Ha una voce inconfondibile, così come il carattere “garibaldino” già da quando era piccola. L’abbiamo conosciuta tutti in una band che su Sky ha spaccato, ora però corre da sola, non canta più in inglese ma in italiano e, dice, “me ne fotto dei problemi attorno” perché “per me conta solo la musica”. Ci riferiamo a Elisa Pucci, in arte Mille, che a X-Factor era la frontgirl dei Moseek.
Negli ultimi tempi è uscita con tre singoli uno più bello dell’altro come La vita e le cose, Animali e Quella di sempre (Mirai Rec) in cui vuole raccontarsi un po’ più da vicino. L’abbiamo intervistata, capendo che a una così – e glielo auguriamo – manca solo un’occasione per entrare nel cuore di tutti.
Dopo l’esperienza con i Moseek, chi è oggi Mille?
Sono una alla quale le canzoni dettano il modo di essere. Forse, per come è iniziato questo percorso, sono i brani che hanno delineato cosa sono davvero. Ci metto dentro quello che mi accade. La persona entra nelle canzoni e queste generano il percorso degli artisti. La musica la vivo così, come qualcosa di circolare. Da sempre.
La musica è quello che vuoi fare fin da piccola?
Vuoi o non vuoi, tutto girava sempre attorno alla musica, da quando ero bambina alla laurea, ai mille lavori che ho fatto per mantenermi per suonare. C’erano sempre le canzoni di mezzo.
Ora però hai cambiato strada non solo in musica, ma anche nella scrittura: dall’inglese all’italiano.
Vengo da anni e anni di scrittura in inglese, con il progetto dei Moseek, e ho sempre scritto in quella lingua. Quando abbiamo finito il tour avevo bisogno di sperimentare qualcosa di nuovo. Le ultime canzoni in italiano le avevo fatte a 10 anni. Per come ero fatta, forse, la band mi era utile per ricreare una famiglia parallela, ma la curiosità poi è stata troppo forte e in fin dei conti sono tornata alle origini. È vero che i miei riferimenti sono sempre stati i The Beatles o gli Skunk Anansie, però quello che mi spezzava il cuore erano sempre i pezzi di Lucio Dalla, Ivan Graziani o Raffaella Carrà. Sono vintage e analogica per definizione. Tutto ciò che è tecnologico cerco di delegarlo.
Com’è stato tornare all’italiano?
L’inglese, ormai, era la mia comfort zone. Con l’italiano ho scardinato quella immediatezza e quella semplicità a cui ero abituata. Mi spaventava, come tutte le cose nuove, però mi incuriosiva. Così ho superato anche il timore di metterci la mia faccia. Con l’italiano sono rimasta solo io davanti al pianoforte e ho messo praticamente nero su bianco solo la mia di storia, anche con le cose che mi facevano stare male nella vita reale. Scrivere in italiano è stato pazzesco, mi ha fatto provare un nuovo modo di stare bene, quasi terapeutico.
Sei uscita con tre singoli durante la pandemia. Anche per questa scelta ci vuole coraggio.
Da un po’ ho iniziato a fottermene di quello che accade intorno. C’era solo la voglia, come si dice, di “suonarsi sotto” più che altro. Il resto lo lascio a manager, ufficio stampa e booking. Io scrivo canzoni e non potevo far altro che suonarle e cantarle. In questa ottica posso permettermi di non avere certe ansie. Siamo tutti sulla stessa barca, certo, però artisticamente è fondamentale per me suonare, scrivere e cantare. Non c’è pandemia che possa contenere questo mio desiderio.
Non a caso il tuo nome d’arte è Mille, che viene da come ti chiamava tuo padre per un carattere certamente “frizzantino” da tempi non sospetti.
Mio padre mi chiamava “la Garibaldina” di casa. Ero molto vivace, già facevo gli spettacoli in salotto. Ho sempre cercato un palcoscenico per esprimermi. La vivo come un’attitudine e ho capito che gli ostacoli nella vita ci saranno sempre, l’importante è guardare avanti. D’altronde, preferisco inciampare guardando avanti che guardandomi alle spalle.
L’esperienza di X-Factor cosa ti ha dato e cosa ti ha tolto?
Penso che mi abbia solamente dato. In termini di bagaglio culturale e divertimento. Avevamo a disposizione una squadra che ci permetteva di vivere ogni esibizione come uno show, su tutti Luca Tommasini. Il concerto dal vivo per me è proprio una esperienza a 360 gradi. Chiaramente, poi, mi ha dato tantissima visibilità, che ha consentito di organizzare un tour lungo due anni e di conoscere tantissime persone che sono un punto di riferimento importante, come Fausto Cogliati che è il producer che affiancava Fedez, il primo a cui ho raccontato di questo progetto.
Un sogno che vuoi realizzare con la musica?
Il sogno è tutto da realizzare. Per me ogni volta che qualcuno mi scrive qualcosa di positivo su una mia canzone mi fa piacere, però lo vedo come un inizio. Voglio che la nonna che incontro per strada conosca un mio brano. Il sogno è costellato da un sacco di cose e l’obiettivo è di ampliare ancora di più il pubblico, facendo di questa esperienza un modo per essere sempre felice con me stessa.