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Nope, il film di Jordan Peele è l'allegoria di una scoreggia

  • di Grazia Sambruna Grazia Sambruna

14 agosto 2022

Nope, il film di Jordan Peele è l'allegoria di una scoreggia
Enorme attesa per "Nope", il terzo film da regista di Jordan Peele, vincitore di un Oscar alla miglior sceneggiatura con la sua opera prima, "Scappa - Get Out". Mentre i critici più blasonati si stracciano le vesti nel tentativo di spiegare il "vero significato" della pellicola, è ora che se ne parli per quello che apparentemente è: il peto di un grande regista che questa volta forse ha lavorato con l'alluce del piede sinistro. Peccato

di Grazia Sambruna Grazia Sambruna

L'estate al cinema vuol dire aria condizionata. Ma, soprattutto, horror. Da giovedì 11 agosto è a piede libero nelle sale italiane, a un mese di distanza dall'uscita americana, il terzo attesissimo film da regista di Jordan Peele, Nope. Già nel titolo, si nasconde un intrigante gioco di parole: "Not of Planet Earth". Se siete appassionati di acronimi, buon per voi, avete appena avuto la vostra soddisfazione. Non ce ne saranno altre: Nope è un film lento, senza scopo e bizzarro a un livello da porsi in dichiarata guerra aperta contro ogni possibile sospensione dell'incredulità. Nelle intenzioni del regista, 4 nomination all'Oscar per il suo esordio cinematografico Scappa - Get Out, vorrebbe essere un'allegoria del Covid-19, una critica feroce ai mass media e tanto altro ancora. Ciò che ne risulta, purtroppo, è un peto della durata di due ore e quindici minuti. Peele ci ha trollati. E la parte più divertente della burla sono i critici che si grattano la testa per cercare di trovare il "vero significato" di un film che è, nel complesso, una sorta di Sharknado. Ma senza le parti divertenti. Andiamo a vedere perché Nope sia un grande, gigantesco e funambolico "Nope" da 100 milioni di dollari di budget. 

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"Cos'è un brutto miracolo?", chiede il protagonista OJ (interpretato da Daniel Kaluuya, già visto nel fortunato Scappa - Get Out) alla sorella Em fissando una stramba nuvola nel cielo sopra le loro teste, nuvola che non si muove mai di un millimetro. La contemplazione astrale divora i primi quarantacinque minuti del film, impedendo alla trama di far succedere alcunché, fatto salvo qualche piccolo, pigrissimo spavento. Alla fine del primo tempo, avrete in mano una buona conoscenza dei due personaggi principali, i fratelli Haywood, che tentano di tenere in piedi il ranch del padre morto sei prima e... basta. L'atmosfera è inquietante, ma lo svelamento tarda ad arrivare. Nel frattempo, tutti si muovono con fare circospetto intorno al nulla di fatto. Guardare Nope, oltre a essere estenuante, è letteralmente tempo buttato anche perché il trailer, in due minuti e trenta secondi scarsi, racconta tutto il film, dall'inizio alla fine, twist (discutibile) compreso. Forse a Peele conveniva di più darsi a TikTok, questa volta. 

Purtroppo non l'ha fatto e, forse per recuperare la prima metà di osservazione della volta celeste, nella seconda fa succedere di tutto in modo convulso e ai limiti del circense. Venghino signori, venghino! Peccato che la computer grafica che disegna la tanto paventata minaccia brutta e cattiva, sembri scarabocchiata da un decenne che non aveva voglia di studiare le frazioni. Il senso della prospettiva, certo, quello non poteva ancora conoscerlo. Come i peggiori adattamenti cinemarografici dei romanzi di Stephen King insegnano (da It prima maniera in giù), lo svelamento del mostro finale può essere deludente e ferire le cornee, ancora prima del cuore. In sala, comunque, c'è chi ha riso. 

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La scialuppa di salvataggio di questa nave in perenne avaria è Gordy, scimmia protagonista di una nota, e fittizia, serie tv anni Novanta, che compare in alcuni flashback regalando gli unici momenti davvero horror della pellicola. Avrebbe dovuto essere questa la storyline principale? Assolutamente sì. Invece, quello che il regista ha in serbo per noi, sono cavalli, cavalli, ancora cavalli, un protagonista di pochissime parole (questo non è necessariamente un male), la sorella perennemente sopra le righe (nemmeno questo) e l'abbozzo di qualche altro personaggio (un misterioso regista, "l'unico in grado di filmare l'impossibile": vero, Jordan?), un asiatico che gestisce un parco divertimenti super kitsch in pieno stile western e... quella dannatissima nuvola. Ciò che più seccherà agli amanti di Peele (e ce ne sono, chi scrive compresa) è che durante un suo film si pretende l'orgasmo. Qui, invece, non ci si accorge nemmeno dei preliminari. 

Tra scene che somgliano a quella che potrebbe essere la colonscopia a una creatura aliena (ma con prospettiva dall'interno dell'UFO), giganteschi pupazzi gonfiabili che, forse annoiati dall'inerzia dei presenti, prendono il volo per combattere il Male, Nope ha senso solo nella testa di quel "genio visionario" di Peele che, con questo terzo film, mette un nuovo mattone per mertarsi il titolo di "erede di M. Night Shyamalan", il regista che esordì con Il Sesto Senso e poi andò avanti di ciofeca in ciofeca, salvo qualche saltuario rigurgito di estro. Ed è un peccato. In seguito alla prova, seppur imperfetta, di Us - Noi, ci si aspettava moltissimo da Peele. Nope poteva essere la sua consacrazione o l'epitaffio (forse) definitivo. Questo pirotecnico e pretenziosissimo fiasco, depone a favore della seconda sciagurata opzione. 

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Nope non è adatto nemmeno per chi, senza magari avere idea di chi sia Peele, semplicemente ama gli horror estivi: è noioso, XXL e con effetti visivi che lasciano a desiderare. Potrà interessare, invece, le menti illuminate della critica cinematografica, ma non tutte: ci riferiamo a quella frangia estremista per cui un film non è fatto dalla trama ma dalle citazioni, dai riferimenti ad altre opere fondamentali. Se appartenete a questa ristretta cerchia, fiondatevi in sala che la caccia al tesoro è apertissima. Se invece vi siete lasciati incuriosire dalle entusiastiche recensioni che parlano di allegorie e feroce critica sociale, bene, sappiate che il significato nascosto di Nope, quello che c'è oltre le immagini che vediamo scorrere sullo schermo per due ore e un quarto è Jordan Peele che peta. E poi se la ride di gusto leggendo le sempre argute recensioni che lo riempiono di complimenti per il genio, la vastità omnicomprensiva del suo sguardo concettuale. Nope, non su questo pianeta. 

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