Charles Baudelaire, dice Roberto Calasso, sostiene che la poesia non è obbligata a parlare di poesia. E nessun’altra considerazione mi sembra più azzeccata per iniziare a raccontarvi questa storia, la storia del rap italiano – nella fattispecie romano – che a un certo momento cessa di essere autoreferenziale e, anziché continuare a parlare della cultura hip hop, inizia a guardarsi attorno e a raccontare le borgate, ricollegandosi così all’affresco che ne aveva fatto decenni prima Pier Paolo Pasolini. Devo ammettere di essere stato privilegiato, giacché, essendo stato in anni passati un assiduo frequentatore dell’ambiente street, conobbi i Truce Boys prima che tutti gli altri avessero anche solo idea di chi fossero, e prima ancora che loro stessi credessero pienamente nel loro progetto. La prima traccia che sentii fu quella di Gel all’interno di Skills nelle mani, mixtape di DJ Fester che proprio Gel in persona inviò in formatto musicassetta a me e a F., un mio amico che conosceva tutti nel mondo dei graffiti e che tutt’ora è attivo, conosciuto e stimato da chi ama questa forma d’arte così meravigliosamente teppistica e importunante. Era il ’99 e ricordo benissimo l’espressione che fece F. quando, al telefono con Gel, staccò la chiamata ed esplose in una risata incontenibile. «Gel non ci manda solo le fanzine (riviste indipendenti, ndr) di graffiti che ci ha promesso, ma anche un mixtape dove c’è una sua canzone. Ha formato un gruppo e si chiamano…» non riusciva a concludere perché l’ilarità da cui era totalmente rapito glielo impediva. Il pensiero che Gel, cioè Corrado, quel writer romano con cui ci scambiavamo fanzine di graffiti, avesse avuto quest’idea bislacca di formare un gruppo rap era una cosa troppo comica. «Allora me lo dici come si chiama il gruppo?» gli domandai. «Voglio saperlo». «Truce Boys, si chiamano». E riscoppiò a ridere. «Ti sembra un nome? Truce! Ci pensi? Gel è fuori di testa. Ora ha il gruppetto rap». «Si sono rifatti a La banda der trucido» dissi io, riferendomi al mixtape di Robba Coatta (Piotta e DJ Squarta) di due anni prima, e non certo al film con Er Monnezza che al tempo non conoscevo.

Fatto sta che da quel momento in poi avvenne tutto con una rapidità inarrestabile. I Truce Boys si fecero conoscere, Gel venne sommerso di insulti per il freestyle sul piccolo Tommaso, rischiando di venir emarginato dalla scena, ma riuscì a rialzarsi e allargò i Truce Boys in Truce Klan, trasformandolo da ennesimo gruppo rap proveniente dalla capitale a collettivo gangsta romano e portavoce delle borgate. Quando avvenne io avevo letto da poco Ragazzi di vita di Pasolini e ricordo benissimo che godimento fu per me ritrovarci dentro il Ricetto, il Caciotta e gli altri personaggi del romanzo. Erano proprio loro, stessa rabbia e medesima attitudine, ma in salsa più contemporanea. In più stavolta non erano più evocati da un narratore onnisciente, ma sfondavano la parete della finzione narrativa per raccontarsi senza mediatori. Trovavo entusiasmante che i rocamboleschi eroi pasoliniani delle borgate si mostrassero finalmente in prima persona e avessero nomi più moderni e vicini alla mia realtà: Chicoria, Gel, Noyz Narcos e Benetti DC. Quasi tutti utilizzavano i nomi coi quali riempivano di vernice i treni della capitale e ogni superficie che incontravano. Erano – prima ancora di rappers – bombers, ovvero writers ossessionati da arrivare coi loro throw-up e le loro tag ovunque, all’insegna della necessità disperata di affermare la propria identità e di poter dire «Esisto anch’io, non sono invisibile, e se lo sono non voglio essere condannato a esserlo per sempre». Pasolini aveva scritto i romanzi sul sottoproletariato delle borgate negli anni Cinquanta. Ragazzi di vita nel ’55 e Una vita violenta nel ’59. Dunque, facendo due calcoli, realizzai che Pasolini era il nonno del collettivo romano, e Caligari (autore del film Amore tossico, 1983) il loro padre. Chissà se Pasolini, brutalmente assassinato il 2 novembre del 1975, avrebbe immaginato che le borgate, poco più di vent’anni dopo, sarebbero state raccontate di nuovo in maniera così realistica. Stavolta addirittura dai suoi protagonisti, senza l’intromissione della borghesia, classe sociale alla quale Pasolini apparteneva ma dalla quale, alla stessa maniera dei nobili antimonarchici che in Francia si schierarono dalla parte dei rivoluzionari, desiderava prendere quante più distanze possibili. Qualcuno può domandarsi come mai i Truce Klan siano stati i primi eredi della narrazione pasoliniana delle borgate, sebbene prima di loro ci furono centinaia di rapper di borgata suddivisi in altre due generazioni almeno. La risposta è che, come anticipato all’inizio dell’articolo, prima di loro nessuno si era calato in certi abissi narrativi con così tanta attenzione e devozione, nemmeno chi le borgate le viveva più di loro. I rappers delle generazioni precedenti avevano perso l’occasione di farlo perché prima dei Truce Klan le tematiche del rap italiano erano tutte incentrate sulla cultura hip hop. A nessuno veniva in mente di parlare di vita di strada e di quartiere, eccezion fatta per pochissimi casi isolati, come l’abruzzese Lou X. Persino i Flaminio Maphia, che con un nome del genere e col titolo del loro primo ep (RestaFestaGangsta, 1997) promettevano uno storytelling incentrato sulla vita di borgata e la microcriminalità, ne sono stati cronisti deboli. È doveroso specificare che alcuni membri dei Truce Klan non vivevano nemmeno nelle borgate, ma ne erano solo frequentatori. Eppure il loro reportage era impeccabile, come d’altronde lo è quello di Pasolini.Entrando ora nel merito delle loro liriche, mi sembra doveroso segnalare la strofa di Noyz in Mattoni (traccia contenuta nel mixtape Fastlife Mixtape Vol. 1 (2006) di Guè e DJ Harsh), la quale può essere eletta a rappresentante di quella narrazione in prima persona di cui si accennava sopra, e che in poche righe racchiude il disagio della vita delle borgate, il senso di vergogna dato dall’essere costretti ad abbracciare un determinato stile di vita, il sentirsi condannati e l’impossibilità di uscirne:
Spaccio morte dal negozio all'angolo
Io che mento con un giudice di fronte, i miei che piangono
[…]
Piove nero e pensano che è tranqua
La mia faccia sbianca ogni istante che una volante m'affianca
Solco sei quartieri, fendo nebbia co' la faccia
Me se ghiacciano i pensieri e l'ansia mi schiacci

Ed è sempre Noyz, assieme a un ancora più rappresentativo personaggio delle borgate, Chicoria, a firmare un disco che – oltre a rappresentare forse l’unico disco porno rap italiano, con una copertina che è tutto un programma – potrebbe di diritto entrare, in elenco coi romanzi pasoliniani, all’interno di un corso di letterature comparate sul degrado sociale delle periferie romane. Il lavoro in questione esce nello stesso anno del mixtape di Guè, si intitola La calda notte e non posso esimermi dal segnalare in particolar modo una traccia, intitolata Cronaca quotidiana, in cui è ben incarnata l’ipotesi di fondo secondo la quale i Truce Klan sarebbero in continuità con Pasolini sul discorso delle borgate. La canzone in questione è realmente, come si promette di essere dal titolo, una cronaca quotidiana di chi è intrappolato nell’inferno delle borgate. La strofa di Noyz è interessante soprattutto perché, come si trattasse di un romanzo pasoliniano, la cronaca è lucida e rigorosa. Appaiono infatti nomi di personaggi, di zone e luoghi della capitale, all’interno di episodi piuttosto grevi:
Talenti, dieci di mattina, punta in Cecchina
Tavoletta marocchina, spinello e lattina
Il mio amico arriva co' una refurtiva esclusiva
Chi sudava pe' una giacca nuova al tempo non dormiva
[…]
Mondo bastardo, casa base di Leonardo
La gente che non scordo fino al giorno in cui sarò morto
Punta con Marco al parco Aguzzano
Devo vedere un altro negozietto co' Emiliano
E se in questa prima parte si parla di malefatte, e si potrebbe avere la sensazione di essere di fronte all’esaltazione della vita di quartiere e dell’attitudine criminale, nella parte successiva i toni si fanno più malinconici, e a emergere è il malessere che si prova a essere vittime di una condizione sociale che porta a una vita rovinosa:
Nelle spedizioni a notte fonda quando tutta Roma è spenta
[…]
E mi torturo il cranio perché non c'è più nessuno qui
Come butta, zì? Che mi dici?
Ho perso ventuno amici, tutti ragazzi infelici
[…]
Domani sarà peggio di oggi
Non c'è sole, non più raggi sui ragazzi selvaggi
[…]
La cronaca di Roma porta il nome di un amico in coma
Riporta vecchie rogne nella nuova zona
Se potessi cambiare sistema
Se Noyz e altri del suo gruppo inseriscono tracce di romanesco all’interno delle canzoni, non si può dire lo stesso di Chicoria, che non si limità a ciò, ma per raggiungere una vera mimesi, e dipingere fedelmente le realtà che racconta, si esprime solo ed esclusivamente con la lingua dei suoi posti:
Appizzo sotto tera tre chili d'erba
E quanno Bravetta è deserta, li dissottero
E li venno ar prezzo più stratosferico
È così che mi vendico
Ho lasciato questo passaggio per ultimo non per caso, ma perché mi sembra possa degnamente chiudere il discorso sviluppato in questo pezzo. Perché Chicoria dice di vendicarsi? Nei confronti di chi? Che significato ha il fatto che ci racconti la sua attività di spaccio e che ci dica che questa è la sua vendetta? È una risposta che conoscono bene i ragazzi di vita di Pasolini e quelli di una vita violenta. La vendetta è nei confronti di chi ha fatto sì che il disagio delle periferie dilagasse fino a diventare un burrone in grado di risucchiare i suoi abitanti, e Pasolini lo conosceva bene. Lo raccoglieva ogni giorno mentre girava per quelle strade e in mezzo a quei palazzi. E i Truce Klan, protagonisti diretti della vita di borgata, ne hanno riesumato la narrazione, forse delle volte romanzando ed esaltandone lo stile di vita, ma mai risparmiandosi e mai censurando ciò che per decenni era stato, almeno nell’arte – se si escludono il già citato film di Caligari e pochi altri episodi – un po’ dimenticato.
