Da anni viviamo una sorta di età dell’oro della serie tv. Un fenomeno che ha fagocitato anche il cinema, con nomi di primo piano (registi, attori e sceneggiatori) che di buon grado si sono buttati nella mischia dei contenuti seriali consacrando le piattaforme di streaming a padrone indiscusse del nostro tempo libero. L’offerta è sterminata: costume dramas, comedy, fantascienza, thriller, saghe carcerarie: all’appello mancano giusto una serie sui cuochi albini, un comedy drama su delle casalinghe cyborg e una soap sui mitocondri - ma non è escluso che siano in produzione mentre sto scrivendo. E, dopo anni di offerta dominata da Stati Uniti e Regno Unito, altri Paesi hanno iniziato a produrre contenuti originali: Brasile, Turchia, Svezia, Germania, Francia e Italia.
È così che, in mezzo a produzioni faraoniche come The Crown o The Boys, al consolidamento della nostra tradizione narrativa “criminale” con Gomorra e Suburra, a esperimenti distopici come 3% o paradossi spaziotemporali come Dark, una piccola produzione italiana totalmente autoprodotta e autofinanziata, capace di stregare un colosso come Amazon, rischia di passare inosservata. E sarebbe un peccato. “La Scatola Nera” è una solida serie crime prodotta da Zen Europe di Roberto Bosatra, storico produttore di Zelig, diretta dal Elia Castangia, in cui niente è come sembra.
Questa la trama. Al termine di una rappresentazione teatrale, nel casolare di campagna usato per le prove da una compagnia teatrale, vengono trovati due attori intossicati dal monossido di carbonio: uno, Luca, è in fin di vita, l’altra, Monica, è morta. Incidente o omicidio?
Ognuno degli otto episodi di cui si compone, la serie ricostruisce gli eventi che precedono il decesso attraverso il punto di vista di ognuno degli otto protagonisti, ognuno potenzialmente colpevole. Un puzzle dalle tante sfaccettature pronipote di Rashomon di Kurosawa, un racconto sulle molteplici verità possibili, articolato dalle prove di tanti bravi attori (appare non casuale la scelta di coinvolgere molti professionisti storici della comicità milanese, tra cui Ale & Franz, Antonio Ornano, Alessandro Betti e Marta Zoboli, in un registro molto diverso da quello abituale). Antonio Dipollina su Repubblica ha tessuto le lodi di una serie “non piaciona e nemmeno per tutti”. Dopo averla vista è difficile non essere d’accordo. Tra i consueti limiti produttivi e incastri lavorativi tipici di una produzione a basso budget (che, data la natura introspettiva del racconto non ne intaccano minimamente la fruizione), La Scatola Nera può dirsi un esperimento riuscito e un ottimo segnale per le produzioni autoctone.
Ho voluto approfondire telefonicamente con il regista Elia Castangia (che conosco da anni e con cui avevo condiviso diversi lavori televisivi) e i protagonisti Antonio Ornano e Alessandro Betti (qui anche sceneggiatore).
La Scatola Nera è un chiaro riferimento alla verità che si dischiude dopo un disastro aereo.
Castangia - Certo! Ma è anche un riferimento al teatro, una scatola scura dove si mette in scena una rappresentazione ed è anche, metaforicamente, la testa di ognuno dei personaggi. Abbiamo eletto protagonista della serie il punto di vista personale di ogni attore, raccontando in ogni puntata suoi 18 giorni successivi al presunto omicidio. Ogni volta si apre uno squarcio su un mistero che si infittisce.
“Ho un’idea fortissima per una serie”. Se mi avessero dato un euro per ogni volta che ho sentito questa frase, seguita poi sempre dal nulla di fatto, ora vivrei nell’attico a City Life sopra quello di Fedez. Voi però la serie l’avete fatta. In autonomia. Come?
Castangia - Roberto Bosatra, con cui avevo lavorato anni fa a “Buona La Prima” (Italia 1) condivideva con me il pallino della fiction. “Facciamo una serie”, ci siamo detti. I player di questo mercato sono ben definiti: in genere si produce “dall’alto”, con un capitale deciso ogni anno che viene distribuito fra tutti i progetti da realizzare. Noi invece, in quello che, credo, sia un caso abbastanza unico in Italia, la serie l’abbiamo realizzata senza nessun editore, trovando autonomamente i fondi. Nella prima stagione l’elemento crime è molto stemperato dalla comedy. La seconda stagione è decisamente più thriller.
Ornano - Per la prima serie ci siamo trovati tutti per tre settimane in questo casale di proprietà di Bosatra. È stata come una vacanza in barca a vela in cui il clima era tremendamente divertente. Giravamo a dei ritmi che manco in una soap opera ecuadoregna ma c’era un clima fantastico. Molti di noi sono amici da tanto tempo quindi il nostro lavoro era, per così dire, facilitato. La seconda serie è decisamente più crime, è stata un’esperienza strana: ci siamo interrotti per il Covid a metà lavorazione, anche se poi abbiamo proceduto spediti.
Betti - La prima stagione prendeva le mosse da una commedia che ho scritto nel 2005 e che ho poi portato in giro per 10 anni. Per la seconda eravamo curiosi di sapere cosa saremmo riusciti a fare, visto che di crime in Italia se ne fa poco e quando se ne fa è spesso un po’ stereotipato. Onestamente sono rimasto sorpreso dalla recensione di Dipollina che, pur evidenziando i limiti realizzativi dell’operazione, ne ha riconosciuto il valore contenutistico. Credo che La Scatola Nera sia stato un laboratorio importantissimo perché tutti noi avevamo un background teatrale ed era la prima volta che ci cimentavamo con la serialità televisiva. Bosatra poi, lo dico con l’amore di chi lo conosce da 20 anni, è stato un pazzo: ha voluto fare il produttore unico, correndo dei rischi pur di avere il controllo totale, realizzando un progetto senza nessuna rete o editore, e solo a pacchetto chiuso ha iniziato a occuparsi della vendita.
Castangia - Sì, abbiamo chiuso tutte le puntate in montaggio e poi siamo andati in “tentata vendita”. È stato pazzesco perché i primi a cui ci siamo rivolti sono stati quelli di Amazon e il progetto gli è molto piaciuto: era profondo e dettagliato, effettivamente. Amazon ha apprezzato anche lo stile visivo sufficientemente originale. Non c’è stata da parte loro nessuna ingerenza creativa, semmai le loro richieste erano soprattutto di carattere tecnico: le serie che sono sulla piattaforma devono rispondere a certi standard qualitativi. Siamo stati fortunati anche a trovare in Canon un partner in grado di sostenerci con una nuova camera che abbiamo usato in anteprima per le riprese. Amazon poi si è detta particolarmente soddisfatta della scelta degli attori.
Ecco, Antonio e Alessandro: com’è stato essere degli attori che interpretano degli attori?
Ornano - Belin che domande serie che mi fai, ti devo rispondere come Toni Servillo? (risate). Il personaggio che ha scritto Elia è un attore schizofrenico, cioè, più bipolare che schizofrenico. Credo che il mio personaggio sia stato modellato su alcune delle mie caratteristiche personali (ride), ed è in competizione con il personaggio di Alessandro Betti. Fondamentalmente io quando interpreto un personaggio mi preoccupo soprattutto di essere sincero: di portare un po’ di verità nelle mie battute, sembra un paradosso ma è così.
Betti - Per quanto mi riguarda, la scelta del cast credo che rifletta anche molto quella che è la mia idea di “attore”: Antonio, Mara ed Enzo Paci sono i primi nomi che ho fatto quando si è trattato di creare un gruppo. Oltre ad essere amici sono grandissimi professionisti in grado di flirtare coi registri. In Italia in generale è difficile che un comico interpreti indifferentemente un ruolo drammatico.
Siete soddisfatti del risultato finale?
Castangia - Abbiamo goduto della libertà di realizzare una serie che usciva dai canoni stilistici delle produzioni italiane - narrazione non lineare, fotografia non “smarmellata”, per usare le parole di Boris - una serie che un po’ sfida lo spettatore, che si trova davanti ad un mosaico i cui pezzi vengono rimessi a posto solo alla fine. Questo ci dà molta soddisfazione. L’ambizione era quella di realizzare un prodotto che avesse un respiro più internazionale.
Betti - Non per menarcela ma credo sia stato riconosciuto da Amazon il valore di un lavoro sicuramente artigianale ma anche di qualità. È un prodotto piccolo il nostro ma abbastanza unico nel panorama italiano credo. Io spero che in futuro ci sia un taglio netto alla mediocrità, alle cose becere, ai contenuti raffazzonati e fatti male…
Ornano - In generale, comunque, io credo che i prodotti italiani siano sempre bene accolti dal pubblico. Il problema semmai è il sovraccarico di offerta: ci sono capolavori assoluti e cose davvero discutibili. È come su YouTube. Bisogna sapersi orientare, da spettatore. E ovviamente c’è il discorso della potenza di fuoco. Noi siamo Davide, mentre le produzioni anglofone sono Golia. La nostra produzione costa un milionesimo rispetto a The Crown, non solo rispetto a costumi e scenografie, ma anche rispetto al tempo: puoi prepararti quanto vuoi, ma se devi realizzare otto puntate in tre settimane i ritmi devono essere alti. Una serie tv basata esclusivamente sul dialogo come la nostra, può sembrare produttivamente più semplice solo a un principiante, in realtà richiede una cura davvero notevole. Prendi After Life di Ricky Gervais: non vedi tanti soldi spesi in scenografie o effetti speciali, ma ogni battuta è un capolavoro. Ecco qual è il problema di usare certi termini di paragone, come Gervais: poi tu, recitativamente ti senti una merda (risate).
Anche la scelta degli attori, quasi tutti provenienti da contesti molto diversi dal thriller, appare controintuitiva e tutto sommato “poco italiana”, per usare un’espressione cara a Stannis La Rochelle…
Betti - Come dicevo prima parlando della scelta del cast io mi sono sempre immodestamente ispirato a Bill Murray, Robin Williams, Jim Carrey e in generale grandi comedians che hanno la capacità di accostarsi con la stessa intensità a comico e drammatico. In Italia non è una cosa così comune.
Castangia - Prendi Better Call Soul: il protagonista, Bob Odenkirk, è uno stand up comedian. Nessuno si è sognato di dire che non poteva interpretare ruoli drammatici. Credo si sottovaluti la capacità dei nostri attori comici in ruoli drammatici. Penso che La Scatola Nera dimostri il contrario. Poi questa è la storia di una compagnia e i nostri attori, Ale, Antonio, Marta, avendo un grande pedigree teatrale, sono molto credibili nel mostrare queste dinamiche.
La Scatola Nera è disponibile su Prime Video.