“I Måneskin non li ascolto ma ne sento fin troppo parlare. Sono tre bei fighi e una bella figa, per quello funzionano”, ha detto Gino Paoli a Rolling Stones. Senza tanti giri di parole, uno degli ultimi veri rocker italiani ha dichiarato che il successo dei “Maneskot o come diavolo si chiamano”, quasi a tirare in ballo anche il maestro Riccardo Muti (che ne stigmatizza polemicamente lo spazio sui media) non è certo da ricercare nelle qualità musicali, ma piuttosto nell'estetica complessiva del gruppo. Del resto più che del repertorio si parla dei loro eccessi, anche se i seni nudi di Victoria e le chiappe al vento di Damiano, non fanno più notizia. Quindi bisogna pur trovare dell'altro per far parlare. Ed ecco il perché del nostro incipit.
È appena uscito il repack di Rush! disco pubblicato appena dieci mesi fa, e presentato in pompa magna con una cerimonia trash a Palazzo Brancaccio, che li ha visti giurarsi amore eterno (finché dura). Quattro nuove tracce che assieme a Honey (Are U Coming?), da cui il titolo, Rush! (Are U Coming), vanno a comporre la new edition, e registrate, a quanto pare, prima di iniziare il tour negli stadi. Testi e musiche sono dei quattro più vari collaboratori internazionali, mentre le produzioni stavolta sono tutte di Ferraguzzo (che è anche manager). Quanta fretta, Rush appunto, di spremere il limone fino all'ultimo; se ci pensate da Sanremo in poi non si sono fermati un attimo, soprattutto considerando che sono in tour da due anni (ma è umanamente possibile?). Perché ricordiamolo, anche se non faccio i salti dalla sedia per loro, la loro dimensione è quella live; c'è poco da dire su questo, sul palco spaccano.
Ma discograficamente parlando, i nuovi pezzi solo all'altezza della loro spropositata fama? Non proprio. Anche se non li considero neppure dei riempitivi, e che non fossero semplicemente degli scarti lo testimonia anche il fatto che alcuni sono stati suonati dal vivo in più occasioni, e continuano a virare su quelle sonorità pop appetibili per l'audience americana.
Presumibile focus track della deluxe è Valentine, di cui c'è anche un videoclip girato in bianco e nero; una di quelle ballad struggenti che piacciono tanto ai fan e che racconta lo strazio di una mancanza. “Cammino per la stanza e mi ricopro di tatuaggi di noi. E sogno il giorno in cui ci abbracciamo e bruciamo”. Un testo che alcuni impavidi hanno già avvicinato alla storia personale di Damiano David dopo la fine della relazione con Giorgia Soleri. Beautiful all'italiana.
Atmosfere diverse dal punto di vista musicale invece per l'incalzante e ritmata Off my face, che suona funk-rock, senza dubbio il brano più forte dei quattro, anche se il testo, che racconta di un amore tossico, lascia a desiderare. Il tema di tutte le nuove nate è appunto l'amore e anche in Trastevere, che nonostante il titolo è comunque in inglese, si racconta una storia finita ambientata a Roma (la band l'ha suonata per la prima volta dal vivo proprio al Circo Massimo). Niente di eclatante. Infine The Driver, che ha un suono quasi tarantiniano, un brano strafottente a cui non manca qualche riferimento fetish: “Rendimi indifeso. Legami e usa la tua corda fatta di velluto”.
Siamo seri, si tratta di brani che aggiungono poco al resto, se non a giustificare l'acquisto per i fan più accaniti di un nuovo formato dell'album precedentemente pubblicato. Qualcosa ragionato apposta per la GenZ, e che ancora non ci fa capire chi sono questi quattro ragazzi romani che, piaccia o meno, ci guardano dall'alto.