Questa è una non notizia, perché Javier ha ovviamente vinto le elezioni di metà mandato, con circa il 41% dei voti, contro il 31% del partito peronista (la storica forza politica che ha regnato, è il caso di dirlo, in Argentina). Ovviamente, sì, perché solo i giornalisti e gli intellettuali potevano credere che Milei stesse soffrendo a livello di consensi per via delle sue scelte ultraliberiste. Di solito è un racconto che arriva da fuori, dai colti che oggi si sorprendono per la vittoria del presidente argentino. Corriere, Il Post, Repubblica, in Italia ovviamente facciamo scuola in quanto a cattive previsioni. Era altrettanto ovvio, infatti, che i nostri intellettualoni si sorprendessero per un risultato prevedibile, dal momento che sembrano basare le loro analisi solo sui sondaggi, gli stessi che avevano convinto un po’ tutti della sconfitta di Trump alle elezioni che poi, invece, ha vinto. Mentre Repubblica avvertita del brutto periodo passato da Milei in Argentina (Titolo: “I pentiti della motosega: Milei rischia il flop alle elezioni midterm”, Elena Basso, 26 ottobre 2025), il popolo argentino dava torto a Repubblica e a tutto il consesso progressista. Il popolo così come i dati visto che Milei, per la prima volta nella storia recente di questo Paese, per decenni governato dai peronisti o da altre sfumature di socialisti, ha fatto crollare l’inflazione (i pessimisti vi diranno che ultimamente questo trend è rallentato, ma non vi dicono che da quando Milei è al governo l’inflazione è scesa come mai negli anni precedenti) e ha dimezzato il rapporto debito/pil. Queste però sono cose tecniche, non si pretende che vengano discusse nel dibattito pubblico.
È triste, tuttavia, constatare che i nostri intellettuali funzionino ormai come Internet Explorer, perché completamente incapaci di stare sul pezzo e fare connessioni minimamente sensate tra realtà e teoria (a titolo di esempio, sempre Repubblica è ancora convinta che Milei sia una sorta di Giorgia Meloni o Trump argentino). Eppure agli intelligentoni sarebbe bastato leggere un libro agile e abbastanza breve, scritto da un economista di Scuola austriaca (la corrente economica a cui aderisce anche Milei), Philipp Bagus, pubblicato in Italia dalla casa editrice dell’Istituto Bruno Leoni: L’era di Milei. La nuova frontiera argentina (Ibl Libri, 2025) e tradotto da Guglielmo Piombini che, bonus track, oltre a essere uno degli studiosi di anarcocapitalismo più rispettati in Italia è anche un libraio a Bologna con una selezione completa dei testi libertari tradotti in italiano, caso unico in Italia. In pochissimi capitoli Bagus spiega i motivi del successo di Milei e la sua storia, dalla conversione all’anarcocapitalismo (quando già insegnava economia all’università e scelse di leggere tre volte L'azione umana di Ludwig Von Mises, un mattone di circa mille pagine; un'impresa eccezionale per la quasi totalità dei. nostri leader) fino alla vittoria, presentando le sfide future e, in estrema sintesi, le credenze, o meglio i dogmi, radicati nell’immaginario comune che si è trovato a dover combattere (non solo in Argentina, ma ovunque; uno di questi è la teoria del valore-lavoro di Karl Marx). E dice anche una cosa fondamentale: a differenza di tutti gli altri, Javier Milei ha fatto voto di verità, e cioè ha promesso di dire sempre come stanno le cose ai cittadini. Lo ha fatto persino il giorno del suo insediamento, quando avrebbe potuto tenere un bel discorso propagandistico e retorico; lui ha preferito avvertire di quel che sarebbe accaduto, perché la medicina a decenni di socialismo economico sarebbe stata aggressiva, forte, durissima. Ci sarebbero stati anni difficili, resi poi ancora più difficile dall’opposizione delle forze politiche avversarie di Mieli. Ma qualche risultato già inizia a vedersi: come abbiamo detto, inflazione giù, come mai prima d’ora.
Allora come si fa a chiamare Milei populista, uno che non ha mai mentito al suo elettorato, che ha vinto senza mai mascherare le sue reali intenzioni? Certo, Milei ha anche usato una strategia di comunicazione aggressiva e normalmente definita populista, ma Bagus spiega anche questo e ricorda l’affinità tra la tattica di Milei e quella paleolibertarian, termine con cui si indica, tra tutte le correnti anarcocapitaliste, quella di Murray Rothbard, più realistica di altre e vicina a ciò che Milei sta provando a fare in Argentina. I limiti possono essere tanti e le sfide sono chiare, Bagus non lo nasconde e Milei lo sa bene. Il suo atteggiamento, spesso troppo entusiasta, nei confronti di figure ben poco libertarie o liberali come Trump, potrebbero rivelarsi un problema, nonostante ora gli abbiano garantito appoggi sia politici che economici (c’è chi dice che Milei abbia superato queste elezioni proprio per via della minaccia di Trump, che aveva promesso investimenti solo se il leader libertario avesse vinto), ma Milei sta cercando di lavorare sull’unico aspetto che quasi qualsiasi politico del normale compasso ideologico a cui siamo abituati ha sempre evitato di comprendere a fondo: l’economia, e cioè quello spazio in cui, se lasciate libere, le persone possono prosperare ed essere felici. Il libero scambio, le relazioni su base volontaria, tutto ciò che fa paura alla politica. Ora, ci sono due modi per raccontare la vicenda Milei. Uno è quello degli intellettuali e dei giornali che non e azzeccano una, l’altra è quella pro Milei e pro libero mercato, e cioè quella cosa che gli intellettualoni che non ne azzeccano una vi hanno insegnato, senza motivo, a temere. Nel frattempo, viva la libertad carajo!