Dopo un lungo periodo in Inghilterra, Monica Nappo torna in Italia con un bagaglio di nuove idee. L’attrice, che ha alle spalle una lunga carriera fra teatro e grande cinema, internazionale e nostrano, si mette in discussione portando direttamente sé stessa sul palco. Durante i mesi di lockdown, Nappo ha scritto il suo primo testo teatrale, Esperimento, che parla di coppia ma soprattutto dell’importanza di essere sinceri. Dopo le date a Parma, Nappo sarà a Milano il 28 marzo e andrà avanti fino al 2 aprile. In occasione della tappa meneghina abbiamo scelto di intervistarla per capire qualcosa di più su ciò che ci aspetta. Perché quel titolo così enigmatico e “aperto”? Cosa l’ha influenzata? Cosa significa tornare a scrivere in italiano dopo la lunga permanenza all’estero? E tornare a teatro, sui palchi che per tanti anni ha condiviso con Toni Servillo e che ora sono investiti, come il cinema, da una crisi artistica la cui colpa sembra tutta di chi dovrebbe ascoltare le esigenze del pubblico "senza bisogno di fare politica".
Esperimento ha come tema il rapporto di coppia. Come lo spiegheresti a una come me che di coppia ha iniziato a capirci qualcosa solo adesso?
Sì, è sul rapporto di coppia ma non pretendo certo di dare formule! Penso che ogni coppia sia un mistero a sé perché le coppie sono incastri e non c’è una regola precisa, rovinerebbe la bellezza e la follia dell’amore. L’importante è essere valutati e non dare per scontato nulla ma queste frasi valgono anche se sei single.
Hai vissuto per tanti anni fuori dall’Italia. Come ti ha influenzato un’altra lingua – e un altro modo di vivere – nella scrittura di quest’opera teatrale?
Mi ha influenzato moltissimo. Ho vissuto 13 anni a Londra e credo che questo mi abbia contaminato per sempre nel modo di pensare e vedere. Ho visto monologhi al limite dello stand up con una sincerità immensa e con le più svariate tematiche. E poi l’immaginario femminile lì è più emancipato.
Mi ha colpito una frase della trama. L’essere lontano da noi stessi. Quanta solitudine c’è nella vita di coppia? E quanta abitudine?
Penso che alle volte ci si possa mettere in secondo piano senza neanche accorgersene, perché noi donne italiane siamo educate così anche se adesso sta un po’ cambiando. Dico un po’ perché la società si muove veloce, sì, ma in quanto a parametri televisivi e di potere, in generale, gli italiani sono ancora antiquati. E allora questo non mettersi al centro della propria vita credo crei delle fratture interne.
Il tuo lavoro ti ha portato anche su importanti set cinematografici. Trovi che il teatro sia un veicolo più forte per quello che vuoi trasmettere con Esperimento?
No, assolutamente. Anzi, ne sto scrivendo una versione da portare come serie! È che ho scritto questo testo durante la pandemia, una delle cose che mi è mancata di più è proprio il pubblico teatrale, l’ascoltarsi a vicenda. Per questo lei parla al pubblico come se fosse qualcuno con cui confidarsi.
Esperimento proprio in senso etimologico di sperimentare? Volevi provare un nuovo rapporto col pubblico?
Si chiama così perché, di esperimento, ne faccio uno in scena durante lo spettacolo, di cui parlo alla fine. E poi perché non avevo mai scritto un testo teatrale, solo le mie routine quando facevo stand up ma quelle sono completamente un’altra cosa.
Ho letto che hai iniziato la tua carriera artistica con le stand up comedy. Quanto è importante l’ironia – e l’autoironia – in quello che fai?
Credo sia la cosa più importante anche se fai un altro mestiere. Ridere di qualcosa di te che può anche angosciarti alle volte ti permette di prendere una distanza da questa cosa in modo che non ti senti senza vie d’uscita. La risata apre porte. Fuori e dentro di noi. E poi mi piaceva l’idea di far ridere e di non far ridere. La vita è essenzialmente un’avventura tragicomica.
Ho letto anche di una lunga amicizia professionale e non con Toni Servillo. Com’è crescere per così tanti anni insieme?
Ho lavorato per 10 anni continuativamente con Toni Servillo e credo sia una delle persone che a teatro mi abbia formato e influenzato di più. Mi piace la devozione che ha, la trovo una cosa bellissima e non comune. 10 anni di tournée (quelle che si facevano 20 anni fa, non quelle di oggi che durano un mesetto) ti fanno condividere non solo il palco, ma tanti momenti di quotidianità. Diventi quasi una famiglia girovaga.
Ho sempre pensato al flusso di coscienza più che in ambito letterario – nei romanzi – proprio nel teatro. Questo è un flusso di coscienza su scelte, mancate o meno, che tutti facciamo. È stato terapeutico, o sbaglio?
Credo che sia terapeutico essere sinceri con se stessi, dire la verità. E saper ascoltare. Ho scritto questo monologo durante il primo lockdown, e vivo da sola, ma ho passato molto tempo ad ascoltare amici o amiche che non lo hanno passato da soli e ascoltavo anche i loro nodi nel rapporto. Ed erano così simili ai miei.
Esperimento chi riguarda? Il personaggio, noi, o più te stessa?
Credo riguardi un po’ tutti noi. Maschi e femmine perché poi il modo di innamorarsi è universale, per fortuna. Che già così alle volte è difficile capirsi! Tutti credono questa sia la storia del mio matrimonio. E del mio divorzio. Perché appunto culturalmente si pensa che un attore che scrive lo faccia solo basandosi su di sé senza inventare. E invece non è così.
Quanto è più difficile, o facile, scrivere in prima persona e portare sul palco il proprio io rispetto a recitare la parte scritta da qualcun altro?
Scrivere le parole che poi pronuncerai è facile perché ti cuci addosso i ritmi ed è per questo che io preferisco i testi contemporanei perché c’è un istinto e un modo di porsi più simile al mio, escludendo i geni quali Shakespeare o Čechov o Pinter.
Si parla tanto di crisi artistica. Cosa non sta funzionando per te nel cinema e nel teatro di oggi?
Chi produce. Chi decide chi e su cosa deve lavorare. Perché il pubblico c’è e ha molta voglia e bisogno di sentire storie per lenire la solitudine o per divertirsi. Senza bisogno di fare politica, di star passeggere o di storie senza cuore.