Non so quali siano i criteri coi quali voi tendiate a giudicare voi stessi, se, cioè, allestite paragoni atti solo a evidenziare i vostri pregi, se siate tra quanti guardano talmente in alto che finiscono sempre per rimanere sconfortati, oppure, più concreti, se tendete a guardarvi intorno a stare saldamente coi piedi per terra, sì, ma con la testa alta. In genere, gli adulti equilibrati, puntano a quest’ultima soluzione, senza voler strafare, certo, ma neanche sprofondare nella disperazione, perché nella vita ci sarà sempre chi sta meglio di noi, ma anche chi sta decisamente peggio. Certo, se hai fame e hai di fronte qualcosa che ritieni incommestibile sentire tua madre che ti dice “ma lo sai che in Africa ci sono i bambini che muoiono di fame”, questo capitava sempre quando noi proto-boomer eravamo piccoli, non risolveva un bel niente, ma è pur vero che di fame non siamo morti e, per dirla con Vasco, siamo ancora qua. Eh già. Tutto questo come premessa di una notizia fresca di giornata che, guardandola secondo questi parametri, ci fa capire come la discografia tenda a guardare a se stessa con una benevolenza che quasi intenerisce. Come, appunto, quando capita qualche bambino sentire raccontare di un goal fatto in una partitella durante la ricreazione, in cortile, con tutti quegli “ho scartato tutti gli avversari”, o “ho fatto un tiro all’incrocio dei pali spiazzando il portiere”, e poco conta che la palla sia una palla fatta di gommapiuma, perché i nuovi canoni scolastici tendono a evitare qualsiasi pericolo di farsi male e le porte siano fatte, quelle sì come usava ai nostri tempi, con dei maglioni buttati in terra a fare i pali, nessun incrocio possibile, quindi. Li senti e ci credi, perché quello che dicono i bambini è pura magia, mentre quello che dicono i discografici, risate tipo sit-com americana, è pura propaganda.
L’IFPI, infatti, International Federatio of Phonographic Industry, corrispettivo internazionale della nostra FIMI, riporta Francesco Prisco sul Sole 24 Ore, che ha potuto visionare in anteprima i dati annui, ha appena diffuso i dati relativi al 2023, e, sarebbe da stare tre giorni a ballare ubriachi sopra i banchi di un qualche locale, champagne francese nei flute e musica di Lazza a palla in sottofondo. Però, per dirla con l’Harvey Keitel di Pulp Fiction, il mito Mr Wolfe, aspetterei prima di farsi pompini a vicenda, perché il tutto risulta vagamente scollato con la realtà. Analizziamo i dati, IFPI dice che nel 2023 l’Italia, discograficamente, è cresciuta del 18,8% rispetto al 2022. Boom. Record di sempre, in Europa, e di conseguenza record anche di quest’anno. Nessuno mai come noi. I dati globali certificano una ennesima crescita di oltre il 10%, crescita che incorona l’anno passato come il nono consecutivo in tal senso, e l’Italia, dodicesimo mercato internazionale e terzo in Europa, se tutti devono festeggiare deve festeggiare ancora di più. Con 6,5 milioni di abbonati Premium, parliamo di streaming, segmento che occupa il 65% del mercato nazionale, siamo arrivati, dicono, a centonovanta milioni di ricavi sullo streaming e a oltre sessanta sul fisico, dove siamo l’ottavo mercato al mondo (nello streaming siamo il dodicesimo). Il vinile, è noto, ha superato il Cd, che per continua lentamente a crescere, solo il download è in caduta libera ormai da anni. Prisco ci fa sapere come fondamentale sul fronte discografico sia stato il Bonus Cultura 18 app, come dire, senza l’aiuto dello Stato col cazzo che stavamo a festeggiare, con tutti i Ceo delle major, Massara, Rosi e Cibelli, che festeggiano, ognuno ovviamente guardando al proprio verdissimo, dicono, giardino.
Questi i dati, e ovviamente li ho tagliati con l’accetta, andatevi a leggere le pagine del Sole 24 Ore per saperne di più, Prisco in questo è il più bravo a fare analisi. Non sono i meri dati che mi interessano, perché i dati sono numeri, ma la realtà non è fatta solo di numeri, specie se i numeri se li danno da soli (che è come dire che io sono alto e biondo, perché lo dico io). Quello che mi colpisce, leggendo tutto questo e soprattutto leggendo come tutti siano lì belli felici, è come oggi, con la musica che è diventata pervasiva, ovunque, sempre e comunque, dentro le cuffiette dei nostri smartphone, nei negozi, nei bar, nelle palestre, negli spazi di coworking, ovunque ripeto, relegata a sottofondo come un tempo succedeva a certe riletture swing dei grandi classici se capitava di prendere certi ascensori di grandi alberghi, lì sotto ma senza che nessuno ci prestasse attenzione, musica palesemente usa e getta, fatta per esserci ora e sparire domani, senza lasciare traccia, tanto il tutto viene fatto approssimativamente e ascoltato approssimativamente. Oggi, con gli artisti che si giocano ogni volta tutta la carriera con un singolo, se va male quello, stacci bene ma cercati un altro lavoro, altro che tre album per capire se funzioni, una canzone al mese, dice Daniel Ek, e poco importa se poi la gente, la stragrande maggioranza della gente, la ascolta gratis, questo ci dicono i dati, 6,5 milioni di abbonati Premium sono sì tanti, ma non sono neanche lontanamente un numero rilevante percentualmente parlando di chi ascolta musica, la gratuità parte portante di quella svalutazione valoriale di cui si parlava sopra, artisti che si deprimono, si ritirano, si abbruttiscono, giustamente, per essere passati da niente dal ruolo di divinità in Terra a zero assoluto, avessi messo le maiuscole avrei fatto esempio ancor più calzante. Oggi, in cui la musica, come l’acqua, non vale più niente, nessuno vuole pagare per comprarla, si spendono giusto un sacco di soldi, ma meno di quelli che sembra, visti i trucchetti per riempire stadi e Palasport, nei live, per altro, anche lì, oggi i discografici festeggiano perché la musica sta bene come non mai. Oggi che nessuno punta più a fare catalogo, e il catalogo, questo pure ci dice il rapporto IFPI, continua a reggere il mercato, tra ascolti, diritti connessi e diritti di sincronizzazione, le canzoni usa e getta, è ovvio, non durano lo spazio di una scoreggia, figuriamoci se fra anni qualcuno le userà per fare spot, colonne sonore di serie tv o film o altro. Oggi tutti si dicono che le cose vanno bene come non mai. Che siamo i terzi migliori in Europa, con risultati mai fatti da nessuno prima di noi. Vero, siamo terzi in Europa, questo è scritto, ma anche Gongolo, immagino, era più alto di Mammolo, Eolo, Brontolo e altri dei sette nani, pur rimanendo un nano. Ecco, festeggiare perché si fanno numeri palesemente dopati, sfruttando artisti che del comparto musicale dovrebbero essere punta di diamante, non terra su cui applicare il trucco, fottendosene che non si è seminato niente per il futuro, tanto nel futuro ci saranno altri a dover maneggiare quei cazzi, ci rende perfettamente un quadro desolante, fatto di crepe che, qua e là, hanno ancora pezzi di quel palazzo dorato che era un tempo la discografia, e che sempre più sta diventando un cumulo di macerie. Sembra quasi che la discografia abbia deciso di fare proprie le teorie del gendrismo che, lì legittimamente, stanno portando l’umanità a richiedere e quindi ottenere rispetto per quel che uno si sente, non necessariamente per quel che uno è, anche se nel caso specifico stiamo parlando di industria e non di persone, e fingere di essere giganti quando si è nani è mistificare, non rivendicare un proprio diritto. Siamo al cospetto di nani, che si fotografano dal basso per sembrare più alti, ma sempre nani restano. Ah, a guardare questi nani qui, ma questa potrebbe anche essere una lettura impietosa, quindi da prendere con le pinze, sembra che la faccenda del cazzo lungo sia tutta una diceria, qui si vedono solo cazzi piccoli, da prendere appunto con le pinze.