“Non vendono dischi in Italia, a nessuno importa di loro” ha detto Guè sui Måneskin innescando un altro dissing nella musica, come è ormai di moda quest'anno. Ma sul ragionamento del rapper rispetto a quella che ormai è stata incoronata "la più grande rock band del mondo" (da Mick Jagger dei Rolling Stones), c'è chi ha più di un dubbio. Si tratta di Morgan, cantautore e giudice di X Factor, che ha risposto direttamente a Guè: “Credo che non abbia una particolare sensibilità per il rock, perché bisogna ammettere che i Måneskin hanno un grande sound”. Mentre sulla vendita dei dischi, lui che sta per uscire con un album con testi di Pasquale Panella, ecco cosa ci ha spiegato...
Morgan, hai letto le dichiarazioni di Guè sui Maneskin?
Il commento sui Måneskin è comprensibile, perché credo che Guè non abbia una particolare sensibilità per il rock, ma bisogna veramente ammettere che i Måneskin hanno un grande sound. Sia in Inghilterra che in America, soprattutto in Inghilterra, non si scherza sulla questione del sound di un gruppo. Se un gruppo ha un sound così adeguato, proprio in termini di competitività, così congruo, che ha qualcosa da dire anche a chi il rock lo ha inventato, come Mick Jagger o i Duran Duran, questo significa che i Måneskin hanno un grande sound e sono una vera rock band.
Quindi secondo te non è solo emulazione del rock?
Ma altro che finti, sono veri! Prendono in mano gli strumenti e spaccano il cul*, così come lo facevano i Queen. Loro prendevano in mano gli strumenti ed erano una vera band, avevano il suono nelle mani. Così come i Duran Duran e come gli U2, come i Police… tutti i gruppi sono diversi, ma quando hanno il sound allora sfondano, perché fanno diventare riconoscibile quello che suonano. E da quel momento esiste quella sonorità. I Maneskin quando sono stati a Sanremo e hanno vinto quell'edizione, la prima cosa che ho capito, fin da subito, è che avevano un suono allucinante. Ma io ho una sensibilità sul rock, perché ho sempre fatto dischi rock e poi con i Bluvertigo eravamo quelli che avevano il sound.
E cosa ne pensi dell'accusa di vendere dischi all'estero e di non avere successo in Italia?
A me fa ridere il concetto di andare a misurare la qualità di un'artista a seconda di quanti dischi vende, fa veramente ridere. Io credo che il più grande artista di tutti i tempi, di tutto il mondo, nel rock sia stato Scott Walk, non so quanti dischi vendesse, ma non credo che ne vendesse tanti… quindi dobbiamo dire che Scott Walker era uno sfigato perché non vendeva i dischi? Direi proprio che non si può dire una cosa del genere. Probabilmente è vero il contrario: vendere dischi in Italia è da sfigati, anche perché sinceramente per fare i dischi come quelli che vendono in Italia non è che ci voglia molto.
Quindi qual è la differenza tra chi vuole vendere in Italia e chi vuole fare vera musica?
La differenza è che c'è chi mira ad altro, e quest'altro non è vendere i dischi, ma è voler fare la musica. Sono due cose molto diverse. Quindi il non vendere dischi non è un parametro per giudicare la bontà di un'artista. Non so io in Italia quanti dischi abbia venduto Ryūichi Sakamoto o David Sylvian, però sono tra i musicisti più bravi del mondo. Per cui il parametro della vendita dei dischi lascia il tempo che trova e secondo me vendere i dischi in Italia è fuori moda, li cominci a vendere quando non hai più nulla da dire.
Guè è è fuori strada nel suo giudizio?
Guè è un bravissimo ragazzo, una persona mite, non è particolarmente abitato da quel tormento interiore che fa degli artisti delle creature socialmente non conformi. Ma forse la mia è una visione rock dell’esistenza, magari lontana dallo spirito dei rappers, che oggi vedo tutti molto più preoccupati di essere omologati e benestanti invece di nutrire interesse verso questioni sociali o esistenziali. Oggi sono tutti ricoperti di catenine d’oro, occhiali firmati, fanno videoclip costosi, calcano palcoscenici pirotecnici e gareggiano per ottenere lo status symbol, ma letture poche, cultura e ideali pochi, slanci coraggiosi per sostenere idee di lotta zero. Per non parlare di conoscenza musicale, che è inesistente. Ecco perché parlano di vendite di dischi, è quello a cui pensano, a cui mirano, è il loro obiettivo principale e la loro occupazione, ogni argomento è basato sul tema del denaro, null’altro.
Secondo te i rapper non sono dei veri artisti?
Non banalizziamo. La questione non riguarda i rapper o i generi musicali, ma il mondo intero e la società intera. Chi ne farà le spese sono i nostri figli, che sono venuti al mondo in un momento di involuzione morale e culturale che somiglia sempre di più a un “Nuovo Medioevo”. Buio, analfabetismo, distanziamenti, violenze, falsificazioni di identità, strategie di marketing nemiche dell’individuo, distribuzione della ricchezza spaventosamente iniqua. E silenzio ovunque, paura. Tutti hanno paura, tutti zitti, tutti nascosti a escogitare esclusivamente stratagemmi per arricchirsi. Il denaro non è più visto come un mezzo ma come il fine, con tutte le disastrose conseguenze che un’impostazione del genere produce. Rapper o non rapper il mondo di oggi è involuto e regredito, per cui se non fai nulla per modificarlo e impiegare le forze per opporti al grande nulla vuol dire che sei complice della deriva.
Cosa si può fare per invertire la rotta?
Studiare è l’unica chance se miriamo alla libertà.
A proposito di dischi, stai per uscire con un tuo nuovo album di inediti con testi di Pasquale Panella dal titolo "... e quindi, insomma ossia”. Di che si tratta?
Sicuramente di qualcosa di assurdo. Vi divertirete, vi incazzerete, vi commuoverete, vi vergognerete, vi toccherete...
Addirittura?
Contiene cose abbastanza oltraggiose! Le definirei addirittura hot.
Com'è stato lavorare sui testi di Panella, famoso per i "dischi bianchi" di Lucio Battisti?
I testi sono anche miei, a quattro mani. E questo Panella non lo aveva mai fatto, fino ad ora era sempre stato l’unico autore dei suoi testi.
E perché ha accettato?
Perché si diverte e perché parliamo la stessa lingua, con me si relaziona sul terreno verbale e grammaticale, c’è uno scambio e siamo mondi che dialogano senza ipocrisia ma con la maschera della recita drammatica, insomma ce la spassiamo al telefono e poi io ci cavo fuori le canzoni e lui le rifinisce. È un via vai di parole.
Hai aspettative di vendita, per tornare al discorso di prima?
Perché oggi cosa “si vende”? Esistono per caso i dischi? Si va nel negozio di dischi? Direi di no. Oggi si ascoltano musiche in rete in cambio dei dati personali. Siamo tornati al baratto: se mi dai il cul* ti faccio fare un giretto in moto....
E allora perché lo fai?
Perché sono un musicista e adoro che si ascolti la mia musica. Sono uno che scrive canzoni perché si esprime in quel modo, ciò che voglio comunicare lo faccio spontaneamente attraverso una canzone, lo faccio da quando ho cinque anni.
Alcuni però ti vedono solo come un personaggio televisivo.
C’è molta ignoranza, è un problema serio tutto italiano, in giro c’è il ritorno degli analfabeti. Chi, comunque, pensa quelle cose credo non abbia mai letto un libro fino alla fine e non sappia chi è Peter Greenaway, per cui di cosa stiamo parlando? Chi ha ascoltato la mia musica si guarda bene dal dire certe fesserie, anzi, mi dice di mollare la televisione, però gioisce quando mi vede portare informazioni culturali al popolo.
Questo atteggiamento paga in Italia?
Ma no che non paga. Però non lo si fa per denaro. La musica è come tutte le altre cose del mondo: c’è chi lo fa senza nessuna ispirazione e chi lo fa in modo autentico. E comunque penso che il pubblico abbia voglia di cose strane, deve solo essere un po’ stimolato e preso per mano perché sono costretti a un torpore che li anestetizza, ma appena gli dai una scossa elettrica si ripigliano.
Chi lo fa per soldi e chi perché ci crede?
Non faccio nomi se non quando mi servono come esempi per sostenere delle tesi. In linea di massima i miei colleghi li vedo tutti più o meno privi di slancio umanistico, hanno separato definitivamente le leggi dell’arte da quelle della morale. Robert Schumann scriveva le regole di vita del musicista, una delle quali era di pensare che le leggi dell’arte sono quelle morali. Diciamo che oggi gli artisti lo sarebbero spontaneamente dei puri ed eserciterebbero la loro purezza se non fossero gestiti da una classe di operatori dei media totalmente lontana dalla creatività. Infatti, come potete vedere la punta dell’iceberg è avere il principale happening della musica pop italiana, ossia Sanremo, gestito forzosamente da entità che non sono del campo, che non hanno competenza e sensibilità per trattare l’argomento in questione, fanno scelte e propongono arbitrariamente cose che non sono accettabili da chi la musica la conosce, la ama e la maneggia. E come sempre l’unico argomento che sventola sono i numeri, i presunti incassi di botteghino.