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Roberto Saviano
è la Chiara Ferragni della cultura

  • di Ray Banhoff Ray Banhoff

22 settembre 2020

Roberto Saviano è la Chiara Ferragni della cultura
L'autore di "Gomorra" è in uscita con un podcast su mostri e martiri della lotta alla mafia, "Le mani sul mondo", una buona occasione per tracciarne un ritratto politicamente scorretto

di Ray Banhoff Ray Banhoff

Quando mi è stato chiesto di scrivere un pezzo su Roberto Saviano ho tentennato. Il mio primo pensiero è stato: oh no! 

Perché Saviano è un caso particolare, uno di quei nomi che viene usato nelle conversazioni come spartiacque. Innesca sempre la miccia. Ammettere in pubblico che non ti fa impazzire, ti fa essere categorizzato come un colluso con la mafia, uno di destra, un odiatore. 

Questo perché il volto di Saviano ormai incarna una serie di significanti, è la matriosca di se stesso. Assunto a ragazzo modello dalla sinistra in tv, quella dei talk lontani dal popolo, crea invece molti turbamenti alla sinistra di partito, che dopo averlo legittimato ed esserselo accalappiato in campagna acquisti (la campagna dei volti dei vip colti utilissimi per racimolare consensi. Gente a caso tipo: Alba Parietti, Claudio Amendola, Favino, etc.), è costretta pure a subirne le critiche.

Ultimo esempio Zingaretti che è stato mandato a cagare su Twitter dal Nostro, solo pochi giorni fa.

Purtroppo, questo è un punto debole di Saviano, un lato del carattere (l’ego smisurato?) che lo rende simile ai suoi nemici giurati tipo Travaglio o Salvini. Dice: io sono un giornalista, il mio compito è fare domande, non governare. Però, ecco, non lo sentirete mai parlar bene di qualcuno, solo far le pulci o litigare (ha litigato pure con Franceschini, penso sia uno dei pochi che c’è riuscito). Se fosse un diplomatico o un politico, certo, dovrebbe cambiare i toni. Invece è un personaggio pubblico, uno scrittore, un intellettuale, uno sceneggiatore, il prodotto di se stesso. E si deve auto vendere. Ecco come mai è sempre su ogni notizia, ecco come mai commenta tutto lo scibile umano. 

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Nella dialettica è sempre tranchant, di solito tranciatore. Si pone con quel tono serio, con quella drammaticità teatrale, con quella solennità auto-conferitasi che non puoi contraddire. Sempre preso male (uno dei più celebri fumettisti italiani mi confessò anni fa di aver abbandonato a metà una biografia a fumetti del Nostro, perché non sopportava più la sua pesantezza), guida l’opinione pubblica di sinistra verso lidi di condanna. Sembra tutto fatto male perché non lo fa lui. Sembra uno che la mattina si sveglia e pensa ai migranti, alle carceri, alla mafia, al terzo mondo. Il tutto mentre noi comuni mortali vogliamo comprarci la Playstation, andare in vacanza, scrivere a una ragazza.

Una cosa a sua difesa la dico, negli anni in cui stavo a Milano non ho mai sentito i giornalisti prendersela tanto con qualcuno quanto con lui. Nell’ambiente non lo sopporta nessuno. Un po’ per invidia, in quanto stiamo parlando dell’autore di Gomorra, il libro che ogni giornalista avrebbe voluto scrivere - ma soprattutto vendere, monetizzare - poi perché come dicevamo all’inizio, ormai Saviano nell’opinione pubblica del popolo di sinistra è secondo solo a Papa Francesco. Saviano è l’Uomo del Monte che dice "Sì" dalle pagine di Repubblica, è la Chiara Ferragni della cultura (ricco, famoso, generatore di invidie e di congetture tipo: ma come fa a essere arrivato dov’è senza particolari talenti?). Un prodotto che vince subito. Riempie il teatro, il firmacopie, le trasmissioni, le pagine dei giornali. Ha una laurea honoris causa in Giurisprudenza; è cittadino onorario di Firenze e Milano; L’Unione Astronomica Internazionale ha denominato l'asteroide 278447 Saviano in suo onore; ha vinto un David di Donatello e un Orso d’Argento e pure i Massive Attak hanno scritto un pezzo ispirato al suo Gomorra. I vari Scanzi darebbero un braccio per ottenere un terzo di quello che ha ottenuto lui.

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Caratterialmente la sua cifra è la pesantezza. Costretto a una condizione tremenda, quella della vita sotto scorta, pare far scontare al mondo intero la sua pena. Brutto a dirlo ma il sospetto del mondo è che senza quella pena non esisterebbe il personaggio Saviano. Sulla sua scorta non mi pronuncio, non ne ho le competenze. C’è chi la ritiene necessaria, chi dice il contrario. Il fatto è che il successo mediatico di Saviano è basato sulla figura del martire. Così come ogni sua espressione facciale.

Io lo giudico solo come scrittore in quanto sono un lettore. Come scrittore Saviano è noiosissimo. Tolto Gomorra (su cui a Milano sentirete decine di persone del settore che giurano che quel libro non l’ha scritto lui ma qualche editor, che all’inizio era un rozzo manoscritto pieno di errori di sintassi e che qualche esperto ha riportato in vita), la sua prosa è barocca e lenta. Gomorra è sicuramente una grande opera, qualcosa che lo farà ricordare – giustamente - come un Giovanni Verga del nostro tempo, poi c’è il resto che è incomprensibilmente inferiore. Ho letto l’introduzione di Zerozerozero e mi sono sentito in imbarazzo per lui, sembrava il tema della maturità del primo della classe, cresciuto a Baricco e frasi dei Baci Perugina.

Ma andando oltre, è proprio l’uomo Saviano che non riesco a mandar giù. Guardo il suo Instagram e mi viene di trollarlo. Cito Massimiliano Parente: «Basta vedere la sua foto sotto il pergolato di rose: posa da Instagram, filtro d’ordinanza, sfondo sfocato al punto giusto, sguardo tenebroso, lui che scrive ‘continuo a amare solo rose non colte... che non coglierò’”.

Dai, ma che roba è? Amare le rose non colte, dai…

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Ecco, io posso parlare quanto voglio, ma forse è meglio lasciar parlare lui. Roberto Saviano è uno che scrive di sua spontanea volontà un post come questo su Instagram. Leggetelo e poi pensate se fosse un vostro amico, quanto lo prendereste in giro?

«Il solco che mi si è creato tra le sopracciglia probabilmente mi identifica più d’ogni altra cosa. Si fa più profondo quando provo a concentrarmi, quando osservo, insomma è la traccia dello sforzo di capire. Quella ruga è il canale in cui finisce tutto quello che cerco di comprendere, tutto ciò che mi ha concimato. È il canale che irriga la mia vita».

Saviano è polarizzato. Sfoggia con arroganza le posizioni di mio padre e della sua generazione, sembra rimasto ai primi anni duemila, al mondo in bianco e nero della destra e della sinistra. Anzi sembra il classico tipo che incontravi a Lettere e che ti invitava all’assemblea. Tu, preso dal senso di colpa per non aver ancora concluso niente nella vita, impegnato solo a cercar figa nell’ateneo più colto d’Italia, ci andavi e poi ti rendevi conto che il tuo amico era talmente pesante che finivi col dirti: madonna che palle.

Ecco Saviano è come la pubblicità dei bambini africani con le mosche in faccia che ti viene propinata sempre quando mangi, sai che ci sono nel mondo e che hanno bisogno d’aiuto, ma al tempo stesso ti fa urlare con tutta la tua forza: e mollatemi!

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