È tornato David Letterman. Non che se ne fosse andato, intendiamoci, si è ritirato e tutto, ma aveva già tirato fuori tre stagioni del suo “Non c’è bisogno di presentazioni”, dando agio a noi suoi fan di ascoltare le sue conversazioni mai convenzionali con gente che, spesso, a fianco a lui appare assai diversa da come ce la saremmo aspettata. Ma è tornato nel senso che è appena uscita su Netflix, e dove se no?, la quarta stagione del suo show, degno sostituto da pensionato del suo David Letterman Show, con dentro alcune chicche notevolissime. Non ho seguito l’ordine numerico delle puntate, non essendo una fiction lo si può agevolmente fare, e ho cominciato da Cardi B, perché la conosco bene come rapper ma non avevo idea di come fosse come persona-personaggio, e devo dire che sono rimasto ovviamente soddisfatto, ma è con Billie Eilish, per ora, che ho davvero trovato pane per i miei denti, e di lei voglio parlare.
Che Billie Eilish sia una geniale giovanissima popstar non è certo una scoperta recente, e non c’era certo bisogno del buon vecchio Dave a certificarlo, ma che oltretutto sia anche una cavolo di comunicatrice incredibile, beh, questo mi mancava. Certo, avevo visto registrazioni dei suoi concerti, e sul palco è una vera macchina da guerra, espressione datata che immagino oggi non potrebbe più essere spesa ma che, in quanto Generzione X accusato spesso di boomerismo credo di poter comunque usare, tanto mi darebbero del boomer lo stesso, ma a sentirla parlare in tono confidenziale del suo rapporto col fratello Finneas, lì presente per buona parte della puntata, dello scrivere canzoni, della sindrome di Tourette della quale soffre, con un tono pacato, sicuro, da pari a pari, mi ha letteralmente stregato. Certo, nel sentirla parlare delle sue canzoni come fossero una cosa semplice, naturale da scrivere, fa un certo effetto, tanto più tenendo conto che stiamo parlando di hit da miliardi di stream, letteralmente capaci di arrivare ai cuori di giovani e meno giovani in ogni angolo del pianeta, come del resto fa un po’ specie sentire David Letterman parlarne, lui sì, con termini e conoscenze da boomer, come nel passaggio in cui confonde il numero di streaming con quello di potenziali ascoltatori, dicendo qualcosa come “che effetto ti fa sapere che un settimo degli abitanti del pianeta ti ascolta, riferendosi ai miliardi di stream” o, peggio, parlando di download laddove dovrebbe parlare di streaming, mica per niente a un certo punto le chiede se si può ancora parlare di dischi, domanda questa corretta, ma nell’insieme, ripeto, è una chiacchierata illuminante, di quelle che non si possono e non si devono perdere per nulla al mondo.
Specie a un certo punto, quando il centro della chiacchierate è appunto il confronto col pubblico, un pubblico di massa, immenso, nello specifico col pubblico dei live, dei concerti. Vado a memoria, perché non è certo nelle singole precise parole che è il succo di quanto sto raccontandovi, David le chiede che effetto ha su di lei lo stare su un palco di fronte a migliaia di canzoni che cantano le con lei le sue canzoni e lei, Billie Eilish, la popstar più fulgida della sua generazione, la Generazione Z, appunto, classe 2001, la stessa di mia figlia, caspita, sta lì a cincischiare, cercando le parole adatte per descrivere qualcosa che, suppongo, sia di per sé indescrivibile, specie a quella età. Età che riferendosi ai tour e ai concerti, ricordiamoci che c’è stata quella cosetta chiamata Covid19, negli ultimi tempi, negli ultimi due anni, e le registrazioni sono avvenute, non a caso in assenza di pubblico, niente teatro e niente risate in sala, quindi, proprio a pandemia ancora in corso, la guerra non pervenuta, parlando di concerti va in qualche modo riportata anche indietro nel tempo, i suoi primi concerti l’hanno vista ancora neanche maggiorenne, lei giovanissima a fare già incetta di pubblico e premi. Ecco, nel cercare le parole adatte per rispondere a questa neanche troppo complessa e originale domanda di David Letterman, lui gioca spesso la carta dell’uomo comune che chiede cose evidentemente scontate per far però poi delle inversioni a U improvvise e cercare di tirare fuori zampate notevoli, Billie Eilish dice che non vuole dire cose troppo ovvie, usando magari parole che uno si immaginerebbe dovrebbe usare, come il dire che lo stare sul palco di fronte a tanta gente è liberatorio, dice esattamente questo, che non vuole dire che alla fine di un concerto è come se avesse fatto qualcosa di liberatorio, dicendo in sostanza quel che non vuole dire, bell’escamotage metanarrativo. Ci pensa, l’idea di spiegare bene cosa si prova dopo aver cantato di fronte a migliaia e migliaia di persone è in effetti intrigante, non fosse altro perché, alla sua età, non è che siano tanti a poter rispondere a questa domanda, con il suo successo praticamente solo lei, e a un certo punto trova la risposta giusta, vincente. E la dice. Apre bocca, sgranando soddisfatta i suoi occhi verdi, languidi, e dice, parola più parola meno, che alla fine di un concerto si sente appagata e soddisfatta come ci si sente dopo aver fatto una bella cagata che era lì da tempo, in attesa di essere espletata. Dice così, il concerto è come una bella cagata, la fai e poi ti senti liberato, soddisfatto, ti senti decisamente bene.
David Letterman, seduto di fronte a lei, finge di essere stupito, quasi scioccato, le dice qualcosa come “sei una poetessa”, ma si capisce che è soddisfattissimo di questa risposta, come uno che ha fatto un goal decisivo o, per rimanere a Billie Eilish, come uno che ha fatto una bella cagata. Ci girano ancora un po’ intorno, al concetto di soddisfazione post-cagata, poi vanno oltre. Io no. Perché trovo che questa sia una immagine estremamente pop, non credo sia necessario spiegare perché, e anche perché trovo che sia una immagine assolutamente comprensibile per chiunque, azzeccata. E perché, qui volevo arrivare, mi chiedo cosa succederebbe se a usarla fosse un artista italiano, peggio una artista italiana. Lungi da me difendere la Pausini, che non è esattamente l’artista, Dio mi perdoni, che stimo di più, né artisticamente né umanamente, e che in effetti spesso si muove su quello stesso livello di poesia, pensate al “yo la tengo come todas” o alle tante espressioni poco eleganti da lei usate, ma se mai una come la Pausini, o Ramazzotti, o chi vi pare, dicesse una cosa del genere, qui in Italia, succederebbe il disastro. I fan si inalbererebbero, i media impazzirebbero di critiche, si parlerebbe di politicamente “scorrettitudine”, ovviamente, ma più in generale si sottolineerebbe come in queste parole alberghi un certo grado di ingratitudine verso chi, in fondo, ti permette di vivere nell’agio e nel successo. Dimostrando, per altro, di non aver capito nulla di questo passaggio dell’intervista, perché Billie Eilish, e nel nostro traslato chiunque in Italia, non ha mica detto che un concerto è come una cagata nel senso di qualcosa che fa cagare, ma al contrario, ha detto che è qualcosa che ci fa stare bene anche fisicamente, che la fa stare bene anche fisicamente, come dopo una bella cagata, qualcosa di naturale e quotidiano, settimanale se sei stitico.
Ecco, io, che ricorro spesso a un linguaggio triviale, mentre scrivo, vai poi a sapere se parlo come scrivo, credo che anche per questo Billie Eilish sia la fulgida popstar che è, perché sa trovare esattamente le parole che vanno trovate quando si vuole arrivare al cuore (o all’intestino) della gente. E per questo David Letterman è ancora oggi David Letterman, non c’è storia, perché quelle parole te le tira fuori come neanche una boccetta di Guttalax. Per dirla quindi come il René di Boris: “viva la merda”.