La descrizione è quantomai chiara. Alice, nel romanzo di Lewis Caroll Alice attraverso lo specchio e quello che Alice trovò, prendendo in braccio la micetta Kitty e portandola davanti allo specchio nel salone, dice: “Prima di tutto, c’è la stanza che puoi vedere dall’altra parte del vetro… è uguale al nostro salotto, solo che le cose sono all’incontrario.” Ma poi avverte: “Ti piacerebbe abitare nella Casa dello Specchio, Kitty? Chissà se ti darebbero il latte anche lì? Forse il Latte dello Specchio non è buono…” In realtà, come spiega in una nota coltissima nell’edizione Rizzoli Martin Gardner, è più probabile che, visti i successi nella fisica moderna riguardo alla composizione delle particelle, il Latte nello specchio sia piuttosto un anti-latte (un’antimateria), e dunque risulti imbevibile all’Alice o alla micetta Kitty. E aggiunge: “Naturalmente però una anti-Alice dall’altro lato dello specchio troverebbe l’anti-latte saporito e nutriente come al solito.” Quindi, si tratta di decidere da che lato siamo dello specchio, se lo abbiamo attraversato e quindi siamo intoccabili da quel mondo che appare completamente al contrario rispetto al nostro attuale; o se invece in quel mondo al contrario ci siamo nati e dunque ne apprezziamo le qualità così come chi da sempre vive nel mondo al di qua dallo specchio apprezza la propria realtà. Insomma, si tratta di capire se ci piaccia o no il Latte dello Specchio.
Un esempio. Sigfrido Ranucci, diventato il simbolo del giornalismo d’inchiesta in Italia, a maggior ragione dopo l’esplosione della sua auto in provincia di Roma, si è presentato alla Camera con una giacca di pelle. Questo tratto è distintivo della sua persona: uomo sulle barricate, giornalista d’assalto o, come accade ora, giornalista che guida una squadra di giornalisti di assalto. La sua giacca di pelle è a sua volta il simbolo di un certo modo di fare giornalismo che non rispetta l’etichetta né lo stile poltroniero del mondo dell’informazione italiana. Un po’ come la tuta di Zelensky, che rarissimamente si è mostrato in giacca e cravatta, preferendo diventare un pezzo della narrazione sull’Ucraina resistenza, una sorta di Churchill (il paragone è di Bernard-Henri Lévy) vestito da professore di ginnastica, un comico che non sa più ridere, una figura tragica ma profondissima allo stesso tempo. Ranucci fa la stessa cosa, ma nel contesto provinciale di un’Italia che è periferia dell’impero tanto quanto è periferia dello scoop. I grandi casi? Tutti americani, poi qualcosa – poco – di tedesco, inglese o francese, pochissime notizie di portata internazionale vengono scoperte dai giornalisti nostrani e ciò che viene scoperto è pura cronaca più che inchiesta (basti pensare alla notizia più discussa e grave di questi mesi, e cioè il rilascio di Almasri, il torturatore tornato in Libia sotto la luce del sole con un volo di Stato). Ranucci, insomma, è ciò che nel nostro mondo più somiglia al giornalista taccuino e penna in mano, che bussa i finestrini delle auto blu e fa domande che nessuno vorrebbe sentirsi porre. Lui è il primo a saperlo, tant’è che quando mancano le inchieste sopperisce necessariamente con servizi dai toni scandalistici ma dai contenuti banali.
Passiamo attraverso lo specchio. Massimiliano Zossolo, fondatore di Welcome to favelas, pattuglia le strade di Roma e ridà vita in pochi anni all’urban journalism, un’altra frontiera dell’informazione che la cronaca da ufficio stampa, stavolta locale, ha completamente ammansito. Sui social si pubblicano video di risse, di incidenti, di liti, e Welcome to favelas lo fa così bene che i giornali iniziano a riprendere i loro contenuti, spesso senza citarli. Zossolo è diventato famoso anche grazie all’incontro con Elon Musk, il transumanista che ha fatto scoprire il termine “transumanesimo” alla stampa, forse interessato alla sua attività giornalistica. Zossolo è sulla barricata, si è fatto sei anni di carcere per “devastazione e saccheggio”, ha i tatuaggi sul volto, il taglio di capelli della borgata. Ma soprattutto quel giubbetto di pelle, che gli dà la libertà di intervistare Petr Bystron, europarlamentare dell’Afd (Alternative für Deutschland), e Leonardo Caffo, filosofo condannato in primo grado per maltrattamenti in famiglia, nemico pubblico numero 1 delle femministe italiane e pària della cultura italiana da circa un anno. Quella libertà che lo accomuna proprio a Ranucci.
Eppure i due sembrano inavvicinabili, potrebbero esplodere se solo provassero a toccarsi, come l’Alice del paese reale e il Latte dello Specchio, materia e antimateria. Ma davvero le cose stanno così? Davvero sono due immagini simili che comunicano messaggi completamente opposti, uguali e contrari, rovesciati? O, come scrive Umberto Eco ne Il pendolo di Foucault, non è forse un’illusione “quella dello specchio normale, l’altro che ti guarda condannato a un mancinismo perpetuo, ogni mattino quando ti radi?” Ovvero, non stiamo forse ricamando differenze che in realtà non esistono, non stiamo ponendo una distanza tra due mondi e modi di fare giornalismo che in realtà si toccano, proprio sul crinale di quei cristalli, di quello specchio, dove la realtà, spesso complessa, diventa bidimensionale? Pensiamoci. Ranucci e Zossolo sono in fondo la stessa cosa, animali tragici di specie morenti, che ogni volta pare possano salvare quel modo lì di fare giornalismo: l’inchiesta che non fa favori ai potenti da un lato, il giornalismo di strada e locale dall’altro. Entrambi non pongono limiti alla provvidenzialità delle notizie, accettando di tirar su le storie che questa Italia lascia emergere senza distinguo da snob: una lite televisiva, una mostra sul futurismo, un incidente stradale, la propaganda di destra, l’eolico, le curve, i vaccini e così via. Fanno ciò che sanno fare con quel che c’è, dimostrando, se non onestà (una virtù sopravvalutata, poiché impossibile da giudicare dall’esterno), una consapevolezza formidabile.
Allora forse la risposta alla domanda se ci piaccia o meno il Latte nello Specchio dovrebbe essere posta diversamente: come distinguiamo il sapore del giornalismo che consideriamo alto (Ranucci), dal giornalismo che consideriamo becero e populista (Zossolo)? Come sappiamo, in altre parole, di quale lato siamo figli, del mondo al di là dello Specchio o al di qua? Servirebbe un test di Turing per provare a trovare le differenze tra Ranucci e Zossolo, per poi scoprire che queste differenze non esistono, che da Ranucci e Zossolo ci ritorna a mo’ di riflesso la stessa idea di giornalismo come unicità senz’aura, per usare una definizione di Walter Benjamin. Sono entrambi molto chiari nell’identificarsi con ciò che li ha portati al successo. Indossano la giacca di pelle come a dire che sanno da dove arrivano e cosa stanno facendo e non hanno bisogno della diplomazia delle giacche, l’equilibrismo “fumo di Londra” dei carrieristi. Loro la carriera l’hanno provata a fare con le regole che hanno scelto, raro privilegio. Ma per sopravvivere, secondo quelle regole, non possono che continuare a indossare le loro giacche di pelle, possibilmente chiuse con la zip, perfettamente aderenti a un fisico nazionalpopolare.