Non si gode neanche un po'. Alessandro Mahmood, piaccia o non piaccia, ha la voce più incredibile del panorama musicale italiano attuale. Pensare, però, che questo potesse bastare per tenere in piedi un docu-film sulla sua carriera è risibile scelleratezza. E infatti. Infatti Prime Video, dopo Sferaebbasta (già opinabile), Pausini e Ferro, accoltella un'altra star delle nostre sette note con un progetto, Mahmood, di cui non c'era il minimo bisogno. A testimoniarlo, oltre al buon senso, anche i boati di meraviglia che l'annuncio della data d'uscita del real-biopic aveva destato. E che si sono poi scontrati con un silenzio ecatombale, da quando la creatura è disponibile in streaming. Come mai? Tanto per cominciare, l'idea di omaggiare l'arco narrativo e artistico di un personaggio famoso da letteralmente quattro anni sapeva già in partenza di Waterloo. Non la canzone degli Abba. Abbiamo comunque avuto fede, pigiando play. Eccoci a riportarvi un'esperienza fallimentare. Non si esce vivi dal Ghettolimpo.
"Non sono mai stato bravo a parlare di me, forse è per questo che ho cominciato a scrivere canzoni", confessa Mahmood in una delle croccanti rivelazioni che ci concede durante il docu. Ebbene, lo sapevamo già. Non esattamente un gran chiacchierone, Mahmood ha la voce per cantare. Ed è questo che dovrebbe fare. Invece, lo hanno impelagato in un progetto che lo costringe a raccontarsi. Con molto imbarazzo sia per indole che per un dato fattuale: la carriera di Alessandro è esplosa con la vittoria al Festival di Sanremo 2019 grazie alla forza della hit Soldi. Clap Clap. Oggi, anno del Signore 2022, sono passati 4 anni, una pandemia, un altro trionfo all'Ariston in tandem con Blanco e... basta. Dov'è la storia? Non c'è.
Certo, il nostro, prima della svolta sanremese era stato scartato da X Factor, si era piazzato quarto nella categoria Giovani del Festivàl per poi tornare a fare il cameriere come prima. Ma questi piccoli grandi "no" possono bastare a tenere acceso l'interesse di un telespettatore che non si sia tatuato il testo di Rapide sui dorsali? No. È l'arco narrativo di un tizio qualunque che a una certa, svolta. E siamo felici per lui, se lo merita pure con il talento che tiene (sia vocale che nella scrittura dei testi). Da qui a sorbirci, però, un'ora e passa di nulla e special guest per metterci una pezza, spiace, ce ne corre. Può una gloriosa storia di successo terminare con una doppia data all'Alcatraz di Milano? Sì, se gli va. Ma il mecojoni sale prepotente.
Il docu-film Mahmood ha l'allure un po' vintage di quel filmino delle vacanze a Mykonos fatte con gli amici poche estati fa. A nessuno, all'infuori della cerchia di coinvolti, interesserebbe davvero vederlo coi popcorn e le matte risate. Per quanto la presenza, pure ampia, di Carmen Consoli resti un mistero (i due hanno collaboricchiato e cantato dal vivo L'Ultimo Bacio, alle volte, ma finisce lì), un personaggio spicca regale al di sopra di tutti, perfino dello stesso protagonista: Anna Frau, la madre di Alessandro.
Esigiamo fin d'ora uno spin-off su questa meravigliosa matrona che ancora oggi quasi quasi non ci crede al successo del figlio. Da sempre dura nei confronti delle velleità artistiche del giovane Mahmood ("Ma cosa vai in giro a cantare che c'hai la maturità, manca solo che ti boccino pure lì!"), mammà è riuscita pure a non presenziare all'Ariston durante la finale dell'ultimo Festival. Rimasta in albergo "perché tanto non vinci", alla proclamazione del trionfo di Brividi, Blanco è corso ad abbracciare i suoi e Mahmood è rimasto appeso sul palco a fissare il vuoto. Un bellissimo momento. Intendiamoci: non che non sia evidente l'affetto tra i due, ma questo pizzico di realismo brutale è irresistibile. E speriamo l'artista se lo tenga ben caro, prima di finire sul palco in cosplay da mummia con un paio di mutande in viso. O travestito da tartaruga fluo perché qualche brand gli dice che è troppa moda. Ah no, questo accade già. Pazienza.
Non che di piccole o grandi polemiche non ce ne siano state, finora. Basti pensare allo sclero di Ultimo in sala stampa quando si vide "portare via" la vittoria del Festival dall'outsider Mahmood. Come ha vissuto lui, Alessandro, quel momento lì? Il docu glissa. Come glissa sul rapporto col padre che... avrà preso bene il ferale testo di Soldi? Non lo sapremo mai. O, almeno non qui. Silenzio tomabale anche sulle varie shitstorm social che, di quando in quando, lo hanno tirato in mezzo (e da cui non è sempre uscito benissimo). Per non parlare della palese guerra fredda con Barbara d'Urso che, dopo averlo invitato a Domenica Live e essersi vista risponde picche, scelse di piazzare indefessamente la hit Rapide come sottofondo unico dei siparietti più trash che le riuscisse di sfornare. Niente, l'unica preoccupazione che il nostro sembra mostrare è quella di non avere i pantaloni abbastanza in palette con la griffata chemise che indossa. Balle di fieno rotolano sbadigliando. Da sempre allergico a parlare dei fatti propri (legittimo), Mahmood non è un personaggio da reality. È uno da palco. Lasciatelo lì e farà il suo. Splendidamente.
Peccato, però. Peccato perché sarebbe bastato aspettare qualche anno, abbiamo cieca fiducia nel fatto che il nostro non sia una meteora come tante, e ci sarebbe stato davvero tanto materiale per raccontare una storia discografica e personale, magari pure interessante. Storia che oggi risulta bruciacchiata, costellata di pezze tipo Mahmood che si tuffa a mare in Sardegna e poi magna 'na cosetta in spiaggia col parentado. Menzione di disonore per i temibili inserti d'animazione cazzuolati lì perché, appunto, un repertorio visivo abbastanza vasto ancora non c'è. E allora, cosa stiamo guardando? Puro fan service fine a se stesso. Un'eiaculazione davvero troppo precoce.