Zerocalcare ci ha tenuto compagnia in queste feste natalizie con un’edizione speciale de “Il Mondo”, il podcast di Internazionale. Infatti, per cinque giorni dal 23 al 27 dicembre, il fumettista romano ha raccontato il Natale secondo il suo personale quanto unico punto di vista. Un natale che, se siete del nord Italia, non avete del tutto le basi per comprendere. Perché il cenone della vigilia, è l’evento principale attorno a cui ruota tutto il racconto di Michele Rech. Tradizioni e drammi familiari a parte, nel podcast hanno ovviamente trovato spazio le tematiche sociali vicine a Zerocalcare, che vanno dal dramma delle situazioni nelle carceri al diritto all’abitazione. Ma, in questa ultima puntata, ci ha ricordato che pure sto natale se lo semo levati dal cazzo. Volendo sempre rimanere nei confini delle borgate romane. Eppure c’è qualcosa che comunque ci ha lasciato un po' l’amaro in bocca: “È impossibile per me farmi interprete del sentimento che anima tanti e tante rispetto a questa giornata. Bastava un giorno, un solo giorno di slittamento e potevamo realizzare quella continuità festiva che dalla sera del 24 fino al 29 ci avrebbe tenuto lontani da quel pozzo di malessere, di agonia, di convivenza coatta che è il posto di lavoro. Magari avremmo potuto pure pensare di farci qualche giorno fuori. Boh, “magari partiamo mercoledì dopo pranzo e torniamo direttamente domenica”, e invece il cazzo è venerdì, i negozi sono aperti, gli uffici pure, è come una citofonata che te sveglia nel cuore della notte e te interrompe un sogno bellissimo. Quindi basta, è tutto finito, non resta più un cazzo a parte un botto di monnezza da smaltire e uno stomaco slabbrato, abituato ormai a ingerire una vagonata ad ogni pasto, per cui ormai io per sentirmi sazio non so che devo fare, boh, ieri dopo du etti di pasta ancora mi sentivo che avevo solo spizzicato. Dico che non sono un buon interprete di questo sentimento, perché io lavoro da casa, quindi non solo oggi non mi cambia sostanzialmente un cazzo, ma la vera verità, la cosa più inconfessabile, indegna e ripugnante che mi rende una creatura abbietta al pari di Voldemort, o qualsiasi altro cattivo assoluto delle grandi saghe del bene contro il male, è che io, quando la gente torna alla sua routine di merda, mi sento meno solo. Faccio schifo al cazzo, lo so, so' storto nell'anima, ma che devo fa'? Perché quella sensazione di trovarsi esattamente al posto giusto, in pace e comunione con gli altri e col mondo che ci circonda, io non l'ho conosciuta mai. Poi, su come mi sento io, ci faccio i conti davanti a 40 barattoli di Nutella".
Eppure, dall’inquietudine che il Natale sembra portare con sé ogni anno, al pacchetto sicurezza che sarà approvato a gennaio, il passo è stato veramente breve: “Questo decreto propone di vincolare la vendita di una sim per il cellulare al permesso di soggiorno, non un documento di identità qualsiasi come adesso. I regolamenti su come si acquista la sim di un telefonino potranno mai spostare qualcosa rispetto alla decisione di un individuo di partire e lasciare il suo paese mollando tutto alla ricerca di una vita nuova? Evidentemente no! Quindi a cosa serve questa norma se neanche dissuade l'immigrazione? Ad una ceppa di cazzo, se non a rendere la vita di ste persone peggiore, più marginale e più isolata, cioè più costretta a chiedere favori a qualcuno che poi vorrà qualcosa in cambio. Quando un intero apparato normativo è crudele, di solito ci sta un motivo sistemico dietro, per esempio, che comunque forse qualcuno gli fa comodo avere una forza lavoro più ricattabile perché ovviamente uno più vive de merda segregato, nascosto e senza possibilità e più deve accettare a qualsiasi condizione che gli impone il padrone, che poi è il motivo evidente per cui quando qualcuno si lamenta che gli stranieri rubano il lavoro agli italiani perché accettano di essere pagati de meno e di lavorare in condizioni de merda toccherebbe rispondere che infatti la soluzione è esattamente garantire pure ai stranieri gli stessi diritti e quindi gli stessi stipendi”. Tutto questo mentre la madre di tutte le domande ha già iniziato a serpeggiare tra noi, la domanda che puntualmente arriva a cadenza regolare ogni anno: “La più antica, più antica del calendario gregoriano, forse più antica dell'umanità stessa, la domanda che gli uomini antichi rivolgevano al prossimo, ma che era tanto rivolta anche a sé stessi, in questi giorni rimbomba sempre più forte e con il ritmo ossessivo di un tamburo”. MA A CAPODANNO CHE FAI? In caso s'annamo a pijà un gelato...