Io devo molto a Marcello. Tanto per cominciare la sua opera ha avuto un’influenza decisiva non solo nel mio lavoro ma anche nella conoscenza della donna che sarebbe diventata mia moglie. Oltre 10 anni fa ero a casa di un mio amico regista quando, dopo cena, vennero a trovarlo due sue amiche. In realtà solo una era una sua amica, l’altra era l’amica dell’amica. Ci sedemmo sul divano a chiacchierare del più e del meno e alla fatidica domanda “di cosa ti occupi?” l’amica dell’amica, che aveva l’aria dichiaratamente annoiata di una che sarebbe stata volentieri a casa a leggere Proust invece di essere trascinata in mezzo a sconosciuti dall’aspetto trasandato, rispose laconicamente (una caratteristica che amai subito anche solo per il fatto che era così lontana da me) che si occupava di produzione per una serie di Mtv, “Mario”. “Mario quella con Maccio?” Risposi io, malcelando il mio entusiasmo per non fare emergere il fanboy che era in me. “Se lavora con Maccio non può essere una persona noiosa”. Iniziammo a uscire e scoprii che non lo era. Ad ogni appuntamento io ero accorto nel dosare le domande sul suo datore di lavoro: “I tizi che si vedono nei video sono presi per strada?”, “Come gli vengono certe idee?”, “È uno che osserva molto?”, “È stato davvero con Elisabetta Canalis?”. Caterina (questo era il nome dell’amica dell’amica, colei che sarebbe diventata mia moglie due anni dopo) mi rispondeva in modo stringato su tutto: sì, sono presi in giro, alcuni sono parenti di membri della squadra di lavoro, e li recluto io. Sì, osserva tutto. Sì, è stato con la Canalis. Mi disse che dopo che i suoi primi video iniziarono a circolare su YouTube (i social ancora non erano così sviluppati) diversi brand, anche grossi, lo contattarono per offrigli un sacco di soldi in cambio di un trailer che nel suo stile grottesco reclamizzasse i loro prodotti: lui, appena intuiva l’impossibilità di rivendicare totale libertà creativa, rifiutava implacabilmente. Questa era l’idea che mi ero fatto di lui: un anacoreta che aveva relegato il mondo esterno, la realtà, fuori dalla sala di montaggio, dove invece poteva tagliare e cucire a misura la propria. Lo spiega senza troppi giri di parole nel suo primo libro (chiamato a scanso di equivoci “Libro” ed edito da Mondadori nel 2020) dopo la visione di “Ritorno Al Futuro” , il suo film feticcio, nell’ottobre del 1985, quando lui ha 8 anni: “Non solo venni trasportato in un altro mondo ma decisi di rimanerci […]. Posso affermare con certezza che il mondo del cinema e quello dell’audiovisivo sono l’unica ragione per cui ho deciso di sobbarcarmi il peso della vita. Quel giorno, più che scoprire cosa volessi fare da grande, scoprii cosa non volessi fare: vivere nel mondo reale”.
Lo incontro a Roma in occasione della preparazione di Lol 2. “Dopo 20 anni vissuti a Milano sentivo il bisogno di cambiare. Milano è troppo efficiente. Avevo bisogno di una città dove ci fosse più “vita”, che fosse un pò più selvaggia”. Marcello è un antropologo: attraverso l’osservazione partecipante studia l’uomo in tutte le sue manifestazioni quotidiane, ne esaspera gli stilemi e li frulla nei suoi video. Una delle cose che colpiscono di lui è l’attenzione con cui ascolta te, Obama, il premio Nobel per la fisica Pierre Agostini: per lui non c’è differenza, se capisce che c’è un’idea buona in ciò che dici la usa e ci lavora. Quando ci confrontammo per la prima volta, in un bar degrado di Furio Camillo, mi sembrò di conoscerlo da una vita. Quando entri a casa sua, sulla destra, appoggiata a una mensola dove ci sono libri e qualche gadget autoreferenziale (la prima “tazza” prodotta dalla sua Micidial, una mattonella raffigurante Padre Maronno) c’è una cartolina ridotta come una pergamena sumera raffigurante un giovane e sorridente Michael J. Fox, il suo eroe da quando aveva 7 anni. Oggi che ne ha 45 nulla è cambiato. Mi racconta di quando (di anni ne aveva 11 e guardava “Ritorno Al Futuro” due volte al giorno) trova su un giornale l’indirizzo di Michael J. Fox a Los Angeles (chiaramente si trattava non del domicilio privato ma del suo ufficio di rappresentanza). Subito inizia a vergare di suo pugno una lettera in un inglese claudicante in cui si professa suo fan assoluto e lo loda sperticatamente. Va all’ufficio postale di Chieti e imbuca la lettera e contrariamente a ogni pronostico, dopo tre mesi, nella casella della posta trova quella cartolina: è riuscita ad arrivare a casa sua nonostante fosse indirizzata a “Marcella Mocchie” e dietro c’è scritto solo “many thanks - Michael J. Fox” , sicuramente ad opera di uno stagista sottopagato e non della stella di Hollywood ma tanto basta. Marcello va in giro per tutto il paese a urlare “mi ha risposto Michael J Fox!!!”.
Un’altra cosa che colpisce di lui è la sua incredibile abnegazione al lavoro e alla professionalità. Nello scrivere il materiale per Lol (il primo che avrebbe dovuto effettuare dal vivo, senza ricorrere all’amato montaggio) per esempio si è applicato con una dedizione e una concentrazione che ho visto in pochi altri in oltre 20 anni di lavoro. L’episodio più incredibile che testimonia però come la vita dopotutto non sia tanto diversa da un suo trailer riguarda Lol 3. Maccio è in Spagna per una breve vacanza, dalla quale deve rientrare a Roma per partecipare in veste di special guest alla terza edizione del programma. Abbiamo già scritto diverse idee quando arriva la prima notizia: durante una gita in barca si è fratturato due dita del piede sinistro e ora zoppica vistosamente. Basterebbe questo per farmi pensare a un forfait ma lui è ottimista: “Se non corro e mi muovo poco posso farcela, in più per il personaggio del prigioniero (un mio spunto in cui lui, dopo la vittoria in Lol 2, resta prigioniero dello studio per un anno ed esce a sorpresa da un divano che sembra Tom Hanks in Castaway) sembrerà più credibile la sofferenza”. Il dramma arriva pochi giorni dopo quando, in sedia a rotelle in aeroporto, gli comunicano che il suo volo per Roma è annullato. È finita, penso. Marcello però prende un Uber e attraversa parte della Spagna, tutta la Francia e metà Italia riuscendo ad arrivare a Roma a poche ore dall’inizio dello shooting, il tutto con un autista Uber al suo primo giorno di lavoro che non sa come ricaricare la macchina elettrica - Maccio deve scaricare il manuale di istruzioni per quel modello di vettura e dare indicazioni al guidatore per trovare una colonnina di ricarica nell’entroterra francese che comporta una deviazione di ore dal tragitto. C’è anche tempo per un brivido finale. Ormai esausto a poche decine di chilometri dalla capitale, Marcello esce dal dormiveglia e si accorge con orrore che l’autista ha le mani sul volante ma la testa abbassata e sta dormendo, mentre la macchina viaggia a una velocità di 70 km/h in autostrada (un miracoloso rettilineo) grazie alla funzione Cruise Control: sembra una scena di Speed girata dalla Micidial Corporation, invece è tutto vero. Maccio urla e lo sveglia e arriva a casa incolume, dopo aver rischiato la vita, speso l’equivalente di un volo andata e ritorno per Tokyo e a due ore dall’inizio delle riprese. Che andranno benissimo. C’è abbastanza materiale per un film stile “tutto in una notte”. Parlando di cinema, il 17 novembre è uscito su Prime Video “Il migliore dei Mondi”, il terzo lugometraggio di Marcello. Diciamo subito che è il suo migliore, quello in cui Macchia si toglie la maschera grottesca indossata per sue prime (pur sottovalutate) pellicole interpretando un personaggio fin troppo realistico nella propria dipendenza dalla tecnologia (sbiaditi echi del Theodore Twombly di Her di Spine Jonze). Il rapporto con la suddetta, l’incapacità di gestire le emozioni, il rifugiarsi nelle proprie abitudini a scapito dell’interazione con gli altri del resto sono tutti temi centrali ne “Il Migliore dei Mondi”.
Ennio Storti conduce una vita scialba e ripetitiva scandita dai propri device: da Alexa che gli fa i frullati la mattina ai siti porno che indicizza con le proprie categorie preferite (tettone e anziane), dalle app di incontri fino al canale YouTube sul quale fa recensioni di articoli tecnologici di nessuna utilità. L’unica persona con cui interagisce su base regolare è lo svalvolato fratello Alfredo (interpretato dal solito, imprescindibile Pietro Sermonti) con cui lavora nel negozio di elettronica di suo proprietà e che a ben vedere si rivela comunque più normale di lui. La sua routine si incrina quando conosce Viola (una convincentissima Martina Gatti), la classica ragazza weirdo/scapigliata che vive in una comune, e va letteralmente in pezzi quando accetta di ripararle il modem anteguerra generando una sorta di cortocircuito (che, mistero delle mie sinapsi, ha in me rievocato l’incidente al centro del classico eighties “La Donna Esplosiva” con Kelly LeBrock) che trasporta Ennio in una realtà parallela del tutto identica alla nostra, se non che il Millenium bug lì ha avuto conseguenze devastanti portando a un decreto mondiale che ha imposto il congelamento del livello della tecnologia al 1999. Ennio, un pò come L’Ultimo uomo sulla Terra, vaga quindi nella capitale stranito mentre osserva vestigia di un passato che qui è presente: le filiali di Blockuster, le cabine telefoniche con la fila fuori, le macchine senza navigatori e sensori di parcheggio, le pubblicità del nuovo Nokia 3310 “assolutamente uguale al modello precedente”. L’impatto con questa nuova realtà, anche se Ennio l’ha vissuta 25 anni prima, è inizialmente devastante ma grazie a Viola il nostro (ri)scoprirà il proprio io atrofizzato dietro lo schermo dello smartphone perdendosi in macchina, entrando in una trattoria senza prima averne letto la recensione, parlando con una persona guardandola negli occhi dando vita a una serie di rocamboleschi eventi che porteranno a un finale non scontato né consolatorio. Nel Migliore dei Mondi l’autocitazionismo di Maccio è relegato a pochi momenti neorealisti: “Natale al cesso” in questa realtà parallela è un cinepanettone abbastanza brutto e, senza sensori di parcheggio, gli automobilisti si fanno aiutare dal classico passante che ti urla “vieni vieni vieni vieni bon!” di lolliana memoria.
C’è anche Copertino, il paese di mia moglie che è un po’ la mia seconda patria, dove si è rifugiato Steve Jobs dopo essersi finto morto e aver chiuso la Apple. La città salentina è effettivamente gemellata con Cupertino (la patria della Mela). Nel 1776 Don Juan Bautista de Anza, governatore del New Mexico compì su richiesta del Re di Spagna,una spedizione per verificare la scoperta della Baia di San Francisco, attraversando le colline della valle di Santa Clara. Si accampò per una notte lungo gli argini dell'attuale insenatura chiamata Stevens Creek ribattezzandola Arroya St. Joseph de Copertino perchè quel giorno, 23 marzo del 1776, cadeva la ricorrenza di San Giuseppe da Copertino. L’abilità di Marcello (e dei suoi co-direttori Danilo Carlani e Alessio Dogana) è quella di bilanciare sapientemente gli ingredienti, come in ogni ricetta di successo: c’è sicuramente la condanna di una società dei consumi in cui la depersonalizzazione sociale, la destrutturazione dei rapporti e la mancanza di punti di riferimento la fanno da padrone ma c’è anche una più profonda riflessione sulla libertà individuale (dopotutto la realtà alternativa in cui si trova ribaltato è una dittatura totalitaria in cui i trasgressori sono puniti con l’ergastolo o la morte). Non è poco per l’attuale panorama cinematografico italiano.