Signore e signori, la musica è finita, almeno sui social. Meta, che controlla Facebook e Instagram oltre che WhatsApp, ha comunicato il mancato accordo con Siae (Società italiana autori ed editori) per il rinnovo della licenza sul diritto d'autore, scaduto l'anno scorso. Quindi gli utenti dovranno dire addio alle canzoni italiane del catalogo, e rinunciare a reels e post e stories con motivetto in sottofondo. Beninteso non a tutte, perché Siae è sì ex monopolista e quindi ancora collecting leader di mercato in Italia, ma non la sola, e quindi i brani che rientrano in altri repertori continueranno a essere disponibili nelle librerie di Meta (forse, visto che sono spariti anche altri artisti). Insomma, quello italiano è già un caso internazionale, dato che la mancata stretta di mano con Siae è l'unica a livello europeo. Il nodo, in parole povere, è una questione di soldi, e un diverso approccio tra le due parti in causa. Secondo Siae Meta avrebbe preso una “decisione unilaterale” per escludere il repertorio della società dal proprio catalogo, “prescindendo da qualsiasi valutazione trasparente e condivisa dell’effettivo valore del repertorio”. La società ha poi accusato l’azienda di Zuckerberg di aver rifiutato la condivisione di “informazioni rilevanti ai fini di un accordo equo”, andando contro i principi della Direttiva copyright. Dunque si lamenta una mancata trasparenza, ma la multinazionale, un po' come tutti i colossi, non gradisce incursioni sul suo giro d'affari. E mentre monta la rivolta della rete e di alcuni soci Siae che minacciano il benservito con l'accusa di danneggiare in un colpo solo patrimonio culturale italiano e nuove leve, Giulio Rapetti, in arte Mogol, autore e presidente onorario della Società italiana autori ed editori, non arretra, e anzi spiega a MOW le sue ragioni.
Mogol, come mai Siae, unica società in Europa, non ha trovato un accordo con Meta?
“Meta voleva farci l'elemosina. Ma quanto abbiamo chiesto era anche meno di ciò che meritiamo, e allora Facebook e Instagram faranno a meno della musica italiana. Non possiamo mica regalare soldi ai miliardari”.
Meta voleva pagare in visibilità?
“Quasi, una cifra che non è equa. Tra l'altro Youtube e Spotify hanno accettato le nostre condizioni, quindi...”.
Non pensa che gli emergenti perderanno la possibilità di farsi conoscere?
“Gli artisti possono promuoversi altrove, su piattaforme che pagano adeguatamente. Perché dobbiamo accettare una proposta unilaterale e sconveniente?”
Forse perché si pensa, erroneamente, che la musica sia un bene gratuito.
“Ha colto il punto, ma finora nessuno ha mai agito con tale prepotenza. C'è di più, Meta non consegna neanche quanto guadagnato finora”.
C'è un altro tasto dolente per Siae: la minaccia di passare ad altre collecting
“Se un autore passa a un altra società perché Siae si batte per i suoi diritti, non fa il suo interesse”.
Come spiega la proposta di Meta, a suo dire poco vantaggiosa: poca considerazione per la musica italiana?
“Sa quanti dischi ho venduto solo io nel mondo? E se un autore, dopo Beatles e Elvis, ha venduto il maggior numero di copie al mondo, significa che la musica italiana è più che apprezzata. Quindi torniamo al punto di partenza, quella di Meta è una speculazione”.
Una sorte che svantaggia le stesse piattaforme di Zuckerberg…
“Certo, si penalizzano da soli, e per il semplice fatto di privarsi della musica italiana”.
Siete ancora in trattativa per un accordo?
“Assolutamente no, non si può trattare con chi minaccia. Altrimenti diventa un invito all'abuso altrui”.