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Michela Murgia ci hai
fregati ancora, ma rimane
una domanda: ai poveri chi ci pensa?

  • di Ottavio Cappellani Ottavio Cappellani

14 agosto 2023

Michela Murgia ci hai fregati ancora, ma rimane una domanda: ai poveri chi ci pensa?
Dopo la scomparsa della scrittrice è tutto un profluvio di articoli e discorsi di esaltazione per le sue battaglie civili, per il suo impegno politico, per come ha affrontato la malattia (e i libri?). Ma rimane una domanda ancora senza risposta: chi non ha le qualità o le possibilità che ha avuto lei, come fa? Perché ha inneggiato alla libertà con i vestiti firmati, le amicizie nei salotti buoni (tipo Roberto Saviano e Chiara Valerio) e dalle copertine di Vanity Fair, solo che sembra tutto un gigantesco: CIAO POVERI!

di Ottavio Cappellani Ottavio Cappellani

No, minchia, ma i malati di cancro poveri? Senza conoscenze? Quelli che non possono chiamare alle riviste per dire “voglio fare l’orient express”? Ci sono cascato io per primo: di fronte alla morte siamo come conigli abbagliati dai fari. E adesso sono in pieno “esprit de l’escalier”, quando qualcosa non ti torna ma la frase giusta da dire, o il pensiero giusto da pensare, arriva troppo tardi. Ma mica solo io. Massimiliano Parente, che ha detto su Mowmag che il capolavoro della Murgia è stata la sua morte. E Alessio Mannino, sempre su Mowmag, che ha posto l’attenzione sul discorso della Murgia al salone del libro di Torino (che io per altro ho pure ripreso e inneggiato in un pezzo sul quotidiano “La Sicilia”). Che brava la Murgia che inneggia alla libertà, ai vestiti da sera indossati alle dieci del mattino, ai cappelli! E le povere malate di cancro che hanno solo berrettini sotto i quali nascondere il cancro ed esibire la loro povertà? Tutta questa morte pubblica, minchia, mi sta sembrando un CIAO POVERI! colossale, offensivo, tremendo. Perché la Murgia ci tiene a farci sapere che ha messo tutte le cose a posto, che ha lasciato l’appartamento, mentre lei moriva tra una sfilata di moda e un’intervista a Vanity Fair.

E i poveri?

Dice: ai poveri ci ha pensato prima, quando faceva mille mestieri, quando lei stessa era povera. Sì, certo. E poi? La “letteratura” non dovrebbe essere al servizio di se stessi, della propria ricchezza personale. Quando la Murgia ha iniziato a guadagnare ha virato, ma guarda tu il caso, dalle battaglie sui precari alle battaglie fumose alla Schlein: identità, queer, patriarcato, schwa… e i poveri?

Dice: maddai, lo sanno tutti che la Murgia era proprio devastata dalla figura del padre violento e che la sua lotta contro il patriarcato è profonda, vera, sentita. Cosa vuoi sostenere che la virata verso il patriarcato era una maniera di restare engagée di sinistra e nuova ricca? Io non sostengo nulla: era la Murgia che sosteneva Mario Adinolfi come segretario del Pd fottendosene altamente (e politicamente) del patriarcato. Ma ancora mi chiedo: e i poveri?

Michela Murgia fotografata per Vanity Fair
Michela Murgia fotografata per Vanity Fair

Non è che la carriera letteraria e politica della Murgia sia stata una carriera personale (e legittima) e per un caz*o pubblica o politica? Non è che in questa sua famiglia d’anima e “queer” si possa vedere quella che una volta si chiamava subalternità? Ma come è stato commovente il discorso di Roberto Saviano e di Chiara Valerio e di Lella Costa, ricchi ca va sans dire, o benestanti quantomeno (se possono fa ‘a magnate de pesce, armeno). Amicizie importanti da sfoggiare come Rolex: “Quando mi sono innamorata sono corsa da Chiara Valerio”, mica come le commesse che corrono dalle estetiste; quello forse prima, ma tra Adinolfi e Saviano vuoi mettere? Che minchia ci abbiamo visto di “pubblico” e “politico” in questa normalissima morte (ce so’ cascato pur’io) me lo sto domandando da qualche ora. Come se mi fossi all’improvviso svegliato e mi fossi detto: e che cazzo, ma i poveri?

Ma che bella morte politica e pubblica e applaudita e confortata dalla elite de sinistra e dalla famiglia d’anima (mica ‘na morte cor pizzicagnolo ecco la vicina di casa stronza che fa la faccia contrita)! Che bello il notaio e “l’articulo mortis”: che bella l’eredità da lasciare agli affetti (ma esibirla e raccontarla è un atto “politico” o ci siamo solo rincoglioniti noi, compreso Massimo Giannini e Gad Lerner – ora che ci penso, quest’ultimo è forse il più titolato a parlare della Murgia)! Che felicità la liberazione dal pauperistico e il “e mo’ faccio quello che cazzo me pare. Fatelo anche voi, mi raccomando, ma fatelo anche senza cancro!”, certo, mo’ lo faccio, ma scusa, a’ Murgia, ma i sordi ppe fa quer che cazzo ce pare chi cce li da? La borsetta di mammà d’anima?

Michela Murgia fotografata per Vanity Fair
Michela Murgia fotografata per Vanity Fair

E che due palle politiche e pubbliche ppe gnente, cco sta morte, normale, banale, sofferta certo (come tutte), con una mente che diventa eccentrica (succede), con “le ceneri me le spargete in Corea del Sud"), che se fosse almeno stata la Corea del Nord avrebbe avuto un senso, per quanto perverso, ma comunista. No ‘sto giro dei miracolati dell’oligarchia dell’impegno, questi “conservatori” del proprio potere e della propria eredità.

E io che come un coglione ancora mi chiedo: e i poveri?

Quelli che muoiono uguale uguale alla Murgia ma tra gli stenti, senza viaggi, senza abiti da sera, senza cappellini del cazzo, e pensando e aggiungendo dolore a dolore a come faranno i loro figli a sopravvivere? Non hanno un lavoro, non hanno una eredità, e adesso che io muoio che faranno?

Dice: ma sei invidioso.

Punto uno dico: se non ci fosse stato questo folle sfoggio di marchesità di grillitudine nessuno potrebbe essere tacciato di essere invidioso. Ma che fate: prima sfoggiate e poi rompete er cazzo se a uno je rode? Bella tecnica de stocazzo.

E punto due dico: ma vattene affanculo!

E i poveri?

A loro chi ce pensa?

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