“Chieder gli opuscoli turisti della mia città, e con te passare il giorno a visitar musei: monumenti e chiese, parlando inglese…”. Ecco, parto da qui. In apparenza andando subito fuori tema, ma si tratta di stile, e quello che state per leggere è qualcosa che con quanto ipotizzato da Mogol e Battisti, parto da bardo Giulio Rapetti perché qui solo il testo è presente, la canzone “Perché no”, fa riferimento a una chiara situazione di mimesi, il parlare inglese fingendosi turisti, il comportarsi, cioè, come un forestiero in casa propria. Del resto, da che il Club Tenco si è aperto al pop, premiando Madame, celebrando lo stesso Mogol, da sempre visto con ostilità, e quest’anno probabilmente facendo lo stesso con Blanco, citare Battisti iniziando un discorso che di musica d’autore vuole andare a parlare ci sta alla grande.Mimesi, quindi. Devo parlare di qualcosa di estremamente sgradevole, almeno ai miei occhi. Sarò quindi sgradevole ai vostri.
A Macerata, ultimamente, c’è una certa repulsione per la figa. A Macerata, diciamo dentro lo Sferisterio, che di Macerata è luogo di eccellenza, simbolo e anche location di tante manifestazioni legate alla musica alta, colta. O meglio ancora, dentro lo Sferisterio quando va di scena Musicultura, perché è di Musicultura, giunta quest’anno alla trentatreesima edizione, contando anche quelle in cui si chiamava Premio Città di Recanati e a Recanati andava in scena, che voglio andare a parlare. La giuria incaricata di decretare i vincitori della finalissima di Musicultura, quindi, e poi quello assoluto, cioè il pubblico presente nelle due serate conclusive della manifestazione in quel dello Sferisterio, hanno una certa repulsione per la figa. Qualcosa di non troppo dissimile da quanto ispirò Elio e le Storie Tese a scrivere l’intramontabile brano “La visione della figa da vicino”, band, Elio e le Storie Tese, che nonostante sia composto da elementi tutti privi di figa, credo, avrebbe comunque avuto difficoltà a trovare spazio da queste parti, nel loro caso per troppa iconoclastia e originalità, Musicultura tende a premiare sempre chi fa musica canonica, classica, nel campo del cantautorato o comunque della musica d’autore. Dico questo perché quando l’altra sera Veronica Maya elencando con Enrico Ruggeri, i due hanno compito di presentare le due serate conclusive della manifestazione, i nomi dei quattro finalisti che avrebbero avuto accesso alla finalissima, indicando quindi anche i quattro nomi che dalla finalissima erano esclusi, quando l’altra sera Veronica Maya elencando con Enrico Ruggeri i nomi dei quattro vincitori si è accorta che le quattro donne in gara erano state tutte eliminate se ne è uscita con una frase sorprendente, questa: “Incredibilmente tutte e quattro le donne sono state eliminate”, sorprendente perché dimostra una totale ignoranza rispetto allo spirito di Musicultura, premio anche di un certo valore che, categoricamente, tiene le cantautrici da parte, discriminandole. Basterebbe dare uno sguardo all’Albo D’Oro della manifestazione per farsene un’idea, l’ultima donna a aver vinto Musicultura è Serena Ganci, talentuosissima cantautrice, nel 2010. In quell’occasione, per dire, la Ganci si presentò sul palco con la conterranea Simona Norato, e da quell’incontro pubblico nacque l’idea della band Iotatola, in qualche modo sorella maggiore, per spirito e anche per corregionalità, de La Rappresentante di Lista, band, le Iotatola che nel mentre si è sciolta, le due hanno dato vita a carriere soliste e proprio quest’anno si è anche riunita, pensa te quanto tempo è passato. Dodici edizioni nel mezzo, tutte vinte da ometti, e uno potrebbe dire, sì, va beh, ma dipende da che ometti. Appunto. Ma anche andando indietro, su trentadue edizioni, trentadue, donne che hanno vinto se ne contano Pilar nel 2007, Giua nel 2004, Alessia D’Andrea nel 2001, e poi, negli anni precedenti, quando a vincere erano tutti i finalisti, Grazia Verasani nel 2000, Patrizia Di Donna nel 1999, e mai più di una finalista a tornata. Un po’ pochine, direi, anzi, pochissime. A riprova che, appunto, evidentemente c’è un problema di fondo, e che il problema di fondo è sempre il medesimo, un premio, un festival, un contesto gestito in prevalenza da uomini finisce quasi sempre per discriminare le donne, e quando si discrimina in partenza, poi, è facile che si ingeneri il vortice che porta a una vera e propria misoginia, con le donne che, puntualmente, arrivano a un passo dalla vittoria ma sul più bello si vedono scalzare da artisti che quasi sempre sono assai meno di talento. Quest’anno, poi, diciamolo a gran voce, la faccenda stride particolarmente, perché di donne ce n’erano addirittura quattro su otto, e tutte di grande valore. Cassandra Raffaele, Valeria Sturba, Martina Vinci e Isotta, fresca vincitrice del Premio Bianca D’Aponte e in cinquina alle Targhe
Tenco come Miglior Esordio, unico premio che non discrimina le cantautrici solo perché esclusivamente alle cantautrici è dedicato, non è che se la giocassero alla pari con gli altri quattro concorrenti, che avendo avuto la buona sorte di essere votati dal pubblico assiso allo Sferisterio non hanno certo bisogno che io li citi, dando ancora un po’ di visibilità a chi, immeritatamente, già l’ha avuta, ma erano decisamente meglio. Cioè, Cassandra Raffaele è una delle migliore artiste in circolazione in Italia, e se uso il femminile è perché di una donna si tratta, ma vista la mascolinità della nostra lingua avrei dovuto usare il maschile, visto che è una delle migliori e dei migliori in assoluto, come è possibile che non sia arrivata in finale?
Siccome però questo succede tutti gli anni, ricordo recentemente i casi di Lavinia Mancusi, di Miele, di La Zero, di Mille, vado a memoria, battute da gente che poi, toh, è legittimamente tornata nel nulla, forse sarebbe il caso di rivedere un po’ il sistema di voto, o essere più selettivi in entrata, o non far votare un uditorio che, evidentemente, non è in grado di cogliere la qualità, se se la trova di fronte. Se volessi alzare un polverone direi che parte del problema è anche l’età media degli spettatori in sala, decisamente oltre il boomerismo (molti c’erano anche prima del Dopoguerra, a occhio), ma contrapporre misoginia a ageismo non mi sembra idea poi così geniale.
Chiaro che non è con la figa che Musicultura ha un problema, quella era una sgradevolezza già usata in passato, quando non c’erano donne a Sanremo, al Festival, o al Primo Maggio di Roma, ma proprio con le cantautrici e il talento, un problema non da poco, se associ la parola musica alla parola cultura, toh, entrambi nomi femminili, come Macerata.