Un tizio, da qualche parte nella sala di controllo zombie, ha schiacciato inavvertitamente il pulsante degli anni Novanta, è così è partito l’ologramma della cultura pop Nineties, riesumata per l’occasione, in meno di due mesi estivi. Le malefiche case discografiche, che tramavano da tempo nel mare della tranquillità, nel lato oscuro della luna, stanche di pop star sulfuree tutte uguali a Madonna, hanno evocato i nostri ricordi e sono tornati così gruppi come i Cccp, Club Dogo, Eminem, i Co’Sang baluardi di un hip hop dialettale, che checche se ne dica a proposito di questo genere, sempre più spesso criminalizzato dalle destre e dalle sinistre, sta contribuendo a conservare una lingua e i nostri dialetti tanto bistrattati. Ma a ruggire non è solo l’hip-hop, già abituato da tempo a campionare gli anni novanta. C’è pure il pop (seppure in salsa rock) più puro, ecco il ritorno più atteso di tutti: l’operazione commerciale che poterà a far suonare ancora gli Oasis assieme, in una serie di super concerti.
L’operazione puzza un po' di naftalina, diciamocelo. Tutti noi però li volevamo assieme, da chi si vergognava ad ascoltarli a chi ne è sempre stato un grande fan; i fratelli Gallagher vanno fatti suonare ed esibire, perché sono un po' i chiodi a cui sono ancora appesi i nostri sogni adolescenziali imposti dalle élite di rock star della “working class” bianca e politicamente scorretta, di hooligans del City scatenati che sparano cazzate tra pinte di birra e partite, lo stile trasandato di giubbottini in nylon e finta pelle, da Beatles di serie b. La musica così così un po' scontatella, ma va bene, la differenza la fa la personalità nel rock, chi ama il genere lo sa benissimo, e i fratelli di Manchester ne hanno da vendere, il modo sfrontato e sofisticato con cui Liam Gallagher canta, gli arrangiamenti cesellati di Noel. Chiaramente, qualcosa non torna, ovvio che non siamo rockstar bianche della working class inglese, perché la distrazione di massa stavolta ha quel taglio felice lì. Di quel periodo lì, di quel mondo felice lì, di prima delle guerre che contano, delle pandemie, sì, insomma, di quell’ultimo decennio che i sociologi chiamerebbero con una parola in disuso ormai, “reflusso”. Eravamo Felici, eravamo giovani, bisognava uccidere Saddam Hussein (B.U.S.H.), Gheddafi, ma si faceva la festa lo stesso, eravamo rampanti, le guerre c’erano ma non ce ne fregava nulla, credevamo tutti inconsciamente che l’Occidente potesse fare a meno della storia, e dedicarsi, a un tramonto spettacolare o a un’eterna espansione, eppure la storia era lì, fuori dai confini di fantasia, e le grandi potenze stavano per farla tornare d’attualità come mai prima d’ora. La crisi del 2008, il din don dell’11 settembre e l’indicibile guerra totale pulviscolare che viviamo oggi: sì, perché la gente in Occidente sta male, non reagisce nemmeno più, vive tra fuffa guru e psicologismi di maniera, qualche simpatico animale domestico, e culle vuote. Il disagio è palpabile sui social e per strada tra i cinquantenni che fanno jogging, la gente è fuori di testa ragazzi, se non soffre di povertà è andata via di capoccia insomma, e vive in una repubblica di Weimar di serotonina, ipersessualizzata, odiosa con i giovani, ma che tenta di essere giovane a ogni costo, ingannata dai vari populismi di destra e di sinistra, e valori un tanto al chilo by Vannacci. In un mondo dove le serie televisive cominciano a non reggere più, un po' come le coppie che le seguono perdono la libido, e le sceneggiature diventano meno credibili e di “qualità”, allora ci vogliono le storie, cazzo. E chi è in crisi d’astinenza, dove può trovare nuove storie? Nel rock, nella musica, che ormai è fatta sempre più di “leggendari” ritorni, di rock star impegnate nel sociale, o convertite a cristianesimi e conservatorismi, e di personaggi, più che di grandi sperimentatori e musicisti. Ma senza fare i filistei e i finti moralisti, diciamoci la verità: il pop è sempre stato questo, distrazione, solo che adesso è palese che ci pigliano per il culo, qualcuno in Antartide ha schiacciato il bottoncino degli anni Novanta, che ormai li trovi pure nei dj set di Dubai; nuovo quartiere di Milano, e su Instragam puoi finalmente insultare il tuo idolo.
Però diciamocela sulla continua rielaborazione del passato glorioso, coraggioso o felice: era una merda pure prima, la gente era alienata pure prima, e finge pose. Per carità, i ritorni pop ci sono sempre stati, ma non così deliranti e alienanti: sarebbe ora di rispondere a questa noia in qualche modo, o anche non rispondendo affatto, perché se la risposta è il nostalgismo feticista, il mettere la nonna o meglio la milf eterna su un piedistallo, non ci aiuterà, perché abbiamo venduto i gioielli di famiglia. Conviene il nulla, il sano nulla, non l’ha fatto mai nessuno il nulla, il reddito di cittadinanza ai creatori di fiction di Los Angeles, mandiamoli in pensione questi direttori artistici, piuttosto che fuggire dal presente alla ricerca disperata di narrazioni del passato rassicuranti. Pensate che rivoluzione se ci fermassimo un po' a riflettere, a leggere, o perché no a non riflettere affatto e scopare o farci una sega in santa pace su Instagram, come un rapper qualsiasi, o a meditare come una casalinga con l’hobby dell’analisi psicologica del partner. Ha anche qualche cosa di trascendentale il niente puro, è decadenza, in fondo spleen: pensate ai poeti francesi, cosi chi fa yoga o alimenta qualche religione esotica si sente figo, ed è contento come Gauguin che scopava e insultava la Francia dalle Bahamas.