Ha rischiato di intraprendere la carriera politica, ma quando è arrivata la recitazione si è accorta che “c’era molta più verità nel teatro che nella diplomazia internazionale”. Ed è sfuggita, probabilmente, anche al precariato a cui l’avrebbe condannata la passione giovanile per la critica letteraria. Insomma, in qualche modo il cinema l’ha salvata. Vedremo ora se sarà in grado di sdebitarsi. Ma se chi ben comincia è a metà dell’opera, Maria Vera Ratti non poteva iniziare meglio. Napoletana, classe ’94, si è messa in mostra nelle fiction Rai, Rosy Abate 2 e Il Commissario Ricciardi, mentre a breve la vedrete in una produzione internazionale (ancora top secret).
L’abbiamo intervistata e ci ha confessato la sua adolescenza napoletana con la passione per i neomelodici, l'amore per la professoressa che la stava avviando a un futuro letterario e le esperienze in giro per l’Europa che l’hanno fatta crescere, oltre alla delusione per la politica e all’amore per Roma. Così come quell'attore di riferimento, in grado di insegnarle “a mettere un po’ di ordine nell’approccio al lavoro”.
Qual è il rapporto con Napoli, la tua città?
Ci ho vissuto fino ai 18 anni, poi sono andata via. Però è una città che ti entra dentro, invasiva, non ti abbandona mai. Mi ha lasciato dei modi di fare, sia personali che di relazione con gli altri, che però ho poi dovuto limare avendo vissuto in altri paesi. In Olanda già essere italiani era uno choc culturale, essere anche napoletani ancora di più.
Si dice spesso che Napoli è "un teatro a cielo aperto". È più facile diventare attori con quelle origini?
Secondo me sì, perché crescendo assimili dei modi di intendere e raccontare la vita che sono unici. Siamo performativi, in senso buono, in ogni espressione. Abbiamo un senso dell’umorismo e una drammaticità che fa parte della nostra storia e del dialetto che è una vera e propria lingua. E questo si eredita. In più è una città di contraddizioni, per cui capita quasi a tutti di crescere già dalla scuola con persone di qualsiasi estrazione sociale.
Della scuola, che ricordo hai?
Che arrivati al quinto anno si era formato un cameratismo incredibile. Eravamo tutti uniti, persino i punk con i “mafiosetti glamour”. Avevo una bella classe, perché nonostante le differenze ci sentivamo tutti sulla stessa barca. E poi, per un attore è interessante crescere con persone diverse, perché non sei portato a giudicarle ma a capirle e difenderle.
Per caso apprezzavi anche la cultura neomelodica?
Adesso non la ascolto più, preferisco spaziare su tutto. Però da piccola ho avuto una fase neomelodica, durante la quale frequentavo i cantanti di quel tipo. Avevo circa 13-14 anni e i miei genitori non erano molto contenti, però nella mia scuola c’erano dei ragazzi con parenti impegnati come neomelodici e io ero impazzita per quella cultura, volevo essere una di loro.
È stato un modo di trasgredire?
Chissà, ero davvero interessata. Le differenze mi incuriosiscono e la “bolla” neomelodica in quegli anni era molto di moda. Avevo frequentato la scuola americana e finalmente trovavo qualcosa di differente con cui esprimermi.
In seguito, hai vissuto in Olanda e in Germania. Quanto è importante fare esperienze di questo tipo in giovane età?
Moltissimo, perché bisogna riuscire ad arrampicarsi fuori dalle proprie tendenze culturali visto che alla lunga possono diventare dei dogmi. Bisogna mettersi in discussione. All’estero sono stata costretta, l’Olanda in particolare è un paese molto diverso rispetto ad altri come per esempio l’Inghilterra. Non è così cosmopolita. Io ero a l’Aia, che non è certo Londra e quindi ti trovi a dover imparare gli usi e i costumi del paese che ti ospita.
Per esempio cosa hai imparato?
Da napoletana, davo per scontato che le regole si potessero interpretare. In Olanda assolutamente non è così e lo capisci anche solo parlando con le persone.
È vero che hai pensato di lavorare come critica letteraria?
Sì, perché al liceo avevo una insegnante di italiano che mi ha fatto appassionare. Pendevo dalle sue labbra per quanto era brava. Io ero al liceo linguistico, ma ci preparava talmente bene che sfidavamo gli altri ragazzi dei licei classici a chi conosceva meglio la materia. Ci faceva fare dei temi molto impegnativi, dove ci invitava a riflettere. Studiavamo tantissimo, ma per compiere delle analisi articolate, non solo per ripetere. Un modo molto adulto rispetto a come eravamo abituati. Quindi, visto che amavo fare i temi ho pensato che il lavoro ideale potesse essere quello legato alla critica letteraria, ma quel sogno non ha avuto un seguito.
Quali sono i tuoi libri preferiti?
Ho letto tutta Elena Ferrante e sicuramente quei libri hanno parlato a me e di me in maniera particolare. Ora sono in fissa con l’America. C’è un libro di Megan Phelps-Roper che si intitola Unfollow, scritto benissimo che racconta della sua esperienza in una sorta di setta evangelica. Mi affascinano gli Stati Uniti, si vede che è un paese giovane e c’è molta più libertà, anche di sbagliare.
Hai iniziato al cinema, ma ti piacerebbe provare anche qualche esperienza teatrale?
Moltissimo! Non ho fatto l’Accademia perché sono “inciampata” in questo lavoro e quando ho capito che poteva essere la mia strada era troppo tardi. Ho dovuto scegliere e ho scelto il Centro sperimentale, che mi ha fatto innamorare del cinema. Però il teatro ti dà qualcosa che non ti può dare nient’altro. Il teatro fatto bene, che è sempre più raro. Mi farebbe piacere trovare un regista che ha voglia di investire su di me, che ho poca esperienza pratica ma tantissima come spettatrice.
Qual è la tua attrice preferita?
Ho appena letto un libro ispirato alla vita di Rossellini dove si parlava tanto di Ingrid Bergman. Direi che è lei il mio modello.
E fra gli italiani, hai qualche modello?
Pierfrancesco Favino, non solo ho visto tutti i suoi film, ma ho anche ascoltato tutte le sue interviste. Da lui si può imparare tantissimo. Ha un grande talento e nello stesso tempo è stato determinato educandosi al lavoro. Io sto cercando di farlo, perché sono ancora un po’ disordinata. Da lui cerco di imparare e sicuramente in questo momento è un faro per me.
Il primo autografo lo ricordi?
A me mette un po’ di imbarazzo, anche se fa piacere. Mi sento “impanicata”, come si dice a Roma. Poi quando sono a cena con gli amici e mi riconoscono loro mi prendono in giro. Una volta ero in un negozio di vestititi e si sono avvicinate 4-5 ragazzine e mi sono immedesimata, mi si è sciolto il cuore.
È partito dal cinema, ma ha scosso l’intesa società. Parlo del Movimento Me too. Per caso anche tu sul lavoro hai avuto brutte esperienze o ne hai avuta testimonianza da altri?
Non mi sono stupita che sia esploso quel movimento, nonostante non abbia avuto brutte esperienze. Ho iniziato a lavorare più o meno quando sono emersi gli scandali e quindi sono tutti un po’ più attenti. Ma delle amiche mi hanno raccontato di aver avuto problemi ed è qualcosa di ignobile. Nessuno dovrebbe sentirsi minacciato, in pericolo, o rischiare di perdere quello per cui lotta ogni giorno.
Come vivi da ragazza giovane la politica di questi anni, che non sembra riuscire a dare risposte alle istanze della tua generazione?
Mi sembra che l’Italia sia alla ricerca continua di un equilibrio. È qualcosa di davvero strano, un continuo punto interrogativo. E alla fine ho la sensazione che in un modo o nell’altro noi rimarremo sempre fregati. La soluzione ci sfugge fra le mani. Ho studiato scienze politiche e la politica mi ha deluso. È una lotta di tutti contro tutti. È come se tutti quelli che si impegnano in politica stessero cercando soltanto il loro posto al sole e noi dobbiamo sperare di non finire troppo male. Insomma, alla fine la sensazione che provo sempre è quella di rimanere fregata.
Si dice che ormai i politici siano degli ottimi attori…
Per quello ho smesso di avere passione per la politica. Speravo di lavorare nella diplomazia internazionale, ma evidentemente non era la mia passione. Ma è anche vero che mi sembrava tutto molto teatrale e poco vero. Mentre quando ho iniziato a fare l’attrice mi è apparso tutto estremamente vero e poco performativo. La politica è un modo di raccontare la verità per portarla a tuo favore, mentre invece l’arte è l’unico vero veicolo della verità perché se è fatta bene è sincera.
Abbiamo iniziato da Napoli, finiamo con Roma dove abiti oggi. Nonostante i tanti problemi, tu come la vivi?
Mi sono trasferita quattro anni fa e per me Roma è filtrata da lenti rosa. Sono innamorata, ci sto benissimo ed è bellissima. Sono ancora in questa fase. Tutti mi dicono che è così per i primi cinque-dieci anni, poi comincia a darti fastidio tutto. Ma questa città è dove ho trovato la mia passione e poi è troppo bella. Quando sono giù, mi basta fare una passeggiata e mi riprendo.