Immaginate quello che sarebbe successo se i genitori di Marcello Macchia, in arte Maccio Capatonda, non avessero regalato una macchina da presa al figlio. Non ci sarebbero stati Padre Maronno, La febbra, e tutti i trailer leggendari che divennero famosi grazie alla Gialappa’s e a Italia 1. Brevi, originali e tremendamente divertenti, quei video diedero lo slancio a Maccio Capatonda per raggiungere il successo. “Fin da quando avevo sette anni volevo stare davanti e dietro la telecamera”, ha confessato al Basement di Gianluca Gazzoli. Per fortuna, quella macchina da presa arrivò e Maccio iniziò a sperimentare. Poi vennero i primi lavori, caratterizzati dall’atmosfera surreale, i neologismi, i personaggi così brutti e grotteschi da sembrare qualcosa di più di una parodia: “C’erano sia degli attori che dei casi umani”. Si improvvisava: c’erano le “facce giuste” e le voci fuori dal comune. Alla qualità del montaggio si alternava la recitazione un po’ trash, un mix che produceva l’effetto straniante che è il vero successo delle sue interpretazioni. Alcuni di quei video, confessa, “facevano ridere perché erano fatti male”. Ma il suo amore per il nonsense viene da lontano: dalla stima per Nino Frassica, uno dei suoi maestri che, insieme a Valerio Lundini, rappresenta uno dei cardini della comicità surreale italiana. “Il bello del surreale è che non si arrende al reale”. Solo così si può sperimentare il confine tra il buono e cattivo gusto, stressando la risata e la battuta fino a quasi sfociare nell’assurdo più totale. Poi c’è stato Lol – Chi ride è fuori, dove per la prima volta si è cimentato in una performance in live. La prima edizione era andata molto bene e l’aspettativa era tanta. Inoltre, alcuni dei partecipanti erano suoi idoli, su tutti Corrado Guzzanti e Virginia Raffaele. Ad ogni modo, Lol fu un successo, e Maccio vinse la competizione. Ora è in un momento di sperimentazione. Ha lasciato Milano, dove ha vissuto per 19 anni, per trasferirsi a Roma. Per ritornare un outsider, forse. Un artista non può rimanere sempre in un ambiente protetto: ogni tanto una scossa è necessaria per trovare una nuova frequenza, per rinnovare il proprio stile.
I due film che ha fatto da regista sono stati difficili: abituato a contenuti di una lunghezza minore, cimentarsi con due lungometraggi erano un rischio. Italiano medio e Omicidio all’italiana sono andati bene, ma non benissimo. Ora ne arriverà un terzo, su cui sta lavorando da tre anni: “Non sarà un film neanche del tutto comico”. Vedremo cosa ha in serbo Maccio. Il punto forte di altri colleghi, dice, è la capacità di rimanere sempre se stessi, indipendentemente dal tipo di contenuto: cita Ricky Gervais (“tra i miei comici preferiti”) e Checco Zalone. Artisti che sono stati in grado di crearsi uno spazio proprio all’interno della comicità. “Il nonsense non morirà mai. È la voglia di andare contro la realtà. Ribaltare il reale, per volare in un altro mondo”. Il surreale serve a mostrare che le cose non devono essere per forza così. Forse per questo Maccio è tra i pochi a non essere mai stato criticato per la sua scorrettezza.
Qualche mese fa aveva già parlato dell’argomento: in quel caso era al Basement Cafè 5 insieme a Frank Matano. L’intervistatrice era la scrittrice e attivista Carlotta Vagnoli: “C’è qualcosa su cui non si può scherzare?”. Per Maccio no, si può scherzare su tutto, basta saperlo fare. Lo stesso Matano aveva evidenziato che, nonostante la lunga carriera e certe battute al limite, Maccio non era mai stato insultato o ridimensionato nei limiti del politically correct. La ragione è proprio la sua esistenza come personaggio e non come persona reale. Come si fa a insultare un fumetto, una parodia che ha semplicemente preso vita? Anche perché la comicità è scorretta quasi per definizione: prima o poi qualcuno si offende, c’è poco da fare. Ciò che conta è il tempismo: “non si può scherzare su una tragedia avvenuta oggi. Domani, però, lo si può fare”. Serve, dunque, scegliere il momento giusto, raccontando una storia da un punto di vista fuori dal comune. Proiettando la propria immagine al di là del reale e rimanendo “imparziali”. Prendere in giro tutti, facendo attenzione alle sensibilità del momento. Questione di empatia e di talento. Forse non si può spiegare il successo di Maccio Capatonda. La formula della sua arte resta incomprensibile. Ma questi sono gli artisti: misteri irrisolti con cui possiamo provare emozioni che non sapevamo di avere. Oppure, come nel caso di Maccio, ridere senza pensare alle conseguenze.