, in Bosnia, se tu vai nelle Filippine che non sono degli Stati democratici in senso pieno, è ovvio che il carcerato non abbia diritti all'interno delle prigioni. Questo vuol dire che non ha il diritto di pretendere di dormire in un letto, non può pretendere di mangiare due pasti al giorno, non può pretendere di lavarsi, perché i diritti, in generale, non ci sono. Il pubblico vedrà, infatti, delle scene che lasceranno senza parole. Personalmente, una delle cose che mi ha colpito di più è stata proprio nel carcere femminile delle Filippine, dove ci sono queste celle con quaranta, cinquanta donne dentro a una stanza, che non hanno neanche lo spazio per dormire, e stanno tutte sdraiate per terra, attenzione, non nei letti. Bene, in una di queste celle ho anche visto una donna incinta, a gravidanza inoltrata, stava quasi per partorire, e per me pensare che un bambino avrebbe dovuto nascere lì dentro, pur senza rendersene conto, è stato qualcosa di angosciante. Poi c’è anche un altro problema, perché trovandosi in situazioni del genere, dove a volte non si può nemmeno mangiare, si vengono a creare anche delle dinamiche per cui chi entra sa già che dovrà sottomettersi a qualcuno. Per forza. Quindi, poi, qualsiasi cosa ti serva, all’interno del carcere, diventa oggetto di uno scambio di favori tra chi ha più potere e chi ne ha meno. Si tratta di un meccanismo di potere che poi arriva fino a chi comanda, dentro al carcere, perché c’è sempre qualcuno che comanda, è un dato di fatto. E stiamo ancora parlando di detenuti. Poi ci sono le polizie. Ce ne sono alcune molto rigide, penso alla Bosnia, dove per un niente vai a finire in cella di isolamento, e ti fai due o tre settimane in una camera lunga due metri e larga uno, dove a malapena riesci a sdraiarti, senza poter allargare le braccia, senza finestre, da solo al buio. Basta soltanto immaginarlo per capire che si può facilmente impazzire, in un posto così.
Non ci sono attività di svago, nelle carceri che hai visitato?
In alcune si fa qualche genere di attività, dallo sport alla falegnameria, fino alla cucina, ma l’accesso a queste cose è riservato ai detenuti che sono super privilegiati. Immagina, dovendo rimanere in cella tutto il giorno, quanto possa essere liberatorio poter andare a lavorare. Soprattutto in cucina. In cucina, prima di tutto, mangi, cosa che non è per niente scontata in contesti dove spesso, se ti va bene, fai un solo pasto al giorno. Però, è vero anche che il mangiar male in carcere porta spesso alle rivolte da parte dei detenuti, motivo per cui la polizia cerca spesso di ovviare al problema facendo mangiare bene i detenuti, sempre specificando cosa si intenda per mangiare bene, in carcere. Nelle Filippine, per esempio, hanno l'equivalente di un euro, due euro al giorno, per mangiare. Con quella cifra, si capisce, gli puoi dare qualche volta il riso, qualche volta il pollo. La cosa curiosa è che, sempre nelle Filippine, ci sono degli assaggiatori, all’interno delle prigioni. Sono persone, pagate dal carcere, che decidono se il cibo è accettabile o meno. A volte sono anche i detenuti stessi a svolgere questo lavoro, sempre sotto forma di privilegio. Solo che questa può essere un’arma a doppio taglio, perché poi se il cibo approvato non piace, allora sono guai.
I detenuti se la passano male, ma le guardie?
Tieni conto che le guardie, dal momento in cui entrano, conducono praticamente la stessa vita dei carcerati. Ci sono guardie, ma questo accade anche nelle carceri europee, che non vanno in giro armate. Il problema è che spesso hanno a che fare con persone pronte ad ammazzare per niente, o che magari abbiano, singolarmente, dover controllare qualcosa come cinquecento detenuti, e non solo, perché poi il poliziotto spesso abita nei dintorni del carcere, nel paesino a fianco, dove tutti conoscono tutti, e questo lo porta a subire pressioni anche nella quotidianità. Così, poi, si trovano persone che provano con le minacce a convincere, riuscendoci anche, i poliziotti a portare ogni genere di cosa all’interno del carcere: dai telefonini, alle armi, alla droga. A volte la polizia si trova a dover arrestare i propri stessi agenti per questo tipo di reati, ed è la stessa polizia che poi perquisisce spesso le celle per evitare i problemi che possono scaturire da questo genere di cose. In alcuni pezzi del programma si vedranno appunto dei nascondigli assurdi, detenuti che nascondono i loro “tesori” in posti impensabili, dietro a una piastrella, a un disegno. Tanto hanno tempo, quindi si ingegnano, e trovano delle soluzioni davvero pazzesche, da film.
Sotterfugi a parte, le guardie riescono a mantenere il controllo?
Ci sono posti in cui gli agenti ce la fanno, a farsi rispettare. Mi vengono in mente la Bosnia, la Croazia, posti in cui la polizia è davvero molto rigida. Anche in Brasile. In questi posti, per dire, prima di farti uscire dalla cella aprono un piccolo sportellino, ti mettono le braccia dietro la schiena, le manette, in modo che quando esci dalla cella sei già mezzo bloccato. Poi ti mettono le catene ai piedi. Questo, però, per quanto riguarda sempre i detenuti più pericolosi, gli ergastolani, tutti quelli che hanno bisogno di una maggiore sorveglianza.
A proposito di rigidità, l’opinione comune spesso invoca maniere brutali per certi delinquenti, o comunque spera nella cosiddetta giustizia carceraria, nella vendetta da parte degli altri detenuti.
In carcere ci sono queste regole, ovunque. Chi si macchia di crimini contro i bambini, contro le donne, viene per forza di cose messo in isolamento, perché in tutte le carceri vige questo codice. Va bene ammazzare, rubare, eccetera, ma se tocchi le donne, i bambini, o se li molesti sessualmente, questa è una regola universale, farai una brutta fine. Il delinquente per comandare non deve avere bisogno di queste cose. Se lo fai, in carcere sei finito. Questo lo dice, spesso, anche la cronaca, forse di più all’estero che in Italia, ma capita anche che le guardie si girino dall’altra parte, o che lascino entrare gente in cella apposta. Noi non lo facciamo vedere, non è successo mentre eravamo lì, ma in Brasile ci hanno raccontato che in passato è capitato che un detenuto incarcerato per abuso su minore sia stato lasciato da solo per cinque minuti e che sia stato ritrovato in uno stato pietoso. Non l’hanno ammazzato, ma l’hanno distrutto.
Per quello che hai visto, quali sono i detenuti più pericolosi?
Se tu becchi l’ergastolano, quello che sa che non uscirà mai, ecco, quello è il più pericoloso. In Italia non ne abbiamo, quasi, ma all’estero sai già che se trovi quello che ha duecento anni da scontare, che non ha un caz*o da perdere, è chiaro che non gliene frega niente di quello che può o non può fare. Questa gente si è convertita al carcere. La loro vita è il carcere, e se sanno che devono ammazzare qualcuno lo fanno. Cosa gli cambia? Da duecento a duecentoventi anni non è un problema.
E quelli più tranquilli?
Di solito sono i giovani. Un giovane che entra in carcere la prima volta ha paura, è spaventato, e cerca di rispettare tutte le leggi del carcere, cerca di non sgarrare, di non portare dentro telefoni. Poi ci sono quelli che hanno quasi scontato la pena, che sanno che gli mancano pochi mesi per uscire, allora stanno il più calmi possibile, perché ogni sbaglio potrebbe allungare la pena. È un mondo molto variegato, un mondo parallelo al nostro.
Girando tanti paesi, hai notato qualche differenza culturale rispetto all’approccio detentivo?
Nelle carceri europee c’è una volontà, da parte delle istituzioni, di cercare di far cambiare il detenuto per reinserirlo nella società. Nelle carceri italiane ci sono tanti progetti per invogliare il detenuto a studiare, a lavorare, a diplomarsi, a laurearsi, facendo in modo che si orienti verso un futuro, e questo può essere un deterrente al non fare alcun genere di fesserie dentro. Gli si da la possibilità di iniziare una nuova vita: se ho sbagliato, pago, ho pagato, e si ricomincia. In tutte le carceri che ho visitato, dalla Bosnia alle Filippine, Brasile, Messico, in nessuna di queste prigioni c'è un minimo di progetto. Non c'è l'obiettivo di reinserire i detenuti nella società. Sono dei numeri, devono fare dieci, quindici mesi, venti anni poi basta. Escono come sono entrati, o peggio, perché quando privi un individuo dei diritti fondamentali, quello non è più una persona, ma un numero. Non è più un essere umano.
È una critica classica ma ancora attuale del carcere, l'aveva già riportata Foucault in Sorvegliare e Punire: la prigione solo come privazione della libertà non fa che peggiorare il delinquente.
Si, non avendo la possibilità di poter creare qualcosa, queste persone continueranno naturalmente a delinquere, perché non hanno una prospettiva di vita migliore. Non hanno imparato nulla.
Anzi, non fanno altro che rafforzare legami delinquenziali, in carcere e fuori.
Certo, fanno nuove conoscenze, creano nuovi rapporti, entrano in questa o in quella gang. Poi, certi detenuti, il mafioso, quello vero, non lo potrai mai rieducare. Ma con altre persone si può fare, con l'aiuto di persone competenti, scegliendo i percorsi giusti, la possibilità di un'altra vita c'è.
Spesso si critica la giustizia italiana perché è troppo blanda, dal punto di vista della pena.
Noi in Italia abbiamo un problema principale, che è il sovraffollamento delle carceri. Spesso paghiamo multe all'Unione Europea perché ci condannano a causa del fatto che magari, in una cella dove possono stare sei detenuti, ce ne ficchiamo dieci. Vedendo quello che succede in giro per il mondo, questo non è niente. Fermo restando che, comunque, se una cella è fatta per sei persone, ce ne devono stare sei, e non sette. Poi in Italia c'è anche il discorso della certezza della pena, che non esiste. Questo si sa, se ti danno quattro anni di carcere, tu quattro anni non li farai mai. Tra buona condotta, e sconti per questo o quell'altro, in qualche modo si esce prima. È questo che lascia quel senso di ingiustizia all’opinione pubblica, il fatto che ci siano leggi, leggine e decreti svuotacarceri che spesso e volentieri rilasciano gente che è in carcere per reati minori, ed è collegato al fatto che dicevamo prima, del sovraffollamento e delle multe da pagare all’Unione Europea.
Avete in programma di fare anche servizi sulle carceri italiane?
Perchè no? Sarebbe utile farlo, magari per comparare la situazione con quanto abbiamo visto in giro per il mondo. Chissà, in una prossima stagione.
Parlando di carceri, il tuo lavoro ti ha portato qualche volta a rischiare di finirci dentro. In Marocco, per esempio.
In Marocco avevamo fatto un servizio sulla prostituzione minorile, e durante le riprese abbiamo avuto a che fare con i poliziotti che stavano facendo i loro controlli sui clienti, e hanno pensato che anche noi fossimo dei clienti italiani in cerca di sesso. Ci hanno fermati, poi ci siamo chiariti, ma intanto abbiamo fatto una notte in commissariato. Poi, il giorno dopo ci hanno dato il foglio di via e ci hanno espulsi dal paese. Io per cinque anni non sono potuto andare in Marocco.
Le carceri del Marocco non le avete visitate, per Blindati?
No, ma poi non è detto che tutti siano così contenti di farti vedere cosa succede dentro le loro carceri. Non sai mai cosa trovi, una volta che lo filmi, rimane lì. Infatti si firmano diverse autorizzazioni, prima, ci vanno accordi, non è semplice, la cosa.
Un’altra volta in cui hai rischiato il carcere, fu il caso del litigio con Guia Soncini.
Sì, quella volta sono stato condannato in Cassazione, poi la pena è stata convertita in sanzione amministrativa. Purtroppo, chi fa il nostro mestiere può sbagliare, siamo esseri umani. Il giudice ha ritenuto che ci fosse stata una violenza privata. Secondo noi no, perché poi vedi che in altre trasmissioni, sia in Mediaset che in Rai, vedi anche di peggio. Quella volta è andata così, abbiamo fatto ricorso in Cassazione pensando di avere ragione, il giudice ha ritenuto che non fosse così ma va bene, lo abbiamo accettato e via.
Guia Soncini ti ha poi definito un “malvivente televisivo”.
Dal momento in cui ti condannano in via esecutiva, hai commesso un delitto. Quindi ha usato questa parola che, personalmente non merito, però sono dell’idea che tutti possono sbagliare, quindi non sto poi a commentare oltre. Va bene così, vado per la mia strada, faccio il mio lavoro. Sono ventitré anni che faccio l’inviato alle Iene, sono stato denunciato decine e decine di volte. Questa è l’unica in cui vengo condannato in Cassazione, più un’altra fesseria di vent’anni fa. Volendo, in tutti questi anni abbiamo fatto anche cose più articolate, ma questa è stata un caso a parte. Ad ogni modo il giudice si è espresso, noi abbiamo sbagliato ad andare a intervistare in quella maniera, e finita lì. Meglio una condanna che una pallottola, o una coltellata. A volte abbiamo rischiato davvero di peggio.
Quando te la sei vista davvero brutta?
Diverse volte. Siamo stati in Libia in guerra, con l’esercito del Generale Haftar, lì abbiamo fatto il fronte. Siamo andati a sminare i campi in Bosnia. Nei palazzi di Milano gli extracomunitari che mi inseguivano con la bottiglia di vetro. In tutti questi anni abbiamo rischiato un casino di volte, poi c’è stata una parte di fortuna, ma abbiamo anche saputo capire quando era il momento di fare un passo indietro, e andare via, prima di dire ok, adesso non ne esco più. Siamo stati anche in Colombia a comprare la cocaina pura dai Narcos. Lì ci hanno mezzo sgamati, siamo dovuti scappare. In tante occasioni, comunque.
Nel caso della Soncini c’era in mezzo anche Selvaggia Lucarelli. Da collega, cosa pensi del suo modo di fare inchiesta?
Allora, io non seguo molto i social. So che però tutta l’indagine su Fedez e la Ferragni è partita da lei. Chi fa il nostro mestiere cerca la verità, e se uno fa il suo lavoro in buona fede e racconta quello che è successo, è sempre dalla parte giusta.
A proposito di buona fede e verità, sul caso recente del dossieraggio che ha coinvolto anche i giornalisti, cosa ne pensi?
È un segreto di Pulcinella: ogni giornalista ha le sue fonti. Chi fa cronaca nera si alza al mattino e telefona al suo omino in Procura, e a seconda della conoscenza che si ha si ottengono informazioni di tipo diverso. È sempre stato così. Però, bisogna fare attenzione, perchè se tu ricevi informazioni da un agente di polizia che non sono oggetto d’indagine è un discorso, però questi pare che, usiamo il condizionale, invece, chiedessero informazioni specifiche, e se un rappresentante dello Stato inizia a cercare informazioni non su richiesta dell’Autorità Giudiziaria, ma per i fatti suoi, bisogna poi capire perché lo fa, chi glielo ha chiesto, se lo hanno pagato, chi c’è sopra di lui, e così via.
Un’ultima domanda sul programma. Ho letto che verrà utilizzata una nuova tecnologia denominata Full CGI. Di cosa si tratta?
Quando faccio la parte di studio, vedrete in certe occasioni che sarò all’interno di una cella. Questa parte è una sorta di metaverso in 3D. Si tratta di una tecnologia nuova, appena uscita, e Dmax ha avuto la felice idea di inserire questa strumentazione nel programma, ed è molto bella, realistica. Ci sarà anche un avatar di Luigi Pelazza che girerà per il carcere.