Non possiamo chiamarlo “metodo Cazzullo” perché non sappiamo davvero come il vicedirettore ad personam del Corriere lavori ai suoi libri, ma come fanno, i giornalisti di oggi, a sfornare così tanti titoli ogni anno? Tra riedizioni, raccolte di articoli e saggi ex novo, i vari Aldo Cazzullo, Marco Travaglio e Andrea Scanzi riescono a mantenere una media alta, per alcuni fin troppo rispetto a quanto sembra plausibile poter portare a termine da soli. Forse anche loro inghiottiti dalla trappola del publish or perish, o magari semplicemente in grado di gestire un lavoro tentacolare di un team, tra chi raccoglie informazioni, che le conferma, chi le scrive, chi dotato di una scrittura istintiva, chi di una scrittura automatica (ma per questo sempre uguale a se stessa), chi si accontenta di volumetti suggestivi, chi di libri divulgativi, chi stampa per avere l’occasione di lanciare il nuovo tour e chi avrà progetti per cui ha firmato contratti editoriali almeno un anno prima (per esempio anniversari danteschi o, più in generale, tondi tondi); le nostre penne quotidiane sfornano libri come si sforna il pane. Quotidianamente appunto.
E buon per loro, qualsiasi sia il modus operandi di ciascuno. Alcuni, i più generalisti, riescono persino a parlare, proprio come Cazzullo, di Dante, Mussolini e l’impero romano (è appena uscito Quando eravamo i padroni del mondo. Roma: l’impero infinito) nel giro di tre o quattro anni. Niente di impegnativo, per carità, non è, di volta in volta, Vittorio Sermonti, Emilio Gentile e Edward Gibbon; ma pur sempre notevole. Come sarebbe notevole vedere un uomo bere in un minuto dieci bottiglie di acqua. Tanto notevole che verrebbe più da pensare ai numeri, di vendite e apparizioni, piuttosto che alla qualità stessa dei libri. Quasi che i nostri giornalisti, sembrerebbe, siano diventati degli influencer.
Anche se, a pensarci bene, dovremmo forse sostenere il contrario. Dopotutto sono nati prima i Paolo Mieli, i Bruno Vespa e gli Indro Montanelli e solo dopo le Chiare Ferragni di tutto il mondo. Tuttavia il fenomeno della scrittura compulsiva di libri nazional popolari si sarebbe acuito proprio in questi ultimi anni, con opere pensate ad hoc per essere perennemente in trend. Si è passati, cioè, dall’immaginario del giornalista onnivoro in grado di scrivere su tutto, a quello del giornalista in grado di cogliere tutte le opportunità per brandizzare la propria attività professionale e la scrittura. Chi più chi meno, con più o meno successo, e con le dovute differenze (Cazzullo resta, per molti motivi, inarrivabile per un Andrea Scanzi qualsiasi), parliamo di personaggi di successo, che accanto a un lavoro propriamente giornalistico finiscono per diventare recettori passivi di temi sufficientemente grandi per far sì che siano solo loro a poterne parlare con tale piglio generalista. Roba che, fatta da chiunque altro, risulterebbe se non superficiale, quantomeno d’occasione, eccessivamente semplice. Così, queste penne antenna ci dicono più del settore giornalistico ed editoriale di quanto non avrebbero potuti dirci dieci o venti anni fa, quando scrivere libri divulgativi sull’impero romano o sul fascismo faceva parte di una grande missione dell’intellettuale democratico (per intenderci, Piero Angela).