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Maradona: Sogno benedetto.
Un ritratto del Pibe, di Napoli
e dell'Argentina senza sconti

  • di Federico Vergari Federico Vergari

23 novembre 2021

Maradona: Sogno benedetto. Un ritratto del Pibe, di Napoli e dell'Argentina senza sconti
Un anno fa il mondo piangeva per la scomparsa di Diego Armando Maradona. Tra lacrime e abbracci, in una stagione calcistica è successo di tutto e siamo sicuri che il Pibe de Oro ci abbia messo la sua mano... de Dios. Abbiamo visto le puntate della docufiction dedicata a lui e ci è piaciuta tantissimo

di Federico Vergari Federico Vergari

Faccio subito pubblica ammenda: pensavo che guardando le prime puntate di Maradona: Sogno benedetto (in streaming su Prime video) mi sarei trovato davanti un prodotto di scarsa qualità. Diciamo un mix tra Speravo de morì prima (che non ha particolarmente brillato) e Il divin codino (che se non fosse per l’amore smisurato che prova per Baggio il sottoscritto sarebbe dura anche definirlo film), ma in salsa sudamericana. Insomma: da un momento all’altro mi aspettavo di veder spuntare Grecia Colmenares nel bel mezzo della vita di Diego Armando Maradona. E invece no. E. invece. No.

Maradona: Sogno benedetto spiega per bene come si fa una docufiction ed è perfetta in tutto: attori bravissimi (Nazareno Casero è impressionante nell’interpretare il Maradona di mezzo, quello che conquista l’Europa e si affaccia sul baratro), fotografia impeccabile, colonna sonora super, mix tra reperti video dell’epoca e fiction equilibrati, spiegazione dei fatti storici che accadevano mentre Diego Armando costruiva e distruggeva il suo castello di carta. Un esempio su tutti è rappresentato dalle proteste delle mamme dei desaperecidos argentini che sfilano mentre la nazionale under 20 capitanata dal numero Dieci entra dentro il palazzo presidenziale con la coppa del mondo di categoria. Niente di nuovo – e ci mancherebbe – ma vedere il tessuto sociale in cui è nato il mito del Pibe de oro sicuramente non ci fa male. E forse sì, magari per qualche giovane è anche qualcosa di nuovo da imparare, e questo lo diciamo per sottolineare – ce ne fosse ancora bisogno – che raccontare lo sport non vuol dire niente se accanto non ci metti i fatti, le storie e le vite.
 

La prima puntata è un piccolo gioiello che vale tutta un’autobiografia. Per capire chi è stato Maradona e comprendere – almeno in parte – le scelte che farà da adulto e le persone di cui si circonderà basta un’ora scarsa. Nel primo episodio capiamo tutto: la miseria, l’orgoglio, la fratellanza tra amici e vicini di casa. Le lacrime che versano la madre e il padre del giovanissimo Maradona, due lavoratori, due descamisados, «scamiciati» come erano chiamati coloro che provenivano dagli strati popolari della società alla notizia della morte di Peron ci spingono e invogliano a capire di più.

E poi - sempre in quel primo episodio - c’è la nascita della leggenda. Se fosse una storia di super eroi sarebbe questa la puntata in cui il protagonista viene punto dal ragno, resta chiuso in un laboratorio e colpito da dei raggi che ne cambieranno il DNA o cade dentro un pozzo e ne esce fuori cambiato. La maschera e la faccia. Maradona quando prende a calci un pallone indossa la maschera del super eroe: migliora le vite e forse le salva. Quando se la toglie è però un uomo come tutti. Si guarda dentro per cercare risposte e si affaccia su alcuni lati della propria esistenza che anche se sei un eroe mascherato o Dio o D10 non puoi controllare. E non c’è un perché. Tutti dobbiamo fare i conti con la nostra altra faccia della medaglia e spesso non sappiamo fronteggiare il peso di quello che vediamo. Perché calciare un rigore dentro un intero stadio che ti fischia può risultare più leggero del guardarsi dentro, capirsi, accettarsi e perdonarsi.

Altro capitolo che merita un approfondimento è il momento dell’arrivo di Maradona a Napoli. La scena del suo ingresso dentro lo stadio San Paolo, i momenti (che non abbiamo mai visto) nella pancia dello stadio prima di salire quella scalinata circondato dai fotografi è emozionate e unico. Bellissima anche la capacità della produzione di ricreare la temperatura “italiana” che si era creata attorno all’arrivo di Maradona che cercava un riscatto personale e quale posto migliore di una Napoli che a sua volta cercava un motivo per rialzarsi e combattere, nel gioco del calcio e non solo. Quel motivo Napoli lo trovò in un uomo che oggi ha dato il nome allo stadio: Diego Armando Maradona. Ci saranno altri film, libri e documentari, ma non guardare questa serie sarebbe davvero un peccato.

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